Musulmano o costruito dai robot: il Papa di fantascienza finisce così
di Gianfranco de Turris - 24/03/2013
Le religioni (e la teologia) sono argomenti che hanno sempre attirato gli scrittori fantastici e fantascientifici. In particolare la Chiesa cattolica, sotto il profilo temporale e spirituale, ha ottenuto attenzione speciale sia in positivo che negativo. Molti autori ne hanno preso spunto per le loro ipotesi proiettate nel futuro. È soprattutto la fine della Chiesa che ha sollecitato la loro immaginazione. Il concetto di «fine» può infatti intendersi in molti modi: una religione che ha anche un potere temporale può concludere la propria missione in forme diverse. Ovviamente le cosiddette Profezie di Malachia sono spesso lo spunto di base, specie negli ultimi anni dato che ci si avvia alla conclusione dell’elenco dei papi contenuto in quello scritto, pubblicato per la prima volta nel 1595 in appendice a «Legnum Vitae» di Arnold de Wyon. Molti sostengono invece che sia un testo realizzato intorno al 1590 da un famoso falsario, Alfonso Ceccarelli, una specie di Simonides umbro.
Sia come sia, in base a quella elencazione, che parte da Celestino II nel 1143, l’attuale Benedetto XVI sarebbe il 111esimo e penultimo della serie con il moto «De Gloria olivae». Subito dopo c’è una citazione che alcuni interpreti riferiscono a questi, mentre la maggioranza intende come riferita al 112° e conclusivo pontefice: «Durante l’ultima persecuzione di Santa Romana Chiesa siederà (sul trono) Pietro Romano che pascerà il gregge in mezzo a molte tribolazioni; terminate queste la città dei sette colli sarà distrutta, e il terribile Giudice giudicherà la gente».
Questa conclusione apocalittica, in linea con molte altre profezie cristiane, non poteva non colpire certi scrittori che l’hanno intesa in modi diversi. Una Chiesa e un Papato possono estinguersi e crollare non solo e non tanto materialmente, quanto spiritualmente, concludendo, fallendo o distorcendo la loro missione. E così per primo si deve ricordare il grande rimosso della letteratura italiana, Guido Morselli l’antimoderno, che come suo primo romanzo dopo il periodo realista scrisse nel 1966-7 Roma senza papa, anche il primo pubblicato da Adelphi nel 1974 dopo il suo suicidio l’anno precedente. Morselli rifiutava l’oggi e quindi la religione del suo oggi, che già manifestava sintomi di decadenza negli anni Sessanta del Novecento (il Concilio Vaticano II si era concluso nel 1965 con tutte le sue novità), e quindi la fine della Chiesa di Roma e del Papato viene descritta nel suo romanzo come una decadenza abissale dei valori tradizionali del Cristianesimo. La sua è una critica della Chiesa «al passo coi tempi» con papi fidanzati, favorevoli alla liberalizzazione di droga, contraccettivi, eutanasia, che utilizza più la psicanalisi freudiana che la teologia, dove il turismo di massa è una benedizione sicché ogni cosa nello Stato del Vaticano viene finalizzata a fare denaro. La Chiesa è finita perché non è più la vera Chiesa.
E di una mercificazione totale, ad uso appunto dei turisti, parla anche, ma in una prospettiva più laica, Roberto Vacca, nel racconto L’ultimo papa (1965), dove il pontefice si esibisce nelle sue funzioni ad uso dei curiosi di tutto il mondo che pagano per vederlo all’insegna dello slogan «Peep-a-Pope-Show» (i «peepshow» sono spettacoli erotici). E, se ci si consente un’autocitazione, mi permetterò di ricordare che in un racconto che scrissi insieme a Piero Prosperi quando eravamo ventenni (Petrus Romanus, 1965) si immaginava una fine “politica” del Papato sotto un regime comunista instauratosi in Italia. Ma il tempo passa e i pericoli per la Chiesa cattolica cambiano: ad esempio, il relativismo dei valori, la crisi delle vocazioni, l’aggressività dell’Islam hanno indotto due autori a descriverne una fine traumatica, una resa senza condizioni: cinquant’anni dopo Prosperi, nel suo romanzo La moschea di San Marco (Bietti, 2007) prevede che nel 2015 Benedetto XVII, successore di Ratzinger, dopo aver creato una commissione di consulenti musulmani per allargare il dialogo, in un discorso Urbi et Orbi dichiari conclusa l’«eresia cristiana» e chieda ad Allah di riammettere i cattolici nella Umma dei credenti.
Di recente Antonio Bellomi torna sul tema e nel suo Finis mundi (antologia Apocalissi 2012, Bietti) prende spunto dalla profezia Maya sulla fine del mondo per immaginarsi la morte di Bendetto XVI e il suo successore uscito dal Conclave, il cardinale indonesiano Giovanni Ali Sudarto, che sceglie per sé il nome di Hussein I e che, senza portare alcun simbolo della croce, inizia la sua prima allocuzione alla folla dicendo: «In nome di Allah, misericordioso e compassionevole…». E uno dei personaggi del racconto dice: «Non è la fine del mondo. È la fine dell’era della Chiesa di Roma come l’abbiano conosciuta…».
Anche gli autori anglosassoni si sono avvicinati all’argomento con atteggiamento fantascientifico e futuribile. La storia più interessante non è il racconto Il dilemma di Benedetto XVI di J.H.Brennan (uscito nel 1977 con un titolo diverso e tradotto da Urania nel 1978), citato in questi giorni solo per la coincidenza del nome: vi si racconta delle visioni del Pontefice per dichiarar guerra ad un dittatore e di uno psicanalista chiamato per capire se esse siano vere o false. L’opera più curiosa è Il papa definitivo di un grande nome come Clifford D. Simak. Scritto nel 1981, racconta del pianeta Vaticano 17, dove si è rifugiata una stirpe di robot che, non potendo accedere sulla Terra alla religione cattolica in quanto privi d’anima, hanno creato una civiltà ed una religione simil-cattoliche con identiche strutture e riti, costruendo il «papa definitivo», cioè un immenso computer in cui immettere tutta la conoscenza dell’universo. Due temi, religione e robot, tipici di Simak che li usa per decretare la fine della Chiesa come l’abbiamo conosciuta sinora. In tema di automi Robert Silverberg con Buone notizie dal Vaticano del 1971 immagina che da un futuribile Conclave esca un pontefice robot che invece di rivolgersi alla gente in Piazza San Pietro accenda i propri razzi e sparisca in alto, nel cielo. Ma non occorre essere di metallo per fare e decidere cose inaspettate: il papa Roberto I descritto da Norman Spinrad nel suo Deus X emana una enciclica in cui proclama la possibilità di trapiantare l’anima tra esseri umani, come fosse il cuore, il fegato o i polmoni.