Siria: la soluzione cinese
di Thierry Meyssan - 04/11/2012
La tregua che doveva segnare le celebrazioni della festa musulmana dell’Eid è stata ampiamente violata in Siria. Il governo si era impegnato a tagliare le strade principali per assicurarsi che eventuali incidenti rimanessero isolati e non potessero diffondersi a macchia d’olio. Fatica sprecata: molte brigate dell’Esercito siriano libero (ESL) hanno ricevuto ordini dai loro sponsor per lanciare nuovi attacchi, ai quali l’esercito arabo siriano non ha mancato di rispondere. In definitiva, anche se alcune regioni hanno potuto godere di quattro giorni di calma, il bilancio a livello nazionale è particolarmente deludente. A seconda di dove si vive, si considera dunque questa tregua come un successo o un fallimento. A livello diplomatico, tuttavia, essa consente di valutare le difficoltà che incontreranno le forze di pace, una volta che il Consiglio di Sicurezza deciderà di schierarne. La prima è l’assenza di un interlocutore che sia rappresentativo dell’ESL, e la seconda è la malafede della Francia.
L’ESL è composto da numerosissimi gruppi armati che hanno ciascuno una propria logica. L’insieme dovrebbe obbedire a un comando che si trova presso una base NATO in Turchia. Ma questo non accade più, da quando una concorrenza feroce contrappone gli sponsor francese, del Qatar, saudita e turco. Ognuno consacra i propri sforzi a estendere la propria influenza a spese dei suoi alleati piuttosto che a rovesciare il regime. Le brigate di base obbediscono a chi le finanzia direttamente e non tengono più conto del coordinamento della NATO. Inoltre, malgrado le dichiarazioni, non c’è mai stato un rapporto di subordinazione tra i comitati politici che si incontrano nei salotti a Parigi, a Istanbul e il Cairo, e i combattenti in Siria.
I leader occidentali continuano a chiedere l’unificazione del comando unificato dell’ESL, ma in realtà ne hanno paura. Perché se permettesse di disporre di un interlocutore per fare la pace, screditerebbe i comitati politici all’estero e s’imporrebbe al loro posto. Non si potrebbe più nascondere allora la vera natura di questa pseudo «rivoluzione»: nessun gruppo armato ha combattuto per la democrazia, e la stragrande maggioranza di essi intende imporre una dittatura religiosa sunnita.
Un «Comando centrale dei Consigli rivoluzionari siriani» è stato appena creato a Idlib. Circa l’80% delle forze dell’ESL vi si sono unite. Riconosce come leader spirituale lo sceicco Adnan al-Arour che ha tenuto un discorso per l’occasione. Mentre leggeva un testo moderato, il cui stile sì è parecchio allontanato dalle sue predicazioni abituali, si è congratulato con il suo pubblico per la creazione del Comando militare centrale, ha fatto appello ai tre comitati politici rivali all’estero affinché si uniscano, e ha invocato l’istituzione di un Consiglio legislativo.
Si tratta beninteso del trasferimento del potere legislativo ai religiosi, dei quali egli umilmente accetterebbe di essere il capo, per imporre la legge della shari'a. Di passaggio, ha osservato che l’obiettivo primario della «rivoluzione» è rovesciare non tanto le istituzioni, quanto invece i principi del regime, vale a dire la laicità e il nazionalismo arabo.
In questa fase, si deve osservare che sebbene l’ESL sia costituito da ben pochi combattenti siriani, è sostenuto da diversi milioni di civili, specie nel nord del paese. Tuttavia, nelle manifestazioni organizzate qua e là, in nessun caso le folle hanno issato i ritratti dei leader politici in esilio (Buhran Ghalioum, Abdulbaset Sieda, ecc.), mentre hanno spesso scandito il nome dello sceicco Al-Arour. Soprattutto hanno ripreso i suoi slogan, come «I cristiani a Beirut! Gli alauiti alla tomba!». I siriani che sostengono l’ESL non vogliono una democrazia, bensì reclamano una dittatura in stile saudita, che epuri il sunnismo dai suoi sufi e che reprima tutte le minoranze religiose.
Per avere successo, la tregua avrebbe dovuto essere negoziata dall’inviato speciale dei Segretari generali dell’ONU e della Lega Araba, Lakhdar Brahimi, e lo sceicco Adnan Al-Arour. Ma un tale incontro avrebbe segnato la fine del sogno della «primavera araba» e avrebbe evidenziato che l’Occidente finanzia e arma il settarismo religioso più estremista.
Il secondo ostacolo che incontrerà il Consiglio di Sicurezza per schierare una forza di pace, è la linea oltranzista francese. Parigi blocca l’attuazione dell’accordo firmato il 30 giugno a Ginevra. Il testo redatto da Kofi Annan era volutamente vago su alcuni punti, in modo che le grandi potenze fossero in grado di firmarlo e di rinviare la risoluzione delle contraddizioni restati. Da allora, Washington, Mosca e Pechino si sono messe d’accordo. Parigi continua ad andare per la sua strada.
La questione è sapere quale opposizione siriana abbia la legittimità per partecipare a una transizione politica, e in cosa consista questa transizione. Per la Francia è ovviamente il Consiglio nazionale siriano, i cui membri sono ospitati a Parigi e lì abbondantemente sovvenzionati, a dover costituire il nucleo del prossimo governo. Mentre per Mosca e Pechino i politici che hanno sostenuto l’azione militare e hanno chiesto l’intervento straniero non sono degni della loro patria. Solo gli oppositori che hanno difeso l’indipendenza del loro paese e la sovranità del loro popolo sono legittimi. Per la Francia, si tratta di organizzare una transizione tra una Siria governata da Bashar al-Assad (senza la Total) ed una Siria senza Assad (ma con Total). Laddove per Mosca e Pechino, la transizione consiste nel passare dallo stato attuale di divisione e di guerra civile all’unità nazionale e alla pace. Da parte sua, Washington è pronta a delle concessioni purché si finisca presto e si eviti una conflagrazione regionale.
Ispirandosi al cessate il fuoco dell’Eid, la Cina ha appena proposto una soluzione originale. Invece di presentare un piano suddiviso in tappe politiche, immagina di risolvere il problema regione per regione. Questo svolgimento potrebbe invertire l’attuale processo di estensione del conflitto e, invece, consentire di ridurre le zone di guerra. È nell’interesse di tutti, ma si scontra frontalmente con la strategia francese: alla tribuna dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il presidente François Hollande ha rivendicato un mandato del Consiglio di sicurezza sulle «zone liberate». Parigi sogna con nostalgia il mandato che le concesse la Società delle Nazioni per legalizzare la sua conquista della Siria (1920-1946). Finora, non è forse riuscita a far adottare la bandiera della colonizzazione da parte dei «rivoluzionari»?
Nel pronunciare un discorso presso l’università nazionale di Singapore, Kofi Annan ha sottolineato che la responsabilità degli avvenimenti attuali ricade su certi Stati occidentali: hanno dirottato il mandato del Consiglio di sicurezza per proteggere il popolo libico in un’operazione volta a cambiare il regime Gheddafi. Oggi, si rifiutano di condannare il terrorismo e spingono al martirio del popolo siriano nella speranza di trovare l’occasione per rovesciare il regime di Assad.