Esempio Islanda
di Andrea Perrone - 30/01/2013
La Corte europea dà ragione al popolo islandese. L’Islanda dovrà rimborsare solo l’importo minimo previsto per legge pari a 20mila euro a tutti quei risparmiatori britannici e olandesi che avevano investito nella banca online Icesave e che era ignobilmente fallita nel 2009. La Corte Ue del libero scambio ha inoltre respinto il ricorso dei governi di Gran Bretagna e Olanda – che chiedevano al governo di Reykjavik la cifra stratosferica di 2 miliardi di euro – contro i rimborsi minimi concessi ai correntisti di Icesave.
Il confronto con Londra e Amsterdam risale al 2009 quando l’Islanda, dopo il crack del suo sistema finanziario, si era rifiutata di restituire i soldi ai 350mila utenti inglesi e olandesi della Icesave, il conto online della banca Landesbanki che aveva attirato 4,5 miliardi di euro di depositi grazie ai tassi d’interessi particolarmente elevati. Il rifiuto del popolo islandese è stato più volte motivato grazie ad un paio di referendum che hanno sottolineato a larga maggioranza la volontà di rifiutare qualsiasi restituzione di danaro da parte degli islandesi perché non colpevoli del fallimento della banca. I veri responsabili sono stati infatti individuati e sono riconducibili a banchieri e politici che hanno speculato sulla banca e fatto finta di nulla pur sapendo che stava per fallire. Per questo il popolo islandese costituito in maggioranza da pescatori e allevatori si è detto assolutamente contrario a qualsiasi rimborso che avrebbe portato l’isola ad una crisi economica irreversibile.
Le autorità bancarie britanniche e olandesi, dopo un primo serrato confronto con l’Islanda, avevano deciso di rimborsare al 100% i loro concittadini rimasti a bocca asciutta, riservandosi di rivalersi in sede legale su Reykjavik. Da parte sua l’Islanda, grazie alla ripresa della sua economia e al riassetto del suo sistema creditizio, ha provveduto a rimborsare la cifra di 20mila euro a testa prevista dagli accordi con l’Unione europea. E dopo una serie di minacce – da parte di Londra e Amsterdam – che preannunciavano già la loro opposizione all’ingresso nell’Ue dell’Islanda, qualora Reykjavik non avesse rimborsato i loro cittadini, Gran Bretagna e Paesi Bassi hanno deciso di fare ricorso alla Corte europea per il libero commercio, opponendosi alla decisione di rimborsare i propri cittadini e clienti Icesave per una quota minima, ma subendo una sonora sconfitta. La sentenza del tribunale Ue, nonostante tutto, ha fatto giustizia ad un Paese come l’Islanda che è uscita completamente risanata dal fallimento da 80 miliardi di euro delle sue banche Kaupthing, la Glitnir e la Landsbanki. Un default equivalente a più di dieci volte il Prodotto interno lordo dell’isola. L’ennesima vittoria per il piccolo Stato dell’Europa settentrionale che, dopo aver rimandato a casa i tecnocrati del Fondo monetario internazionale, pronti a concedere un prestito ad usura in cambio di duri sacrifici, è riuscita a far riprendere la sua economia, che nel 2013 dovrebbe crescere del 2,9%. Un bel successo per un Paese che conta poco più di 300mila abitanti e che nonostante questo ha avuto il coraggio di opporsi all’usura internazionale, alla Perfida Albione e all’Olanda. A fallire come aveva ricordato subito dopo la scoperta del crack finanziario l’attuale primo ministro di Reykjavik, Johanna Sigurdardottir è stato tutto il sistema fondato sul libero mercato. “Le banche private hanno fallito, il sistema di supervisione ha fallito, la politica ha fallito, l’amministrazione ha fallito, i media hanno fallito e l’ideologia di un mercato libero e non regolamentato ha fallito completamente”, aveva chiosato il premier. La risposta del popolo islandese è stata dunque un bell’esempio che dovrebbe essere seguito da tutti quei popoli che vittime dei Signori del denaro intendono affrancarsi dal loro iniquo dominio.