La filocalia. La via del distacco attraverso una lettura esoterica del Vangelo
di Massimo Mannarelli - 24/03/2013
Il mantra non è, solo, un suono, ma anche una combinazione di livelli di energia molto potenti: ogni lettera di un mantra, infatti, oltre ad avere un colore e una frequenza contiene in sè la natura peculiare di un elemento. L’apparente suono grossolano che esso produce diviene, nella recitazione stessa, sottile melodia. Essa possiede quattro livelli di esistenza, il cui livello più alto per la sua potenza è in grado di rompere le barriere dell’inconscio e risvegliare dunque la kundalini.
Per recitare e ripetere un mantra sarebbe, secono alcuni maestri, opportuno sapere innanzitutto quale mantra recitare, divenendo esso la sintesi e l’unione di differenti varianti in corso, facendo si che esso diventi compatibile con la nostra vera natura.
Molti guru esortano a cercare il mantra all’interno della propria cultura affinchè egli non si disperda in facili esterofilismi, tuttavia colloquiando, a riguardo, con un maestro zen, egli sosteneva che l’incomprensibilità della formula da recitare può permetterci di soffermarci maggiormente sul suono in sè invece che sulla parte letterale.
Tuttavia nella tradizione occidentale si è soliti pensare che la ricerca e la pratica di un mantra sia una metodologia forestiera, una sorta di formula magica ed eterodossa incompatibile con la cultura di appartenenza.
Chiunque intraprenda un viaggio alla ricerca dal sacro mantra percorre, inevitabilmente, le strade che portano verso oriente, transitando nella formule riconducibili all’induismo, al buddhismo, ed alle loro diverse sfaccettature sino a giungere al sufismo islamico.
Io stesso in un periodo della mia vita percorsi il mio personale viaggio alla ricerca del sacro mantra. Durante il mio cammino spirituale mi soffermai per un certo periodo di tempo in un pensatore, che se in primo tempo snobbai, in un secondo momento imparai ad apprezzare.
Questo maestro bengalese dal nome Paramahansa Yogananda oltre ad essere l’autore di diversi libri famosi, strada facendo mi ha incuriosito nella sua affermazione di una comunanza fra Vangelo e Bhagavadgita, unendo insieme nella sua Self Realization Fellowship, la figura di Krishna e Gesù, considerati entrambi come due avatar. Egli sostiene una tesi già sostenuta, per altro, da Arthur Schopenhauer, se il secondo sostiene che il Cristo sarebbe entrato in contatto con dei Bramini induisti durante la sua permanenza in Egitto, il primo afferma che i tre Re Magi che si recarono a Betlemme altro non fossero che tre saggi orientali, che Gesù avrebbe raggiunto, in quel lasso di tempo in cui non si hanno testimonianze storiche certe (ossia dal compimento dei 14 a quello dei 30 anni) l’India, attraverso la ben nota via commerciale che collegava il Mediterraneo con la Cina e con l’India. Gesù non solo sarebbe un avatar, ma anche un maestro yoghi che, con un messaggio semplice, sarebbe stato in grado di spiegare la via della realizzazione spirituale al suo popolo. Gesù quindi sarebbe il nome dato alla nascita e Cristo quello onorifico.
Tal pensiero si riassume nei testi Il Vangelo secondo Paramhansa Yogananda e nello Yoga di Gesù, quest’ultimo è un breve saggio per comprendere gli insegnamenti spirituali ed esoterici del Nuovo Testamento. Egli richiama più volte gli atti di Giovanni, considerando i suoi atti la parte più mistica e spirituale di tutti i libri apostolici, spingendosi, talvolta oltre l’inaspettato, citando addirittura Madre Teresa D’Avila, molto cara soprattutto ad alcuni Mariani. Nel Cammino della perfezione della monaca spagnola, vi è tutto ciò che richiama ad una vita mistica e contemplatiiva secondo i modelli più elevati dello spirito.
Per Yogananda amare Dio con tutta la tua mente significa ritirare l’attenzione dai sensi e darla a Dio, dare a Lui tutta la propria concentrazione nella meditazione, egli richiama all’esigenza di fissare sempre il pensiero sul Signore attraverso una forma di incessante preghiera, che partendo dalla parola guinga alla preghiera del cuore.
D’un tratto mi accorsi di aver letto qualcosa del genere in un testo dal titolo Racconti di un pellegrino russo, sentendomi come quell’uomo che nel cercare disperatamente i propri occhiali d’un tratto si accorge di averli sotto gli occhi. Questa opera anonima apparsa per la prima volta nel 1870, venne , poi, ripubblicata a Kazan’ nel 1884, rimane ancora avvolta nel suo mistero, forse fu copiata dal padre Paisij (1883), superiore del monastero di San Michele dei Ceremissi a Kazan’, da un manoscritto posseduto da un monaco russo dell’Athos. Oppure, secondo altre fonti, verso il 1860, il manoscritto si sarebbe trovato tra le mani di una monaca diretta dallo starec Ambrogio, del famoso eremo di Optina Pustyn’.
Il personaggio centrale dell’opera è un contadino che avendo perduto tutto, entra una domenica in una chiesa dove ode questa frase di san Paolo: «pregate incessantemente». L’esortazione lo induce a mettersi in cammino, e sarà d’ora in avanti il suo viatico. Il pellegrino cerca l’uomo che saprà spiegargliene il significato ed insegnargliene la pratica. All’età di 30 anni (l’etò del Cristo) si reca a Optina per ricevere l’insegnamento dello starec (il termine russo starec indica in senso etimologico l’anziano e, per estensione, il padre spirituale) Macario, predecessore di Ambrogio. Egli ricerca e trova l’abate, capace di vedere distintamente secondo lo spirito, il quale si trasforma in nocchiero e guida del suo discepolo chiamato a volgere le spalle all’Occidente per incamminarsi verso il suo Oriente. L’anziano costituisce un modello, la vista del quale può talvolta insegnare più delle parole. La parola commuove, mette in cammino o scuote il viaggiatore e conduce ad uno sconvolgimento interiore: la metànoia. Da dove gli viene l’appello, là egli deve cercare. Mi domandai allora se esistesse una sorta di mantra cristiano.
Molti penserebbero subito ad una forma di viaggio gnostico all’interno del cristianesimo, oppure ad una sorta di pratica occulta nata dalla travisazione del testo sacro, invece la risposta la ebbi direttamente dal Vangelo stesso.
Nel testo in questione siamo esortati a prendere una matita ed annotarsi prima il capitolo 6 di Matteo e leggere i versetti dal 5 al 9, dove abbiamo la preparazione e l’introduzione all’orazione, qui vi si insegna che non bisogna iniziare a pregare per vanagloria o rumorosamente ma nella pace di un luogo solitario; pregare solo per ottenere il perdono dei peccati e l’unione con Dio. Poi più avanti nello stesso capitolo dal versetto 9 al 14, ci è data la forma dell’orazione e le parole da usare, per comprendere l’efficacia di tale orazione dobbiamo proseguire ai versetti 14 e 15. Passando al capitolo 7, nei versetti 7-12 vi si troverà, infine, come fare perchè la nostra orazione agisca e siano audaci le nostre speranze.
Qualcosa di simile troviamo nella guida spirituale pratica Nella nube della non conoscenza, scritta nel XIV secolo da un anonimo scrittore inglese; a riguardo perfino Aldous Huxley scriveva: «La Nube e alcuni sermoni di Eckhart sono le cose più preziose che ci sono giunte dal Medioevo».
Il concetto di base espresso è che tra la nostra capacità di conoscere e di comprendere e la misteriosa realtà di Dio vi è un’impenetrabile nube di ignoranza, ma vi è pure un’altra nube, che invece può permetterci di entrare in diretta comunicazione e in intima comunione di amore con Dio: la nube dell’oblio, della dimenticanza, dell’abbandono totale di ogni realtà esteriore e infine anche di sé, che ci protende interamente verso l’ignoto e infinitamente insondabile amore divino. Il mistico contemplativo si trova quindi a metà strada tra il cielo e la terra, avvolto in una doppia nube, e si rende conto che Dio non può essere conosciuto attraverso la ragione e la conoscenza sensibile. Solamente l’amore può penetrare il velo che nasconde la divinità ai nostri occhi. Anche in questo lavoro vi è la ricerca di una parola sola che si sradica dal logos greco e diviene sillaba sacra sul modello induista, questa ricerca trova, matita alla mano, ancora vivacità nei Vangeli.
Proseguendo noi, matita alla mano, è opportuno sottolineare, su consiglio del pellegrino russo, altri passaggi del Vangelo, basta soffermarsi in Marco, capitolo 14, versetti 32-39 dove lo stesso Gesù Cristo nel Getsemani ripete più volte pregando le stesse parole. Lo stesso esempio sulla reiterazione dell’orazione ce lo offre anche Luca 11, 5-13, nella parabola dell’amico a mezzanotte, ma anche in quella sempre di Luca 18, 1-8, sulla insistente richiesta della vedova importuna, mettendo il luce il comando di Gesù Cristo secondo il quale bisogna pregare sempre, in ogni tempo e in ogni luogo, senza scoraggiarsi, e senza impigrirsi.
Ma l’apice della dottrina fondamentale dell’orazione segreta ed interiore del cuore la troviamo, con il beneplacito di tutti, in Giovanni. Questo suo Vangelo, il più gnostico ed esoterico per i neopagani, rimana tuttavia per i cristiani l’esempio più alto di misticismo e profondità.
Esposto, da Giovanni al capitolo 4, versetto 5 al 25, prima nel profondo racconto di Gesù Cristo a colloquio con la Samaritana, dove è rivelata l’adorazione in spirito e verità, che Dio stesso desidera e che è la vera e incessante orazione, l’acqua viva e saliente. Più avanti al capitolo 15, dal versetto 4 all’8, risultano ancora più chiaramente il potere e la necessità dell’orazione interiore, cioè la presenza dello spirito in Cristo in un incessante ricordo di Dio. Per concludere con la lettura dei versetti 23-25, dove è rivelato il mistero. Qui scopriamo quale forza immensa abbia l’orazione nel Nome di Gesù, o la cosidetta preghiera di Cristo, cioè Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi pieta di me che qualcuno riassume col semplice Kyrie Eleyson.
Secondo gli starec ripetendo con frequenza e costanza questa orazione, per non usare il foresterismo mantra, essa apre con facilità sorprendente il cuore e lo riempie di luce. Essa è la Filocalia, che rappresentò, quando uscì nel XVIII secolo, un evento importantissimo per la vita cristiana. Dinanzi al trionfare, infatti, dell’illuminismo, essa segnò, invece, la scelta di tutta una Chiesa per la Rivelazione e la Tradizione autentica contro una visione di fede troppo intellettualistica e filosofica. Dio non è astratto; Egli si rivela e conversa con gli uomini nella nostra carne (Bar 3, 37); una realissima conoscenza e comunione con Lui è possibile.
Il sufi islamico Rumi, comunque, sostiene Filocalia significa “amore della Bellezza”; non della bellezza – calia – intesa esteticamente ma religiosamente, nel significato del risveglio della coscienza nella pienezza dell’Essere. La “Bellezza” infinita di Dio si rivela al cuore dell’uomo che perviene al culmine dell’esperienza orante, come ardente pienezza dell’Essere; beatitudine armoniosa; amore e pace; annullamento dei limiti della creatura nel mistero divino; vita, gioia, libertà. “Ch’io sia ammaliato dalla tua Bellezza, ch’io sia attratto vicino a te, che l’incandescenza dell’amore puro, penetrando nella roccia del mio essere, lo trasformi in un puro rubino”.
La Filocalia stringe se stessa nell’esicasmo, ossia quel sistema spirituale di orientamento essenzialmente contemplativo che ricerca la perfezione (deificazione) dell’uomo nella unione con Dio tramite la preghiera incessante. Tuttavia ciò che caratterizza tale movimento è sicuramente l’affermazione della eccellenza o della necessità della stessa hesychia, della quiete, per raggiungere la pace con Dio. In un documento del monastero di Iviron del monte Athos, si legge questa definizione: «L’esicasta è colui che solo parla a Dio solo e lo prega senza posa». A tal punto che è possibile, senza mezzi termini, parlare di uno Yoga cristiano, così come scrive bene il contemporaneo padre Giovanni Vannucci, per quanto i vecchio pensatori della filocalia sostenevano che il Cristo non avrebbe conciliato con l’induismo ma al contrario, sarebbero stati alcuni saggi indiani ad esser entrati in contatto col cristianesimo travisandolo.
Possiamo concludere, senza mezzi termini, che perfino la civiltà cristiana, nelle sue continue, e talvolta discutibili, trasformazioni è in possesso di un mantra, attraverso una corrente di pensiero che andrebbe, a mio parere, riscoperta e vissuta nella sua bellezza e nel suo atteggiamento di distacco dalla vita moderna.
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Testi consigliati
Anonimo, Racconti di un pellegrino russo, Bompiani 2003.
Anonimo del XIV secolo, La Nube della non conoscenza e gli altri scritti, Ancora Editrice, Milano 1997.
Jalal Al Din Rumi, Mathnawi. Il poema del misticismo universale (6 volumi), Bompiani.
Leloup Jean-Yves, L’esicasmo. Che cos’è come lo si vive, Editore Gribaudi (collana Fonti spirituali russo-ortodosse) 1992.
Meister Eckhart, La via del distacco, Arnoldo Mondatori Editore, Milano 1995.
Paramhansa Yogananda, Il Vangelo di Gesù secondo Paramhansa Yogananda – 4 volumi, Vidyananda Edizioni 1999.
Paramhansa Yogananda, Lo Yoga di Gesù. Come comprendere gli insegnamenti esoterici dei vangeli, Astrolabio Edizioni 2011.
Teresa d’Avila (santa), Cammino di perfezione, Paoline Edizioni
Vannucci Giovanni, Filocalia. Testi di ascetica e mistica della Chiesa orientale [vol 1 e 2] (Ricerca del Graal)
Vannucci Giovanni, Lo yoga cristiano. La preghiera esicasta (Ricerca del Graal)