Fed, banche, Wall Street: il trio vincente della finanza speculativa
di Mario Lettieri e Paolo Raimondi - 01/11/2012
Osservare attentamente i comportamenti economici e finanziari in atto negli Stati Uniti ci consente di comprendere la ratio di alcune decisioni e di prevedere alcuni andamenti dell’economia globale.
Ciò non significa distogliere l’attenzione dalle serie questioni europee. Serve per non essere sopraffatti ne sorpresi da certi eventi internazionali.
C’è anzitutto una domanda pressante. Come è possibile che i listini di borsa di Wall Street ( e anche della City) siano ritornati ai livelli dell’ottobre 2007 nonostante la crisi e la caduta delle produzioni e delle ricchezze negli ultimi 5 anni?
Il Dow Jones Industrial Index allora era intorno ai 14.000 punti circa, oggi è di poco inferiore. Il Nasdaq, che raccoglie le corporation del settore industriale, era poco più di 2200 punti mentre oggi supera i 3.000 punti. Lo stesso vale per l’indice Standard & Poor’s 500 che si è riportato più o meno sui livelli ante crisi. Anche l’indice FTSE 100 di Londra, che nel 2007 aveva raggiunto il livello di circa 6.600 punti, oggi è risalito a 5.800 punti rispetto ai 3.600 dell’ottobre 2008.
Nell’Europa continentale, invece, tutte le Borse, tranne quella tedesca, registrano delle perdite pesantissime.
Il nostro indice Mib per esempio si è più che dimezzato. L’indice Dax tedesco è l’unico che ha riguadagnato quasi tutte le posizioni e potrebbe raggiungere la quota massima di 8.000 punti entro la fine dell’anno. Ciò è evidenziato dal fatto che l’industria tedesca è l’unica che ha saputo mantenere alti sia le produzioni industriali che l’export di prodotti ad alta tecnologia.
La singolarità e la eccezionalità anglo-americana stanno nel “quantitative easing”, cioè nella decisione della Federal Reserve e della Bank of England di creare nuova massiccia liquidità da riversare nel proprio sistema bancario. Si ricordi che finora la Fed è intervenuta con oltre 4.000 miliardi di dollari.
Con uno spregiudicato gioco di prestigio ha acquistato dalle banche titoli di stato e mortgage backed securities (mbs), derivati emessi su mutui subprime e altre ipoteche di basso valore, rimpiazzandoli con dollari “elettronici” inseriti nei bilanci delle banche come se fossero riserve extra, ma non destinabili a sostegno delle attività produttive dell’economia reale. Possono soltanto essere prestati ad altre banche bisognose di aumentare le loro riserve oppure per ottenere altri assets, altre attività patrimoniali (come obbligazioni, azioni, ecc.).
Questa è la ragione per cui, nonostante la tanta liquidità, i canali del credito restano chiusi e anche negli Usa i settori produttivi lamentano un “credit crunch”. Così si spiega perché Wall Street sia cresciuta Infine ciò spiega anche perché una tale massa di liquidità non abbia ancora creato un effetto iperinflattivo. Infatti, l’unico vero aumento di prezzo ha riguardato i listini della borsa americana creando una nuova bolla finanziaria “artificiale”.
Oltre agli enormi giochi speculativi con i prodotti derivati, questa bolla è anche la base principale di molti profitti riportati dalle banche.
Tale processo ha favorito e favorisce la crescente concentrazione di ricchezza in poche mani. Ad esempio, nel 2009 i 400 cittadini americani più ricchi detenevano una ricchezza pari a 1,27 trilioni di dollari, mentre adesso ne detengono 1,7 trilioni di dollari. Secondo l’Economic Policy Institute di Washington il salario medio di un alto dirigente delle 350 maggiori corporation americane è stato pari a 10, 36 milioni di dollari nel 2009, a 12,04 milioni nel 2010 e a 12,14 milioni nel 2011. Ciò nonostante il tanto predicare contro i bonus mlionari!
In quest’ottica va letta la decisione della Fed di acquistare dalla banche mbs e altri titoli tossici per 40 miliardi di dollari al mese e per un periodo indefinito, facendo così un grande favore al sistema bancario americano rendendolo di fatto più aggressivo sui mercati internazionali.
Come da tempo sosteniamo l’operato della Fed non può che scaricare i propri effetti negativi sull’euro, sull’Europa e sul resto del mondo. Purtroppo in Europa si sottovaluta la portata di tali decisioni mentre, per fortuna, i paesi Brics cominciano a contestare. Da ultimo lo ha fatto il ministro delle Finanze brasiliano, Guido Mantega, che ha parlato di “guerra monetaria” e di “misure protezionistiche”. La stessa Banca Centrale della Cina denuncia il fatto che le continue iniezioni di liquidità non funzionano, a scapito dello sviluppo.