Camminare con il collo girato all’indietro
di Miguel Martinez - 20/03/2013
L’altro giorno, su una mailing list che seguo – anche nel senso di condividerne gran parte dei contenuti – ho letto una serie di interventi riguardanti una manifestazione antifascista svoltasi a Firenze.
La manifestazione contestava una micromanifestazione di destra che a sua volta ricordava le foibe, all’insegna sottintesa dello slogan, “vogliamo essere vittime anche noi!” Che a Firenze, la destra fa ridere solo a nominarla.
Una questione molto piccola, ma interessante per il ragionamento che alcuni intervenuti facevano nella mailing list. Che era in sostanza questo.
Fare una storiografia che metta in dubbio il valore positivo della Resistenza o quello negativo del fascismo vuol dire mettere in dubbio la Costituzione. E mettere in dubbio la Costituzione vuol dire mettere in dubbio ciò che la Costituzione tutela – ad esempio la salute, il paesaggio, il lavoro e la scuola. E quindi una serie di cose che ci riguardano molto da vicino.
A prima vista, il discorso qualche senso ce l’ha.
Innanzitutto, è vero che l’Italia ha una Costituzione che tutela diritti che altre costituzioni nemmeno prevedono: quella degli Stati Uniti non conosce ad esempio il diritto alla salute, che non è poco.
Per usare un termine discutibile, quella italiana è una della costituzioni più avanzate del mondo.
Inoltre, sicuramente molta divulgazione storica revisionista nasconde finalità politiche.
Tant’è che i revisionisti, sempre pronti a prendersela con partigiani slavi o italiani, tacciono – ancora più degli antifascisti – sul massacro scientifico della popolazione civile nei bombardamenti angloamericani.
Però è anche vero che alla base di entrambi i discorsi – antifascista e revisionista – c’è l’idea che il passato deve essere ciò che conviene al presente; e che rivedere il passato, in un senso o nell’altro, costituirebbe una forma di tradimento, perché porterebbe acqua al mulino del nemico.
Il problema non è tanto, se su singole questioni storiche una parte o all’altra abbia ragione, ma l’intero meccanismo.
Che poi non è un’invenzione moderna: tutti i sistemi di dominio si basano, da sempre, sul passato come fondamento del presente, ciò che Jan Assmann chiama la memoria culturale.
E siccome la funzione del passato è mantenere il presente, il passato viene continuamente consolidato, riaffermato e se occorre reinventato e tutte le crepe che emergono vengono stuccate. L’infinita varietà degli esseri umani reali dei tempi andati deve essere sostituita da un quadro immacolato, in cui buoni e cattivi siano immediatamente identificabili.
Ma se il presente ha senso solo perché legittimato dal passato (che poi è quello reinventato per il presente), si finisce per camminare in avanti con la testa rivolta sempre all’indietro.
Che è un modo garantito per inciampare pesantemente negli ostacoli che stanno davanti a noi.
Ma come la mettiamo con l’intangibilità della Costituzione?
Ora, come dicevo, si tratta probabilmente di un’ottima costituzione.
Ma che cos’è una costituzione? E’ una sorta di contratto fondante di qualcosa di ben preciso: un immenso dispositivo giuridico, militare, fiscale, poliziesco, educativo, impiegatizio, sanitario, linguistico, informativo, simbolico, carcerario e proprietario che si appropria fino all’ultimo angolo di un determinato territorio, denominato Stato-Nazione.
E’ una cosa molto particolare, che riguarda quello che nella storia umana è stato appena un attimo. Il suo apice coincide – non casualmente – con l’era di massiccio consumo di carbone e di massiccia produzione dell’acciaio.
Certo, lo Stato-Nazione si è diffuso ovunque, seriamente nei paesi ad alto consumo energetico, come caricatura in quelli a basso consumo energetico; tolto il particolare status dell’Antartide, nessun angolo di terraferma oggi sfugge all’obbligo di avere confini, bandierine e – di solito – anche costituzioni scritte.
Sentiamo però che ovunque nel mondo, questa struttura è entrata in profonda crisi, per una sinergia di fattori vari ed enormemente potenti.[1]
Magari la sua forma durerà ancora per chissà quanto tempo, ma l’essenza si sta irrimediabilmente sgretolando.
Non è un bene o un male, è semplicemente, ritengo, un fatto.
Riassumiamo.
La Costituzione è uno splendido contratto che regola l’immenso e complesso dispositivo che si chiama Stato-Nazione Italia.
Quel dispositivo è, a mio avviso, in via di inevitabile disfacimento.
Con il collasso del dispositivo, è inevitabile che il contratto che lo teneva insieme finisca per essere sempre più un insieme di parole a vuoto, che ancora godono di una certa (e meritata) aura, ma che con il tempo la perderanno completamente. E non per colpa di “storici revisionisti”, di cui si sopravvaluta enormemente la forza.
Ammettere tutto questo è duro, soprattutto perché in queste condizioni storiche, non vediamo alcuna alternativa attraente.
Un conto è abbandonare una nave vecchia per una nuova, un altro è sentire semplicemente che la nave su cui ci troviamo sta affondando in mare aperto.
E’ allora che si cerca disperatamente un colpevole – non è probabilmente casuale l’intensificarsi dell’emotività antifascista in ciò che resta della sinistra.
La questione non è se il fascismo abbia “fatto qualcosa di buono o no”, o se sia lecito dirlo.
La questione è che il fascismo è stato un modo non contrattuale (e quindi non costituzionale) di tenere insieme lo stesso Stato-Nazione dell’era del carbone.
Il fascismo ha associato il modello ideologico del Risorgimento con quello pratico degli eserciti di massa degli “Uomini d’Acciaio“.[2] Fu questa l’essenza del fascismo, non i saluti romani allo stadio fatti da giovani marginali, e nemmeno la xenofobia diffusa oggi per motivi che non hanno nulla a che fare con il livellamento delle differenze in nome della “sacra Nazione”.
Avere un nemico può essere utile. Ma il rischio è che fissandosi su un nemico del passato, si perda completamente la possibilità di sapere come vivere nella nuova realtà in cui stiamo entrando, e dove il privante – colui che priva gli altri di accesso ai beni comuni – rischia di divorare tutto.
Chiaramente, questa è solo una tesi.
E’ la mia tesi. Forse mi sbaglio a credere alla transitorietà del dispositivo Stato-Nazione, con tutto ciò che ne consegue. Ma se qualcuno ha voglia di discuterne, si concentri proprio su questo punto, non sulle foibe o la bellezza della Costituzione.
Note:
[1] Non entro nei dettagli, che comunque sono quelli segnalati da tanti che vanno da Ugo Bardi a Luigi Sertorio, a Thomas Homer-Dixon. Per dare un’idea della complessità di fattori a cui non ci pensiamo: Régis Debray ricorda come lo Stato Nazione sia nato imponendo il monopolio del telegrafo, e sia entrato in crisi (anche) nel momento in cui i privati sono diventati più veloci dello Stato nel diffondere informazioni. Quando il politico inizia a rincorrere i media, anziché detenere lui il controllo delle informazioni, lo Stato è già finito.
Ovviamente, mi posso sbagliare. Potrebbe davvero essere tutta colpa della Banca Centrale Europea, dei politici ladri, della P2, dei comizi di Borghezio, di Casa Pound, degli insegnanti lavativi-e-di-sinistra, di Silvio Berlusconi, dell’Euro o degli immigrati.
[2] Alberto Mario Banti, in Sublime madre nostra. La nazione italiana dal Risorgimento al fascismo, documenta bene la continuità tra pensiero risorgimentale e fascismo; e l’affinità quindi tra il fascismo e quell’antifascismo che si rifaceva alle stesse radici. In fondo, si trattava di modi diversi di affrontare la stessa realtà.