Monti Vs Grillo: vade retro, populista!
di Alessio Mannino - 13/02/2013
Certo che ha un bel coraggio, il quisling Mario Monti, per affermare che con il “populismo” di Grillo si finisce come la Grecia. Datemi pure del grillino, ma qui non c’è da difendere il leader del Movimento 5 Stelle (che l’altra sera a Trento ha parlato – finalmente – di riprenderci la sovranità monetaria), ma l’intelligenza di noi italiani da questo economista che per trent’anni non ha fatto altro che vivere all’ombra di governi responsabili del debito pubblico (commissione Spaventa 1988-89), di grandi industrie (Fiat, Coca Cola) e banche (Banca Commerciale Italiana, Goldman Sachs), dell’Eurocrazia (due volte commissario europeo), dei club esclusivi di strategie geopolitiche e affaristiche (Bilderberg, Trilateral), persino dell’agenzia di rating Moody’s, facendoci i predicozzi liberisti dal pulpito del Corriere della Sera per gestire per conto dei mercati occupanti e della signora Merkel il fallimento dell’Italia. Se la Grecia, la magnifica e devastata Ellade culla d’Europa oggi è ridotta alla fame, con scioperi quotidiani e assalti alle banche, coi contadini organizzati che distribuiscono cibo alla popolazione, con un governo di centrodestra che manganella chi protesta e vuole imporre misure da regime dei colonnelli, se il popolo greco è economicamente alla rovina, questo si deve solo e unicamente alla politica bancocentrica di chi l’aveva governata, da destra e da sinistra, in nome della menzogna del libero mercato, col favore delle istituzioni internazionali, Ue Bce e Fmi, che poi l’hanno commissariata. Sentire Monti che dà la colpa ad un fantomatico populismo, parola vuota e mistificatrice, per gli errori ed orrori di quell’iper-liberismo mondialista di cui lui è sempre stato ed è fautore, è come vedere il carceriere che insulta il prigioniero perché si permette di desiderare la libertà. La Grecia è stata la prima vittima dello strangolamento di intere nazioni sull’altare dei mercati. Beninteso: nel disastro, le responsabilità greche ci sono tutte. I governi di sinistra e di destra degli anni ’90-2000, lasciando intatti gli atavici problemi di corruzione, clientelismo ed evasione fiscale, hanno truccato i conti nascondendo il debito. Lo hanno fatto grazie alla solerte consulenza della onnipresente Goldman Sachs, che dal 2001 al 2004 ha rifilato i suoi bei bidoni finanziari tristemente noti come derivati, sottostando all’imperativo categorico dell’ingresso in Eurolandia, possibilmente per restarci nonostante un buco che già nel 2005 era cinque volte superiore alle statistiche ufficiali e venne coperto grazie alla banca d’affari americana. L’associazione a delinquere è stata comune, tra finanza internazionale, classe politica locale e, naturalmente, la troika Ue, Bce e Fmi. I tre signori che mensilmente vengono in visita ad Atene per intimare i provvedimenti richiesti da creditori stranieri hanno progressivamente spolpato i Greci, che si son visti tagliare stipendi e indennità sia nel settore pubblico che nel privato, aumentare le tasse e le tariffe, farsi licenziare in massa, abolire i contratti sindacali nazionali e ora attendono massicce privatizzazioni e svendite (i Cinesi si pappano il Pireo, a quanto pare) che faranno perdere il lavoro ad altre decine di migliaia di poveri cristi. Eppure, nonostante lo stato di mobilitazione permanente nella capitale (in cui vive il grosso degli abitanti del paese), nonostante quel magnifico striscione issato il 4 maggio 2010 sull’Acropoli occupata (“People of Europe rise up”, popoli d’Europa ribellatevi), nonostante l’umiliazione di aver perso la dignità di nazione sovrana, nonostante la rabbia che ogni tanto esplode prendendo a insulti o cacciando dai locali pubblici i politici, c’è un dato che rende la situazione psicologica di scoramento dei Greci: secondo un rapporto degli ispettori del lavoro del gennaio 2011, quando la crisi greca era già esplosa, solo lo 0,5% su 50 mila lavoratori dipendenti ha denunciato di non aver preso la tredicesima. Gli altri hanno chinato la testa e taciuto, per paura di perdere il posto di lavoro. Lo stesso per il pagamento dei contributi: solo un datore di lavoro quattro li paga. I suicidi aumentano. La gran parte di giovani non partecipa ai moti di protesta, ma si lascia vivere nell’apatia nelle numerose caffetterie oppure sogna di fuggire all’estero. La maggioranza della popolazione resta a favore dell’euro. Il fatto è che «il cittadino si è abituato a collaborare con l’establishment corrotto pur di sopravvivere» (D. Deliolanes, “Come la Grecia. Quando la crisi di una nazione diventa la crisi di un intero sistema”, Fandango, Roma, 2011). Siamo al collaborazionismo con l’occupante straniero. Un male greco che è anche, purtroppo, italiano. Tanto è vero che in questa campagna elettorale, di Grecia non si parla. Non sia mai che il popolo diventi populista. |