Elezioni in vista: comincia la “sagra degli onesti”
di Enrico Galoppini - 07/11/2012
Fonte: europeanphoenix
Sarà capitato ad alcuni di voi, e comunque vi accadrà mano a mano che ci si avvicina alle fatidiche elezioni politiche della prossima primavera. Cominciano ad arrivare messaggi di posta elettronica da parte di questo o quel candidato, il quale, propinandovi il suo facciotto pulito ed ordinato, invita a votare per lui in quanto “persona onesta” in grado di “fare del bene”. Nei casi di maggior autoincensamento, chi vi avvicinerà per chiedere la vostra preferenza vi prometterà che ci farà “uscire dalla crisi”. Ma un punto caratterizza tutte queste promesse (da marinaio): la professione di “onestà”. Una sorta di autocertificazione allo scopo di assicurare l’acquir… ops, l’elettore, che il candidato in questione è esente da ‘vizi morali’[1].
Questa fregola di presentarsi come “onesti” fa leva su un aspetto tipico della mentalità moderna e su un esito inevitabile della vita politica in regime liberaldemocratico.
Da una parte, essendo progressivamente venuta meno l’intellettualità pura (praticamente scomparsa nel cosiddetto “Occidente” dal XVIII secolo), sostituita dall’erudizione e dall’intellettualismo (che attingono entrambi dalla sfera del razionale e della quantità), non resta che, come metro di giudizio, il moralismo, che attinge invece dalla sfera dell’irrazionale, e più precisamente da quella della sentimentalità prodotta dall’“attaccamento” per le cose del mondo[2].
È sotto gli occhi di tutti come la “politica” – plasticamente fotografata nei notiziari - sia diventata di fatto la rassegna del malaffare, delle ruberie, degli “scandali”, il tutto volto a far imbufalire la massa votante contro “gli sprechi”, “i costi della politica”, “la corruzione”. In breve contro “la casta” dei politici.
Un giorno, presso un negozio di abbigliamento, mi è capitato di vedere una pubblicità nella quale una ragazzina redarguiva i politici, incapaci di far fronte alla “crisi”, e per colpa dei quali il suo papà non può più darle la paghetta! Quando questa retorica moralizzatrice da quattro soldi raggiunge persino il mondo della pubblicità, direi che anche un bambino di tre anni può rendersi conto che tutta questa furia contro “la casta” fa tutt’uno con la proverbiale aria fritta.
Dunque, da una parte si ha la tendenza a ricondurre ogni questione a parametri moralistici, specchio di un’ignoranza e di un’incompetenza davvero abissali, sintetizzate dall’incapacità di comprensione davvero “intellettuale”, dall’altra – dicevo – esiste un motivo strettamente inerente alla vita politica in regime liberaldemocratico.
Questo, per funzionare, ritiene debbano essere eletti dei rappresentanti in parlamento. I quali, secondo la retorica ufficiale, vi siedono per “legiferare” e svolgere una funzione di controllo sull’operato del governo (questo, soprattutto, lo dovrebbe fare la cosiddetta“opposizione”). Per fare ciò, sono ben remunerati, in maniera da prevenire ogni tentativo di corruzione nei loro confronti (notoriamente, uno povero in canna è maggiormente indotto a vendersi). Quindi, tanto per essere chiari al riguardo di tutta questa buffonata sui “costi della politica”, se c’è una voce di spesa che ha un senso, naturalmente entro i limiti del buon gusto, è quella relativa al compenso per i parlamentari[3].
Ma il politico, in regime liberaldemocratico non conta un fico secco, perché prima vengono la finanza e l’economia, e poi la politica. Questo “rappresentante del popolo”, presentato come un “potente”, è piuttosto il catalizzatore di una serie indefinita di corposi interessi promossi dai cosiddetti “lobbisti”, faccendieri che premono sull’uno o sull’altro parlamentare per ottenerne dei favori. In altre parole, il parlamentare ha il compito di trasformare in “legale” quel che altrimenti ripugna alla coscienza e contraddice ogni buon senso, imponendo alla collettività ciò di cui non avrebbe affatto bisogno per vivere bene.
Questa pressione esercitata da potentati finanziari ed economici comincia già in fase di campagna elettorale (addirittura nelle “primarie”), ed il caso più esplicito lo si ha proprio nel “faro della democrazia”, l’America, tanto che là fanno un vanto di questa spregevole pratica, coi pappagalli nostrani che ripetono a menadito la filastrocca. Non a caso, si ammette candidamente l’azione dei “lobbisti” presso il Parlamento Europeo di Strasburgo, come per evidenziarne l’estrema “modernità” secondo i parametri liberaldemocratici.
Da queste sintetiche considerazioni si comprende che presentarsi in campagna elettorale come “onesti”, quand’anche non si fosse già in partenza dei corrotti, è del tutto vano ed illusorio, poiché per il solo fatto di candidarsi si accettano implicitamente le regole del gioco della Liberaldemocrazia, nella quale – ripeto – il politico è subordinato all’economico, e l’economico addirittura al meramente affaristico e speculativo, come ormai anche i muri più o meno sanno.
“Onesto” ha la stessa radice di “onore”, e se proprio l’onore è quanto mai una virtù vilipesa e derisa dai moderni[4], è facile capire che pure l’onestà è andata a farsi friggere.
In Liberaldemocrazia dunque non può esistere un politico onesto, col senso dell’onore, semplicemente perché non ha la possibilità di farlo valere e, qualora lo volesse, verrebbe prima indotto a cambiare registro, poi, una volta saggiatane la tendenza a non voler ‘capire’, sarebbe colpito da uno “scandalo”, e come estrema ratio gli sarebbe riservata l’eliminazione pura e semplice.
Vale praticamente lo stesso discorso per molti altri ambiti, da quello del giornalismo[5] a quello della professione medica, con la differenza, non da poco, che mentre in questi altri settori vi è sempre la possibilità di sfuggire alle “regole del gioco” adottandone altre (con le fatiche e i rischi del caso)[6], in quello della “politica di professione” esiste solo un sistema, stante il regime liberaldemocratico. Poiché non si deve credere che ridursi in qualche gruppetto marginale, “extraparlamentare”, al di fuori delle istituzioni, sia “fare politica”: quello è puro folclore, in cui è sin troppo facile atteggiarsi ad onesti, per il fatto che non circola una lira![7]
Una vera politica onesta, fatta da onesti, non può dunque che passare per il superamento della Liberaldemocrazia, dell’uomo “moderno” da essa postulato e preteso, e dal ripristino della primazia del politico rispetto all’economico, per non parlare del finanziario.
Coloro che legiferano non dovrebbero pascolare come in una specie di mercato delle vacche in attesa che qualche lobbista passi a mungerle, ma, consapevoli della loro elevata funzione, dovrebbero essere uomini che, col senso dell’onore, operano nella misura in cui serve alla comunità, alla luce di quella sapienza tradizionale che ci dice che l’uomo, da quando esiste il mondo, è sempre lo stesso.
E se l’uomo è sempre lo stesso significa che i suoi bisogni profondi non sono mai cambiati. Quindi, quali benefici può apportargli la Liberaldemocrazia e l’inevitabile interazione tra politici e lobbisti?
Se la politica fosse una cosa seria, non esisterebbero né elezioni né partiti. Cosa può capire dell’interesse generale un “elettore”[8] che per tutta la vita non hai visto più in là del suo orticello? Com’è possibile praticare il “bene comune” se ci si presenta divisi in “partiti”?
Queste cose le sa benissimo chi ha inventato la Liberaldemocrazia: fare in modo che i peggiori pongano, in un simulacro di “potere”, altri “peggiori” come loro, imbastendo una gazzarra continua tra fazioni, la cui esistenza, più che uno “spreco”[9], è un delitto contro la concordia che Iddio vorrebbe che governasse tra gli uomini.
Ma finché uno è governato dal suo ego non può fare politica, non può reggere le sorti di una comunità. Questo perché l’egoismo comporta la frammentazione, la dispersione, la prevalenza delle forze centrifughe, e dunque la discordia.
La lingua araba ci aiuta non poco nel comprendere la questione. La radice hâ’-kâf-mîm comprende voci che rimandano all’idea di saggezza, giudizio/arbitrato e governo. Non fa una piega: solo chi è saggio, chi possiede in sé la sophia (hikma), ha i titoli per dirimere le vertenze tra gli uomini, dall’alto d’una serenità olimpica, al di là delle passioni, e pertanto ha le carte in regola per governare.
Dunque, la questione della “onestà” di chi governa – oltre che essere irrisolvibile in regime liberaldemocratico, che induce alla disonestà - è in fin dei conti mal posta. Al vertice d’una comunità in ordine dovrebbe stare chi è venuto a capo del proprio ego[10], perché quella è la condizione necessaria per non farsi trasportare dalla sentimentalità che quello naturalmente comporta.
Ecco perché un sistema che vede esseri presi nel loro ego “eleggere” altri che si trovano nella stessa “irrisolta” condizione non può che produrre una politica all’insegna della disonestà sistematica. Col triste e farsesco corollario di una “questione morale”, periodicamente riproposta, che vede una patetica gara a chi si professa più “onesto” degli altri!
[1] Il lapsus è chiaramente voluto: si cerca un voto così come si prova a vendere una merce. I meccanismi “pubblicitari”, che sfruttano il basilare funzionamento della psicologia di massa e del subconscio individuale, sono praticamente gli stessi.
[2] Una volta negato il sovrarazionale si sono poste le basi per il superamento stesso del razionalismo, cosicché oggi si assiste ad uno scivolamento a rotta di collo verso posizioni ed atteggiamenti caratterizzati da notevole irrazionalità.
[3] Che, tra l’altro, non sta scritto in Cielo debbano riunirsi tutti i giorni per “legiferare” affinché diano l’impressione di lavorare come somari, quando in realtà basterebbero alcune sessioni in precisi momenti dell’anno, come in effetti fanno in altri Paesi “avanzati”.
[4] Si pensi all’ironia sui duelli che fino a meno d’un secolo fa si tenevano per “l’onore offeso”: oggi, si “mette mano” all’avvocato… col risultato che un poveraccio rinuncia pure a ristabilire la sua onorabilità.
[5] Giusto pochi giorni fa ho sentito una “decana del giornalismo” affermare – ad un pubblico adulto! - che “un giornalista deve sempre raccontare la verità”.
[6] Si consideri il campo della “medicina naturale” e delle “cure alternative” (Hamer, Di Bella ecc.).
[7] Infatti in quegli ambienti e a quel livello ci si scanna furiosamente per le idee.
[8] Si pensi allo stravolgimento delle idee e delle parole che ha colpito anche la parola “eletto”: da che indicava colui che è scelto, investito, dall’Alto, oggi designa chi prende “la maggioranza dei voti”!
[9] È questa la critica del liberaldemocratici spinti: l’antipartitocrazia.
[10] Si tratta del jihâd an-nafs, la lotta contro il “piccolo sé”, il proprio egoismo e il “satana interiore”.