Adesso la palla sta a Grillo e Berlusconi
di Claudio Moffa - 07/03/2013
Fonte: claudiomoffa.indo
Renzi è scomparso dalla scena del PD. Sembra difficile che possa rientrarvi con le primarie a cui ha accennato qualche giorno fa. Si dice che possa finire nelle braccia di Monti, percorso comunque coerente perché il significato della sua autocandidatura a premier avrebbe avuto il significato di un governo “Monti” senza il premierato Monti, ma più forte grazie al partito trasversale finanziario emergente Renzi-Luttwak. Fuori uno. Adesso – a fronte di un programma minimo di Bersani interessante anche se incompleto, che non risolve in particolare il problema di dove trovare i soldi per quanto promesso tranne che non si assuma finalmente la questione della rendita da sovranità monetaria - le palla sta a Grillo e a Berlusconi.
Di Grillo non so. Ipotizzo che il problema di 5 stelle non sia affatto Casaleggio (ho visto un video demenziale che si fondava su questa equazione: Casaleggio ha fatto carriera con la rete, è in contatto con X e Y – e al comando della rete chi si incontra quasi sempre se non i cugini del signor Zuckerman? – ergo è un criptosionista. Bah!) ma invece e piuttosto la sua filosofia ‘antipolitica’ che può andare verso il no continuo ad ogni ipotesi costruttiva, e la non facile gestione di un partito costruito in rete e sulle piazze che può aver imbarcato anche ingenui o addirittura infiltrati rema-contro.
La palla vera sta a Berlusconi: Alfano e Quagliarello – due elementi di punta della solita pattuglia PDL pro-Europa delle banche e con annessi i soliti referenti geopolitici – hanno parlato solo di riforma della giustizia e riforma elettorale, per poi andare rapidamente al voto a ripromettere l’abolizione dell’IMU. Del resto - è bene ricordarlo per capire come ragionano certi leaders del PDL - la Santanché ebbe a tifare Renzi durante le primarie, in odio a un inesistente pericolo comunista.
Alle spalle di questa tendenza finanziaria nel PDL emerge l’ombra maligna dello sponsor di Tangentopoli 1, Luttwak, che nel 92 distrusse il CAF e aprì la strada alle privatizzazioni di quell’anno poi finite agli avvoltoi della finanza transnazionale: Luttwak che ora appoggia Berlusconi sui processi che ricattano il leader PDL, mediando con il partito di Repubblica sceso in campo due giorni fa, con il suo direttore Scalfari a caccia di un ‘Bersini’ – Renzi, direi - senza per fortuna averlo trovato.
Che fare? Berlusconi ha due o tre strade davanti: o lavorare a sfasciare tutto per poter riandare ‘vergine’ verso la nuova campagna elettorale, durante la quale tornare a promettere mari e monti anticrisi; o insistere nel corteggiamento di Bersani, ma allora deve mollare Luttwak e ritornare a parlare di IMU, di reddito minimo di inserimento etc, cioè i punti economici fatti propri dalla direzione del PD.
Oppure, variante sul tema, lanciare un’offensiva diplomatica verso Grillo, ma di nuovo insistendo sui temi economici, visto che peraltro le 5 stelle vedrebbero (purtroppo) come fumo agli occhi una riforma della giustizia, così come presentata (purtroppo: sempre attorno ai suoi casi personali, e senza mai creare un movimento di massa di cittadini stanchi delle nefandezze dei magistrati) da Berlusconi e dalla sua stampa.
Per far questo però occorrerebbe una svolta di rottura con un passato che dura praticamente vent’anni: il pensare di poter rinnovare il paese e di tornare allo spirito del 1994, dando spazi di potere enorme al partito finanziario – spesso coincidente con la lobby proisraeliana - dentro il suo partito. Una tattica che gli ha dato quasi nulla sul piano personale (i processi Mondadori e sulla separazione coniugale) e nulla su quello politico: vedi la mai realizzata riforma della giustizia, oggi agitata come una possibile carota davanti al naso del centrodestra, ma che rischia di finire come tutte le altre volte, dagli anni Novanta al governo Berlusconi costretto alle dimissioni nel novembre 2011, in un bel nulla.