Un intervento umanitario in Siria, 150 anni fa
di Pascal Herren - 05/01/2013
Fonte: Europeanphoenix
Un intervento umanitario in Siria? Il pretesto umanitario era già stato invocato, nel 1860, dalla Francia, per intervenire militarmente in Siria, allora provincia ottomana. Il docente universitario Pascal Herren passa in rassegna in quest’articolo le vere intenzioni della Francia di Napoleone III, anch’esse poco accettabili come quelle della Francia di Sarkozy o di Hollande. Egli ci ricorda inoltre le conseguenze nefaste ch’ebbero a subire le popolazioni della regione.
Un intervento umanitario in Siria è costantemente invocato per mettere fine alle sofferenze che, dal 2011, patisce la popolazione coinvolta nei combattimenti tra il regime e l'opposizione armata. Combattimenti di cui si attribuisce la responsabilità principale - a torto o a ragione- al governo.
Quest’azione di soccorso passerebbe dunque per il rovesciamento del regime. Sarebbe anche già stata messa in opera da alcuni mesi, sotto una forma indiretta, armando gli insorti e inviando sul territorio agenti e gruppi di combattimento stranieri. Ora, fare uso della forza sul territorio di un paese straniero, senza il consenso delle autorità prestabilite a darlo, contravviene al principio di sovranità degli stati, come scritto nella carta dell’ONU. L’impiego della forza tra stati è proibita ad eccezione del caso di legittima difesa o di azioni collettive decise dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
La Corte internazionale di giustizia ha condannato nel 1986 il sostegno militare offerto dall’amministrazione Reagan agli insorti nicaraguensi dei Contras che lottavano per rovesciare il potere sandinista. La Corte aveva anche precisato che un tale sostegno non era appropriato se si parlava di assicurare il rispetto dei diritti dell’uomo, allorché Washington aveva accusato il regime di aver commesso delle atrocità.
Questi ostacoli giuridici non hanno impedito che le operazioni unilaterali, ufficialmente motivate da ragioni altruistiche, non si sviluppassero, per esempio, con il bombardamento dell’ex Yugoslavia durante la crisi del Kosovo nel 1999, o l’invasione dell’Iraq nel 2003. L’ultimo esempio in ordine cronologico è stata l’azione condotta in Libia nel 2011, di cui alcuni stati affermarono che si spinse oltre ciò che permetteva la risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza.
Il fondamento di questi interventi unilaterali risiede in un criterio superiore, universalista: il dovere di proteggere la vita di qualsiasi popolazione contro minacce di attentati di massa che pesano su di essa. Ma questo principio, perfettamente legittimo in quanto tale, dipende interamente dalla buona volontà di chi interviene. Infatti, come si fa ad assicurare che lo stato che interviene non si serva dell’immenso potere che si concede impiegando la violenza verso un altro stato per perseguire altre motivazioni che sarebbero riprovevoli? La storia pullula di guerre “giuste” che sono finite piuttosto male per le popolazioni coinvolte. Il grande giurista Emer de Vattel denunciava già nel 1758 la sottomissione degli Indiani d’America da parte dei conquistadores, ottenuta con il pretesto di liberarli dal tiranno.
Gli specialisti del tema hanno costantemente ricercato i precedenti che mostrassero un’azione condotta da una potenza interventista irreprensibile. Hanno creduto per molto tempo di averla trovata nella spedizione del 1860 che riguardò la provincia ottomana della Siria che inglobava l’attuale Libano (Wikipedia in francese afferma: “Nei fatti, e secondo le parole dello stesso Napoleone III, la spedizione fu ‘una operazione a scopo umanitario’”). Dal mese di maggio al mese di agosto di quell’anno, tra le 17.000 e le 23.000 persone, la maggior parte di religione cristiana, furono massacrate nella montagna del Libano e a Damasco durante gli scontri intercomunitari. La notizia, che arrivò in Europa, suscitò l’emozione dell’opinione pubblica. Le autorità ottomane furono accusate di aver incoraggiato, e perfino partecipato alle atrocità commesse dai miliziani drusi sul Monte Libano e dai rivoltosi a Damasco.
Napoleone III decise allora d’inviare sul posto un corpo di spedizione di 6.000 uomini per mettere fine al “bagno di sangue”, col consenso delle altre potenze europee. Le truppe francesi rimasero meno di un anno sul posto. Si ritirarono una volta ritornata la calma e subito dopo aver messo in piedi una riorganizzazione amministrativa, alla quale sarà attribuito il fatto di aver mantenuto la pace civile fino alla prima Guerra Mondiale. Ancora oggi, alcuni giuristi che pur si oppongono al riconoscimento del diritto d’intervento umanitario, definiscono l’azione del 1860 il solo e “vero” intervento umanitario del XIX secolo.
A guardarli da più vicino, dunque, i dissensi intercomunitari che scoppiarono nel 1860 furono essi stessi esacerbati dal clientelismo praticato all’epoca dalle potenze europee verso le minoranze locali. Bisogna dire che erano in gioco immensi interessi. Si trattava di dividersi le province di un impero ormai alla fine, che i grandi stati europei si disputavano accanitamente. La Siria si trovava infatti sulla rotta strategica che portava alle Indie, il gioiello dell’Impero Britannico. La Francia non nascondeva la sua attrazione per questo paese ricco di promesse commerciali. La Russia cercava già da molto tempo di estendere i suoi territori verso sud. Per arrivare ai propri fini ogni potenza si appoggiava su una comunità locale che ognuno cercava di strumentalizzare: i francesi si fecero protettori dei cattolici, i russi difesero gli ortodossi, gli inglesi parteggiarono per i drusi.
Durante il periodo che seguì l’intervento del 1860, la Francia incrementò la sua intraprendenza economica in Libano, al punto che il 50% della popolazione attiva libanese lavorava nel 1914 nella filiera di produzione francese di soia. Questo settore crollò subito dopo la decisione dell’industria francese di fare a meno dei suoi fornitori libanesi, i quali così persero i loro mezzi di sussistenza.
Un anno più tardi, nel 1915, gli alleati inglesi e francesi organizzarono il blocco delle coste siriane per impedire che le derrate alimentari arrivassero a destinazione in questa regione fortemente dipendente dalle importazioni cerealicole. L’obiettivo era spingere le province arabe a sollevarsi contro il potere centrale di Istanbul, che partecipava alla Prima Guerra Mondiale accanto alla Germania di Guglielmo II. Il risultato fu una carestia senza precedenti che fece 200.000 morti nella zona centrale e settentrionale del Libano e 300.000 altrove in Siria.
Nel 1840, François Guizot, allora ambasciatore francese a Londra, aveva già riassunto i giochi geopolitici che dominavano nelle corti europee e che animavano, secondo lui, la politica del ministro inglese degli affari esteri Lord Palmerston: “Lì ci sono, al fondo di non so quale valle, in cima a non so quale montagna del Libano, degli uomini, delle donne, dei bambini che si amano e si divertono, che domani saranno massacrati perché Lord Palmerston, viaggiando sul treno da Londra a Southampton, avrà detto: “Bisogna che la Siria insorga, ho bisogno che la Siria insorga, se la Siria non insorge, I am a fool”.
Fonte: “Le Temps” (Svizzera), 6 novembre 2012 (ripubblicato da “Reseau Voltaire” l’11 dicembre 2012).
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