Facciamo decrescere gli sprechi, non il lavoro
di Maurizio Pallante - 19/11/2012
Decrescita non significa diminuzione: se fosse diminuzione, non si uscirebbe dalla logica quantitativa della crescita. Il concetto di decrescita implica l’introduzione di criteri di valutazione qualitativi. Cioè: molte cose che consumiamo, le sprechiamo. Abbiamo delle case che, per essere riscaldate, per ogni metro quadrato consumano mediamente 20 litri di gasolio o 20 metri cubi di metano all’anno, quando in Germania non danno la licenza di abitabilità a case che ne consumino più di 7, e le case migliori ne consumano 1,5. Il problema è che dobbiamo introdurre elementi di valutazione: non tutte le merci che fanno crescere il prodotto interno lordo sono beni, sono utili. E allora, se partiamo da questa premessa, sviluppiamo delle tecnologie in grado di ridurre gli sprechi.
Questo è il concetto, per noi, di decrescita: una tecnologia più avanzata di quella attuale, che ha per obiettivo non l’aumento della produttività, ma la riduzione del consumo di energia, del consumo di risorse e della quantità di oggetti che vengono portati allo smaltimento, cioè all’incenerimento o all’interramento in discarica, poiché tutti questi oggetti contengono materiali che possono essere recuperati e riutilizzati. Cosa direi ai Comuni? Prima cosa: mettere a posto, dal punto di vista energetico, il proprio patrimonio: hanno moltissimi edifici, che consumano un sacco di energia – e gli sprechi di questa energia sono, quantomeno, i due terzi. I Comuni possono rispondermi: ma noi non abbiamo i soldi per fare gli investimenti necessari a ridurre gli sprechi di energia. Bene, esistono delle formule contrattuali che consentono di pagare i costi attraverso i risparmi che si riescono a ottenere.
La ristrutturazione energetica viene fatta – a loro spese – da alcune ditte specializzate; il proprietario dell’edificio (in questo caso, il Comune) continua a pagare quello che paga attualmente, quindi non ha nessun aggravio di costi, e in un certo numero di anni i risparmi economici conseguenti ai risparmi energetici consentono di ammortizzare l’investimento. Si creerebbe quindi un’occupazione utile, pagata con la riduzione degli sprechi. Una volta che i Comuni abbiano fatto una cosa di questo genere, avranno l’autorevolezza morale per proporre (e imporre, per certi aspetti) ai propri cittadini di ristrutturare le loro case. E quindi, il secondo passaggio che farei è quello di un “allegato energetico” al regolamento edilizio che non consenta di costruire nuove case né di ristrutturare le case esistenti se, al termine, il consumo di queste case supera i 7 litri per metro quadrato all’anno.
Anche in questo caso, si metterebbe in moto molto lavoro: pensate soltanto a cosa succederebbe se un governo illuminato – cioè un ossimoro, allo stato attuale delle cose – decida di porre al centro della propria politica economica e industriale la ristrutturazione energetica del nostro patrimonio edilizio. Si creerebbe un sacco di lavoro attraverso la riduzione degli sprechi e attraverso una diminuzione delle emissioni di anidride carbonica. Ma se alla fine di questo processo tutte le nostre case consumano di meno perché sprecano di meno – non perché la gente sta al freddo – noi avremo una decrescita qualitativa del prodotto interno lordo. E se si fanno scelte in direzione dell’aumento dell’efficienza, oggettivamente si toglie terreno alla corruzione e al crimine organizzato.
Se un Comune dà in appalto una grande opera, c’è la possibilità che si inseriscano delle forme di corruzione. Ma se si fa una ristrutturazione degli edifici in cui il Comune non paga niente – deve pagare la ditta che fa l’intervento, e la ditta si ripaga se l’intervento è fatto bene – non c’è neanche la materia per sviluppare delle forme di corruzione. E’ la logica della crescita che ci porta nella prospettiva di fare investimenti sempre maggiori e opere sempre più grandi, dando quindi spazio a fenomeni criminali. Dobbiamo dare spazio a una miriade di piccole e piccolissime aziende artigianali, che facciano i lavori di ristrutturazione su tutto il territorio nazionale. Piccoli appalti, in cui c’è rischio d’impresa, diffusi su tutto il territorio, costituiscono una base molto diversa rispetto a grandi appalti in cui ci dev’essere comunque un intervento da parte dello Stato.
Da questo punto di vista sono, tutto sommato, ottimista: non perché se facciamo la fotografia del quadro attuale possiamo esserlo, ma perché se facciamo il film di quello che è successo negli ultimi 15 anni, vediamo che comunque un’evoluzione c’è. E c’è un’attenzione da parte di alcuni settori produttivi: per esempio, io dovrò fare dei corsi di aggiornamento alla Confartigianato, a giovani artigiani dai 25 ai 30 anni. E la Confapi, la confederazione delle piccole e medie imprese, comincia a porsi il problema della decrescita nei termini che noi indichiamo. Perché decrescita non significa che le aziende devono lavorare di meno: significa che bisogna diminuire la produzione di cose inutili. Ma per fare questo, qualcuno deve lavorare di più, e lavorare bene. Non si può avere una decrescita qualitativa del Pil se non attraverso la crescita di alcuni settori che sono in grado di sviluppare le tecnologie che aumentano l’efficienza con cui si usano le risorse.
(Maurizio Pallante, dichiarazioni rilasciate durante la trasmissione “L’inchiesta” condotta da Maurizio Torrealta, andata in onda il 10 novembre 2012 su “Rai News 24” – ospiti in studio Ugo Bardi, Stefano Bartolini e la blogger Debora Billi).