“Le lobby israeliane ricattano l’Ue”
di Luisa Morgantini - Federico Cenci - 06/03/2013
Fonte: Il Faro sul Mondo
È dal suo ostinato impegno a favore della pace che bisogna partire per tracciare il profilo di Luisa Morgantini. Da anni spende la propria vita in viaggio nei territori del mondo lacerati dalle guerre, “cercando di costruire relazioni tra le parti in conflitto”, come lei stessa spiega. Nei Territori palestinesi occupati la sua è una presenza costante; con l’Associazione per la Pace, di cui fa parte come membro del coordinamento, organizza dal 1988, sin dalla prima Intifada, viaggi “di conoscenza e solidarietà”. Per dieci anni, dal 1999 al 2009, eletta come indipendente nelle liste di Rifondazione Comunista, è stata deputata presso il Parlamento europeo, ove ha svolto anche il ruolo di vice-presidente dal gennaio 2007. L’abbiamo intervistata per ottenere un autorevole riscontro dal fronte dell’attivismo per l’autodeterminazione del popolo palestinese.
Onorevole, quando ha inizio il suo impegno per la causa palestinese?
Nel 1982. La strage nei campi profughi di Sabra e Chatila, in Libano, ha cambiato la mia vita. Corpi straziati, di donne, bambini, anziani, soldati israeliani con a capo Sharon che illuminavano con i fari mentre i falangisti maroniti invadevano e distruggevano. Fino ad allora il Medio Oriente non era nel mio impegno politico. Il mondo è grande ed io facevo la sindacalista nel sindacato unitario dei metalmeccanici a Milano e seguivo l’America latina, in modo particolare la rivoluzione sandinista, il Nicaragua, grande laboratorio di cambiamento, e organizzavo campi di lavoro. Partii per il Libano con altre donne, e poi in Palestina e Israele, nei territori occupati, per capire e vedere chi erano i palestinesi, cosa significava vivere sotto occupazione militare ed anche per cercare di costruire ponti e relazioni nei luoghi di conflitto. Da sola e con altri, con molte donne italiane, palestinesi e israeliane. Un andare e tornare che continua ancora oggi, per far conoscere la verità, per contribuire a far sì che vi sia pace, ma una pace giusta. Oltre che libertà e dignità per tutti e tutte.
In ragione dei mutamenti geopolitici intercorsi in questi anni, in che modo ritiene che sia cambiata la percezione che si ha in Occidente del conflitto israelo-palestinese?
In qualche misura è cambiata la percezione del conflitto, malgrado la continua propaganda israeliana fondata sul vittimismo, sull’idea di esser circondati da nemici che li vogliono distruggere, a partire da tutti i Paesi arabi che negli ultimi tempi chiamano musulmani, cancellando la pluralità e la presenza di altre religioni. Vi è più consapevolezza che se qualcuno viene e ti porta via o ti distrugge la casa, fa pulizia etnica, evacua villaggi, sulla tua terra costruisce colonie, mette in carcere bambini, bombarda senza pietà, impedisce i movimenti, non puoi che essere tu la vittima.
Ma non c’è dubbio che in molti resiste la percezione che il conflitto è infinito, che è l’odio che lo genera e non invece quello che è nella realtà: la prevaricazione, la colonizzazione, l’esproprio di un popolo dalla sua terra perpetrato nella più grande impunità da parte dello Stato israeliano. Così come rimane salda per molti, malgrado milioni di palestinesi resistano in modo pacifico ad una brutale occupazione militare, l’idea che i palestinesi siano terroristi.
Anche nei governi è cambiata la percezione di Israele. Molti hanno capito ma non si comportano in modo coerente. Ci sono due pesi e due misure, Israele rimane impunita per tutte le violazioni delle risoluzioni della Nazioni Unite e dei diritti umani. A parte i movimenti della società civile, nessun governo e neppure le Nazioni Unite osano chiedere azioni concrete come sanzioni economiche per indurre Israele al rispetto della legalità internazionale.
È molto frequente che coloro i quali denunciano i crimini israeliani vengano tacciati di antisemitismo. Perché e come si è generato questo equivoco?
Questo è uno dei ricatti più forti che lo Stato israeliano e le lobby fanno nei confronti di chi osa criticare la politica israeliana. Non ci sto. Non tutti gli ebrei sono israeliani, questa distinzione per me è fondamentale per non cadere nell’antisemitismo, e non tutti gli israeliani condividono la politica di Israele. Molte loro voci sono radicalmente critiche circa la politica coloniale praticata da Israele e attive per difendere il diritto del popolo palestinese a vivere sulla propria terra in libertà. Questi vengono accusati di essere “ebrei che odiano gli ebrei”.
Io sono di una generazione che ha visto la seconda guerra mondiale, mio padre ha fatto il partigiano sulle montagne dell’Ossola per difendere la sua libertà e quella degli ebrei dal nazifascismo. Sono cresciuta con la frase “mai più”; mai più guerra, mai più olocausto, una tragedia che non dovrà ripetersi mai più per nessuno. Purtroppo molti israeliani pensano che il “mai più” non sia il “mai più per nessuno”, ma il “mai più per noi ebrei”. Ciò li porta a non riconoscere il diritto degli altri e ad usare il ruolo di vittima per opprimere e violentare un altro popolo. Le responsabilità degli europei non possono essere pagate dal popolo palestinese.
A proposito d’Europa, spesso viene attribuita all’Unione europea una scarsa attività di politica estera. Qual è la testimonianza di colei che ha svolto un ruolo istituzionale, di primissimo livello, nel Parlamento europeo?
Con molto disprezzo, Sharon diceva degli europei, parafrasando un noto politico nord-americano, “sono dei pagatori e non dei giocatori”. Noi ci mettiamo apposto la coscienza perché permettiamo ai palestinesi con i nostri aiuti economici di sopravvivere, assumendoci la responsabilità al posto di Israele visto che la convenzione di Ginevra prevede che sia il Paese occupante a farsi carico del benessere della popolazione occupata.
In realtà, in merito alla questione israelo-palestinese, a Bruxelles fa scuola la politica statunitense di totale complicità con i governi israeliani. Questa passività viene giustificata con la motivazione delle differenze di opinione politica tra i governi che compongono l’Unione europea ed il fatto che, pur avendo fatto dei passi avanti con la scelta di un responsabile per la politica estera, non è ancora stata definita una politica estera comune. E valgono le lobby messe in atto da Israele che continuano a ricattare con l’accusa di antisemitismo ogni volta che si pensa di agire nei loro confronti. Ma anche qui la ragione profonda è che Israele al momento della sua nascita rappresentava l’Occidente in un’area considerata di conquista da parte degli Usa e dell’Unione Sovietica. Ogni volta che al Parlamento Europeo votavamo risoluzioni – per esempio per la sospensione degli accordi di associazione d’Israele con l’Ue dato che all’articolo 2 si dice che se un Paese viola i diritti umani, l’accordo deve essere sospeso – la risposta dei Commissari Europei era sempre che se avessimo imposto sanzioni a Israele, l’Europa non avrebbe potuto svolgere il ruolo di mediazione. Niente di più sbagliato, perché questo atteggiamento permette ad Israele di continuare a confiscare terra e vita ai palestinesi.
Quanto i contrasti interni al popolo palestinese ostacolano la realizzazione della causa comune? Come valuta la repressione che in Cisgiordania i funzionari dell’Anp perpetrano ai danni dei miliziani della Jihad islamica?
I contrasti interni sono molto importanti e sono certamente di responsabilità palestinese, non tutto è responsabilità dell’occupazione militare israeliana. La Palestina e i palestinesi hanno sempre rappresentato la laicità e la democrazia nel mondo arabo. Arafat ha sempre fatto vanto di avere una popolazione di diverse religioni. La dichiarazione dell’OLP, dello Stato di Palestina, del novembre 1988 è quella di uno Stato laico e democratico. La crescita dell’islamizzazione con un partito come quello di Hamas che ha vinto le elezioni è stato un grave passo indietro per la laicità dei palestinesi. La divisione però è stata anche alimentata dal non riconoscimento da parte delle potenze occidentali della vittoria diramata alle elezioni, che sono state riconosciute da tutti gli osservatori internazionali come un esempio di democrazia. Al di là dei problemi di corruzione, che non è maggiore di quanto lo sia in Israele o nei nostri Paesi, ciò che la popolazione palestinese contesta all’autorità palestinese e ad al Fatah, è che le condizioni di vita dei palestinesi sono peggiorate nettamente.
La seconda Intifada e le azioni militari condotte dai gruppi armati di Al Fatah o le azioni di kamikaze contro la popolazione civile israeliana condotte da Hamas o dalla Jihad islamica, sono state devastante per chiunque le ha pagate con la vita, palestinesi e israeliani. Ma soprattutto per i palestinesi che hanno subito bombardamenti, distruzione di città, arresti. Ora queste azioni non ci sono più, ma Israele continua nella costruzione del muro, nel tenere sotto embargo Gaza, nell’impedire la libera circolazione dei palestinesi, soprattutto nel confiscare terra e acqua ai villaggi palestinesi.
L’Anp ha scelto di combattere per la fine dell’occupazione militare senza l’uso di azioni militari. Ritengo che sia giusto che l’Anp sequestri le armi ai cittadini palestinesi. Altresì penso che sia profondamente sbagliato che membri di Hamas o della Jihad islamica o di altre formazioni vengano picchiati e torturati nelle carceri dell’Anp. Anche se su questo sono stati fatti miglioramenti e le Ong per i diritti umani palestinesi, con la collaborazione del governo di Salam Fayyad, stanno cercando di impedire questa violazione dei diritti umani. Purtroppo le polizie sono uguali in tutto il mondo, ma certo non ci si aspetta un comportamento simile da chi ha sofferto nelle carceri israeliane.
Quali, a suo avviso, le prospettive future per la Palestina alla luce dei seguenti due elementi: l’ingresso della Palestina all’Onu come “Stato osservatore” e la perseveranza israeliana nell’edificazione di colonie.
L’ingresso all’Onu per ora è stata una vittoria solo diplomatica, importante sì, ma sul territorio non è cambiato nulla. Israele continua con più celerità che mai a costruire colonie e reprimere la resistenza nonviolenta dei Comitati Popolari, che sono la grande speranza della Palestina. Comitati, questi, contro il muro e l’occupazione. Le loro sono lotte esemplari, basta pensare ad una delle ultime azioni, quella di costruire un villaggio di tende su un territorio palestinese dove Israele intende costruire una nuova colonia. Lo hanno fatto per dire “questa terra è nostra, abbiamo il diritto di costruire il nostro villaggio”. Il nome di questo villaggio è Bab Al Shams, la porta del Sole. Naturalmente i soldati israeliani lo hanno distrutto, picchiando e arrestando. Ma la resistenza continua.
Non vedo molte possibilità di risolvere la situazione, chi ha la forza per farlo è la comunità internazionale, dall’Onu agli Stati Uniti, all’Europa, all’Asia, all’Africa. Ma siamo in un mondo in cui le guerre crescono come le diseguaglianze. Non vedo come si possano cambiare le politiche dei nostri governi ed imporre ad Israele il rispetto dei diritti umani e della legalità internazionale.
Ma noi continuiamo a resistere, a tenere aperta una striscia di futuro ed a lottare con i palestinesi e con quegli israeliani che considerano il diritto a vivere in libertà e dignità uguale per tutti e tutte.