Junger e la Decrescita
di Manuel Zanarini - 25/02/2013
Forse il libro più interessante e attuale di Junger trovo sia “L'operaio” (Der Arbeiter). Seppur scritto in un'epoca molto distante dalla nostra, e in un modo completamente diverso, diversi sono gli spunti che possono ispirare una forte rivolta interiore che possa trasformarsi in una azione realmente politica e innovativa.
L'opera è certamente figlia del clima post prima guerra mondiale e delle esperienze al fronte del suo autore, le quali lo avevano messo a diretto confronto del mondo della tecnica e di quanto essa stesse rivoluzionando il mondo. E' da qua che partono le considerazioni dell'opera (riflessioni che richiamano alla mente i lavoro di Heidegger). Junger nota come la tecnica abbia infatti ormai preso il sopravvento sull'uomo e come da strumento sia diventata essa stessa manovratrice del vivere, del cui detta modalità e tempistiche. Tutto questo si riflette sulla distruzione di ogni vincolo “sociale” esistente (generando individui-atomi o massa indistinguibile) e devastando l'ambiente in cui vive l'uomo (Junger lo definisce ambiente da cantiere). Questa situazione genera frustrazione e infelicità (Durkheim direbbe anomia) nell'uomo, il quale non ritrova i propri riferimenti culturali all'interno del mondo dominato dalla tecnica. Ma dal mondo della tecnica, una volta rimessa al suo posto di strumento (decisivo il ruolo di “limite” su cui torneremo), può nascere un nuovo soggetto che possa “fare la rivoluzione”: l'Operaio.
E' essenziale dire subito che non si tratta di una lettura marxista, in cui la classe operaia cambierà la storia; bensì, di un'interpretazione totalmente diversa del “lavoro” e quindi del “lavoratore”. Nella concezione jungeriana, il lavoratore sarò colui che, tramite il lavoro, utilizza la tecnica per modificare il mondo che lo circonda secondo il suo essere, trovando una sua, e della “comunità” a cui appartiene, realizzazione. Un lavoro, quindi, che permetta di realizzarsi e non legato all'industria che distrugge l'essenza dell'individuo e il mondo che lo circonda. Non è infatti pensabile l'individuo fuori dal contesto ambientale in cui esso vive, e di cui l'ambiente è elemento centrale. E' del tutto ovvio come questa analisi si distanzi tanto dall'individualismo, tipico della società borghese, che spinge il singolo ad isolarsi dalla sua comunità, quanto dalla massificazione, tipica delle ideologie comuniste, che cancellano la possibilità al singolo di realizzarsi appieno.
Junger indica anche quale sarà la “misura” in cui l'Operaio si realizzerà: le “comunità organiche”. Forme sociali (anche se l'autore sottolinea la distanza tra “comunità” e “società”, riprendendo l'analisi di Tonnies) in cui si creeranno rapporti di vicinanza e nelle quali il lavoro sarà concepito in armonia con l'ambiente circostante e le “reali” esigenze di realizzazione dell'individuo.
Junger è consapevole che all'apparenza, e al momento, sembra impossibile vedere segnali di svolta (anche se in realtà li ritiene inevitabili, visto il processo della tecnica), ma non per questo ritiene ci si debba arrendere. Anzi, invita il lettore al “realismo eroico”, impegnandosi a realizzare le “comunità organiche” e a ricercare la realizzazione del sé tramite la nuova concezione del lavoro.
Le conclusioni “politiche” a cui giunge Junger sono tutte all'interno dello Stato, concepito in modo novecentesco, e d'altronde sono figlie dell'epoca in cui lo scritto è stato concepito. Ad oggi, i fenomeni indicati dallo Junger si sono accentuati, con la tecnica, la scienza e la matematica/fisica che si sono trasformate in “religioni” indiscutibili e inattaccabili con la pretesa di imporre le loro regole all'uomo tramite strumenti ben precisi: il capitalismo finanziario, l'atomismo sociale, lo sviluppo infinito, ecc.
Bisogna armarsi proprio di quel realismo eroico auspicato dallo Junger e capire che senza il concetto di “limite” (o “misura” se si preferisce) non vi è possibilità di tornare a una “società” a misura d'uomo. Vanno create quelle “comunità organiche” sul territorio, basate sulla sobrietà; su un lavoro che permetta al singolo di realizzarsi e non di essere schiavo della tecnica e delle macchine; su un vivere in simbiosi con l'ambiente che ci circonda ( e come dice Heidegger ci forma); dove il consumo di beni e merci sia limitato all'indispensabile; dove tra i singoli esistano rapporti solidali e non contrattuali; ecc.
Se abbia ragione Junger a pensare che la tecnica ci porterà inevitabilmente o meno a tale risultato è difficile dirlo, ma che sia possibile lavorare “dal basso” verso tale traguardo (in tante realtà del Mondo ci sono già i primi esempi) è assolutamente possibile e doveroso.