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Il male della politica italiana: ciascuno ha il suo “Consigliori”…

di Claudio Moffa - 06/03/2013

Grillo nelle mani di Casaleggio? E’ veramente questo il problema? I teoremi, o meglio i dogmi ipercomplottisti contro il leader di 5 Stelle non reggono, e sono a rischio di depistaggio rispetto a una lettura obbiettiva di una situazione aperta a diversi sbocchi. In primo luogo perché un’amicizia consolidata non vuol dire che uno è il burattinaio e l’altro il burattino. Assurdo, pensando alla grinta e alla determinazione di Grillo. In secondo luogo perché i problemi che ha il nuovo partito delle 5 stelle, li hanno – eccome – anche il PD e il PDL.
Sul PD soffia infatti il vento del redivivo Renzi, dallo stesso segretario del PD indicato ai margini delle primarie del dicembre scorso come troppo contiguo ai poteri bancari che minacciano l’autonomia del suo partito. Anche nel PD affiora dunque l’onda del noto partito trasversale finanziario che decretò la fine della prima Repubblica con l’alibi della lotta alla corruzione. A ciascuno il suo “nemico-amico interno”, posto che l’amico di Grillo sia – come ben possibile – un collaboratore pietrificato nel suo ruolo di manager, irremovibile nei suoi legami professionali costruiti nel tempo, fino a sfidare il leader del partito che ha contribuito, ma dietro le quinte, a costruire.
Quanto al PDL, anch’esso ha il suo Casaleggio, anzi un Casaleggio all’ennesima potenza anche se formalmente esterno alla macchina organizzativa del partito: Edward Luttwak.
Luttwak è lo stratega più o meno occulto di Tangentopoli 1, con i suoi interventi al vetriolo contro la ‘corruzione’ su L’Espresso di vent’anni fa. Oggi invece difende l’eternamente corr e eternamente inquisito Berlusconi, colui che reagì a Tangentopoli inventandosi Forza Italia e vincendo le elezioni del 1994.
Lo difende, Luttwak, su Il Giornale del 1 marzo, lo stesso giorno in cui esterna la sua ricetta per il difficile post-elezioni in una intervista televisiva sul web di Repubblica, il quotidiano del nemico numero 1 del Cavaliere, De Benedetti: primo, no a Grillo, inaffidabile ‘pazzoide’; secondo, no alla disastrosa linea Monti, aumento delle tasse invece che riduzione della spesa pubblica; terzo, la linea giusta sarebbe invece proprio questa, ridurre ancora la spesa pubblica, distruggendo completamente i residui dello Stato sociale e scatenando un’ondata di licenziamenti nel settore pubblico; quarto, se non si applica questa linea il rischio, ‘avverte’ Luttwak, è la protesta di piazza, la Grecia, una nuova ondata di terrorismo. Domanda: come quello del 1993, rivendicazione islamica da un cellulare israeliano secondo la denuncia di Mancino in risposta alle interrogazioni parlamentari per gli attentati di Roma, Firenze, Milano del maggio di quell’anno?
Una cosa è certa: Luttwak non ha cambiato strategia, è sempre il rappresentante di quella lobby proisraeliana e finanziaria stigmatizzata da Bodrato nel 1992, da Mancino nel 1993, da Pomicino in molti articoli, interviste, saggi degli ultimi anni, da altri autori in interventi vari 1 e da Ruggero Guarini il 10 agosto 2012 su il Tempo: “La caduta del CAF (Craxi Andreotti Forlani) fu organizzata da un circolo ebraico-americano” del quale lo stesso Luttwak – scriveva Guarini – “potrebbe anche essere un distintissimo socio”. Era stato in effetti il politologo americano ad accompagnare Di Pietro nei suoi tour negli Stati Uniti prima dell’avvio dell’Operazione Mani Pulite.
 
Luttwak e Berlusconi, la strana coppia
 
Il politologo ebreo americano è d’altro canto sempre lo stesso: chi deve cambiare è Berlusconi, questo il significato chiarissimo dell’abbinata Il Giornale e Repubblica del 1 marzo scorso. Il programma da imporre è quello suo: una mazzata alla spesa pubblica dieci volte superiore a quella di Monti, semibloccato dal sostegno condizionato PD-PDL. Una minaccia per tutti, per qualsiasi politico (PD, PDL, 5 Stelle) abbia veramente a cuore la sorte del Popolo italiano e perché no l’autonomia della Politica con la p maiuscola dal pressing e dal controllo delle Banche e della Finanza. Ridurre ancora la spesa pubblica vorrebbe dire vere e non solo minacciate e rinviate Privatizzazioni, Debito intoccabile persino nella sua abbondantissima parte usuraria, Disoccupazione e Precarizzazione del lavoro.
Lo spettro della crisi denunciato da Grillo, una minaccia che rischia di inverarsi in tre modi: le 5 Stelle che rifiutano qualsiasi accordo; Bersani che non fa muro rispetto al tentativo di Renzi, magari perché Napolitano – pur dignitosissimo in Germania – sta pensando a lui come premier incaricato; Berlusconi che, tallonato dai processi che continuano a perseguitarlo dal 1994, e privilegiando l’obbiettivo di salvarsi con l’aiuto dell’ ‘amico’ Luttwak rinuncia ad ogni progetto economico riformatore, sul quale ha invece speso tra settembre e dicembre 2012 qualche pur fugace battuta.
Ogni rischio ha la sua percentuale di probabilità: quello imputabile a Grillo potrebbe essere minimo, perché il vincitore delle elezioni sta dimostrando – al di là della solita disinformazione forcaiola - non solo determinazione ma anche duttilità nel perseguire i suoi obbiettivi 2: tranne che a causa della sentenza che lo ha condannato, il leader di 5 stelle non avrà in mano le leve concrete del gruppo parlamentare. E dunque bisognerà vedere cosa accadrà tra i neo-eletti 5 stelle, se cadranno nella trappola del ‘fai da te’ senza seguire chi gli aperto la strada verso il Parlamento.
Il rischio imputabile a Bersani è la sua eventuale debolezza di fronte al pressing dei poteri forti postbipolari e all’opposizione interna dei renziani. Quello di Berlusconi potrebbe essere il più serio. E’ possibile infatti che Berlusconi finisca, sia pure controvolontà, e perché pressato dai magistrati, per essere disponibile a un nuovo cedimento al polizi ‘buono’ della lobby dei poliziotti cattivi che lo attenziona dal 1994. Non è una novità: una politica estera aperta alla Russia di Putin, alla Libia di Gheddafi, persino al Kazhakistan, ma nello stesso tempo prudentissima fino all’autolesionismo per altri scacchieri cruciali come la Palestina e l’Iran, o in ritirata quando la pressione si fa forte, come nel caso della guerra di Libia. Fu Sarkozy a iniziare il bombardamento sulla Jamahiryia mentre – il 19 marzo 2011 – era ancora in corso il vertice di Parigi, Merkel e Berlusconi presenti. Questo non impedì all’allora premier di recarsi a Parigi poche settimane dopo, e farsi fotografare sorridente mentre stringe la mano al criminale di guerra francese, come se fosse lui – il premier italiano – il vincitore della partita apertasi sul fronte dell’immigrazione a causa della guerra della NATO contro il principale alleato dell’Italia nel mondo arabo. La legge Bossi-Fini a pezzi, il Trattato con Tripoli spappolato, nonostante l’encomiabile gestione all’epoca, del ministro degli interni Maroni.
Si dirà, è tattica: una tattica che però non ha dato a Berlusconi, in quasi vent’anni di lotta politica, né vantaggi politici né personali. Sul fronte giudiziario, B ha subito pesanti condanne, dalla sentenza Mondadori alla causa con la ex moglie, un assegno di ‘mantenimento’ semplicemente allucinante. Sul piano politico, nonostante le professioni di fede proisraeliana, nonostante l’inglobamento ai vertici del PDL di prosionisti e antinegazionisti convinti, la riforma della giustizia – la sacrosanta separazione delle carriere sostenuta anche dalla integerrima Clementina Forleo – è ancora di là da venire. Il meccanismo ostruzionistico denunciato dall’ex premier durante la campagna elettorale è assolutamente vero: governare è difficile con le campagne mediatiche combinate a un ordinamento giudiziario controllato nei suoi gangli essenziali fino ai massimi livelli, dai magistrati lobbisti, quelli che Berlusconi continua a chiamare ‘comunisti’ ma lo sono solo nel senso dell’Occhetto della svolta copernicana del 1989, post viaggio a New York e connessi contatti con la Lobby: una svolta che autodistrusse il vecchio PCI per trasformarlo nel partito della massonica Quercia, in transizione verso l’attuale DS.
 
Dalle formule destra-sinistra, ai contenuti: il primo è il recupero della sovranità monetaria
 
Che fare, come sbloccare l’impasse? L’unico modo è passare dalle formule delle alleanze a contenuti precisi, a progetti di legge su cui cercare la convergenza reciproca. Quali? Se veramente l’interesse primario è la difesa del Popolo di fronte all’incombere di una crisi economica che rischia di imboccare scenari greci, occorre essere conseguenti rispetto alle promesse fatte su questo terreno dai diversi leaders, prima e durante la campagna elettorale. Altri temi possono essere o sono fondamentali, a parte il nodo del nuovo Presidnte, ad esempio una nuova legge elettorale o la solita, mitica, necessaria riforma della giustizia. Ma quello della crisi economica è il più urgente di tutti. Il ragionamento è banale, quasi un sillogismo: tutti i partiti, a cominciare da Berlusconi con l’IMU, hanno promesso misure anticrisi di segno opposto a quelli del governo Monti, opportunamente rovesciato nel dicembre scorso dal leader del PDL. Si è sentito di tutto, anche dalla sinistra, ma soprattutto da Grillo e Berlusconi: la chiusura o la riforma di di Equitalia, il rilancio del welfare, la riduzione delle tasse, addirittura il ‘reddito da cittadinanza’ auritiano anche se in realtà confuso con il salario garantito nei periodi di disoccupazione. Tutti hanno promesso e promettono, forse sperando di poter ri-promettere tramite circonvenzione di elettore – e senza passare subito dalle promesse ai fatti - alle probabili imminenti nuove elezioni, rese per taluni ‘necessarie’ dallo stallo di una maggioranza che non c’è.
Quali sono allora le strade per inverare l’abolizione dell’IMU, la riduzione delle tasse, la chiusura o riforma di Equitalia come suo capitolo particolare, la difesa dello Stato sociale, il rilancio delle imprese e dell’occupazione, e così via? La strada non è certo quella di Monti - che ha prodotto impoverimento di massa, chiusura di aziende e recessione – ma nemmeno quella di Luttwak e del ‘partito finanziario’ che sta ricattando Berlusconi: ridurre ulteriormente la spesa pubblica.
L’unica via d’uscita è invece cominciare ad incrinare il dogma della crisi almeno – non pare proprio che esistano qui e ora in Parlamento le basi ‘ideologico-culturali’ per mettere in discussione anche l’intoccabilità del Debito usurario – per quel che attiene la struttura dell’emissione monetaria dell’ultimo ventennio, privatizzata prima dal governo Amato nel 1992, e poi con l’ingresso nell’eurosistema governato da una BCE anch’essa, anziché organo interstatale indirettamente sottoposto al vaglio dei Popoli europei, banca centrale privatistica.
 
Lo Stato deve tornare a stampare banconote
 
Occorre tornare a stampare moneta: lo ha detto Berlusconi tra il settembre e il dicembre dello scorso anno, lo ha detto in varie occasioni anche Grillo, lo ha detto probabilmente il PD, e se dovessi sbagliare, un tal provvedimento è nel Dna storico anche del partito di Bersani. La Repubblica ‘nata dalla Resistenza’ – quella distrutta con la cosiddetta ‘rivoluzione’ di Tangentopoli – ereditò e conservò infatti, esattamente come nel caso dell’AGIP salvata dal partigiano Mattei, la Banca d’Italia quale forgiata dal Fascismo nel 1936: ente di diritto pubblico con monopolio dell’emissione monetaria.
Questo percorso virtuoso, che fu la base giuridico-monetaria del boom economico (fatto anche di una miriade di PMI) e dello sviluppo di uno Stato sociale tra i più avanzati del mondo, è stato distrutto dalla ‘rivoluzione’ di Di Pietro, Luttwak e Semler nel 92-93, con il concorso del compagno Giuliano Amato, oltre che ovviamente della ‘magistratura finanziaria’ ancor oggi potente e intoccabile.
Per carità, nessun estremismo auritiano, che non farebbe poi così male visto che è stato richiamato in diversi progetti di legge di destra e di sinistra dalla seconda metà degli anni Novanta ad oggi. Occorre ‘semplicemente’ ripristinare e riacquisire il maltolto in quella notte del 31 luglio 92 raccontata da Francesco Giavazzi a Sergio Bocconi sul Corriere, un Consiglio dei ministri dimezzato per stanchezza che approvò la trasformazione in Spa dell’intera industria di Stato italiana: un patrimonio immenso, frutto del lavoro di generazioni di italiani, proprietà indivisa e fino allora inalienabile del Popolo italiano, gettato in pasto con un colpo di mano alle belve della finanza internazionale. Un decreto legge, il 333 del ’92, che trascinò con sé anche la privatizzazione di Bankitalia, grazie a quella delle ‘Banche di interesse nazionale’ controllate dall’IRI 3.
Questa privatizzazione va assolutamente abrogata: “primo comandamento, riprendersi il ‘gruzzolo’ del signoraggio” - la differenza cioè tra il costo tipografico di una banconota (1 euro per comodità di calcolo, ma è molto meno) e il valore stampigliato su di essa: 9, 19, 49, 99, 199, 499 euro secondo taglio – che oggi è usurpata dai banchieri privati. 4
Solo così si salverà l’Italia da un Debito altrimenti destinato a restare ‘eterno’. Solo così le promesse elettorali sull’IMU, sul reddito di cittadinanza, sulla ripresa, sulla difesa dei residui dello Stato sociale, potranno trasformarsi da frottole da circonvenzione di elettore (tra l’altro riproponibili nella prossima campagna elettorale, in caso di scioglimento immediato delle Camere) in provvedimenti concreti e efficaci. Per fare tutte le cose promesse occorrono soldi, e i soldi possono venire solo da un ritorno della rendita da signoraggio nelle mani dello Stato italiano, secondo quota assegnata dalla BCE all’Italia5, nel rispetto cioè dei (pessimi e riformandi) Trattati internazionali di Maastricht e Lisbona: attraverso o la ri-nazionalizzazione della Banca d’Italia o la creazione di una nuova Zecca di Stato dotata di monopolio di stampa delle banconote attribuite da Strasburgo all’Italia e circolanti in prima istanza nel nostro paese.
Una soluzione moderata? No, perché il passo è di portata notevole, e potrebbe dare il via a una ‘rivoluzione culturale’ tale da rendere più facili i successivi passaggi verso la piena sovranità monetaria. Una soluzione rivoluzionaria? Si è no, no perché non si stanno proponendo fantasie all’islandese – un paese di circa 300.000 abitanti, dove certe misure radicali sono state possibili proprio grazie al basso numero di abitanti – ma ‘semplicemente’ il ritorno parziale (la sovranità monetaria, a meno di uscire dall’euro ,può essere inverata solo a livello UE) ad un sistema che prima del 1992 aveva quasi 60anni di storia alle spalle, una storia fatta di scelte quotidiane, di prassi consolidata e di trasversalità ideologica destra-sinistra.
Un’ovvietà, questa proposta: ma il primo partito che in questi giorni, più o meno in coincidenza con l’apertura dei lavori parlamentari, tirerà fuori un progetto di legge – quale che sia – sul ritorno della rendita da emissione monetaria alle casse dello Stato, acquisterà tanta credibilità da vincere probabilmente le prossime elezioni.
 
NOTE
 
Note
1 Compreso il sottoscritto già su Liberazione dei primissimi anni Novanta, con un paio di articoli che - in sintonia di fatto con le posizioni di Lucio Libertini sulla ‘normalità’ del finanziamento illecito dei partiti - sostenevano i rischi della cosiddetta rivoluzione, esaltata dall’allora caporedattore Francesco Forgione. Un altro intervento è La questione Israele: una questione di democrazia, una questione ‘globale’ (claudiomoffa.it), ripreso anche da Gadi Luzzatto Voghera in un suo libro sull’ “antisemitismo a sinistra”, una lista nera comprensiva oltre che del mio, anche dei nomi di Carlo Marx, Alberto Asor Rosa, Gianni Vattimo, Barbara Spinelli, Ida Dominjanni, Angelo D’Orsi, Danilo Zolo, Massimo D’Alema e altri.
2 Circonvenzione di elettore e altri scritti, sul blog di Grillo, 2 marzo.
3 Decreto legge 333 sulle “Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica”, che al Capo III art.15 comma 1 recita::  “L’Istituto nazionale per la ricostruzione industriale IRI, l’Ente nazionale idrocarburi ENI, l’Istituto nazionale assicurazioni INA e l’Ente nazionale energia elettrica ENEL sono trasformati in società per azioni con effetto dalla data di entrata in vigore del presente decreto”. 
4 Claudio Moffa, La moneta al popolo, Eu Med 2012. 
5 Vedi la mia proposta di progetto di legge, in Claudio Moffa, La moneta al Popolo, Eu Med 2012, con un fondamentale contributo dell’on. Scilipoti: un vigoroso “Onorevoli colleghi!” aggiunto come incipit, premessa per il suo deposito alla Camera, n. 5536-2012, a firma Scilipoti. Solo a dicembre si è aggiunta la firma del salvamutuo on. Razzi
1 Compreso il sottoscritto già su Liberazione dei primissimi anni Novanta, con un paio di articoli che - in sintonia di fatto con le posizioni di Lucio Libertini sulla ‘normalità’ del finanziamento illecito dei partiti - sostenevano i rischi della cosiddetta rivoluzione, esaltata dall’allora caporedattore Francesco Forgione. Un altro intervento è La questione Israele: una questione di democrazia, una questione ‘globale’ (claudiomoffa.it), ripreso anche da Gadi Luzzatto Voghera in un suo libro sull’ “antisemitismo a sinistra”, una lista nera comprensiva oltre che del mio, anche dei nomi di Carlo Marx, Alberto Asor Rosa, Gianni Vattimo, Barbara Spinelli, Ida Dominjanni, Angelo D’Orsi, Danilo Zolo, Massimo D’Alema e altri.
2 Circonvenzione di elettore e altri scritti, sul blog di Grillo, 2 marzo.
3 Decreto legge 333 sulle “Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica”, che al Capo III art.15 comma 1 recita::  “L’Istituto nazionale per la ricostruzione industriale IRI, l’Ente nazionale idrocarburi ENI, l’Istituto nazionale assicurazioni INA e l’Ente nazionale energia elettrica ENEL sono trasformati in società per azioni con effetto dalla data di entrata in vigore del presente decreto”. 
4 Claudio Moffa, La moneta al popolo, Eu Med 2012. 
5 Vedi la mia proposta di progetto di legge, in Claudio Moffa, La moneta al Popolo, Eu Med 2012, con un fondamentale contributo dell’on. Scilipoti: un vigoroso “Onorevoli colleghi!” aggiunto come incipit, premessa per il suo deposito alla Camera, n. 5536-2012, a firma Scilipoti. Solo a dicembre si è aggiunta la firma del salvamutuo on. Razzi