Gregory Bateson e la decrescita
di Pier Luigi Fagan - 24/03/2013
Fonte: pierluigifagan.wordpress
G. Bateson è stato un pensatore sistemico che si è interessato di un po’ di tutto, ma in particolar modo di cibernetica, antropologia, schizofrenia e biologia evolutiva. In una conferenza del 1968 [1], Bateson affronta il problema della compatibilità tra l’intenzionalità autocosciente dell’uomo e ciò in cui l’uomo vive, la natura.
Bateson racconta di come A. R. Wallace (il naturalista gallese che giunse a concepire la struttura di base della teoria dell’evoluzione contemporaneamente a C. Darwin) vedesse nella “lotta per l’esistenza” una sorta di termostato della più ampia macchina a vapore dell’evoluzione. Era questa strettoia ad espellere dal sistema le specie inidonee, così come era il termostato a convertire ad una più bassa temperatura gli eventuali eccessi della caldaia. Evoluzione e macchina a vapore venivano così visti come “sistemi autocorrettivi”. L’autocorrezione è ciò che mantiene dinamicamente stabili due o più sistemi in costante interrelazione.
Per Bateson esistono almeno tre esempi macroscopici di questi sistemi autocorrettivi (o omeostatici o omeodinamici): gli individui umani, le società umane, la natura che comprende tanto le società umane che i suoi individui. La natura che è quindi il sistema di tutti i sistemi, ha un suo permanente equilibrio dinamico, fatto di concorrenza e dipendenza tra le singole entità e specie biologiche che la animano. Ognuna di queste specie, se non regolata dalla concorrenza con le altre specie tende ad esplodere in una curva malthusiana (cioè una curva esponenziale) che rompe fatalmente l’equilibrio della dipendenza. Con troppi leoni, prima o poi di estingueranno le gazzelle e con esse, la possibilità di sopravvivenza dei leoni stessi. Una esagerata inflazione di crescita di una specie è così l’anticamera della sua fine. In linea generale, qualsiasi turbamento violento (profondo e/o insistito) di un sistema in equilibrio dinamico, porta alla rottura dell’equilibrio stesso con effetti catastrofici per il sistema stesso e per coloro che ne fanno parte. Essendo però la natura autocorrettiva, questi squilibri vengono sempre assorbiti in una qualche compensazione tale per cui il sistema natura, se non colpito da un meteorite di qualche kilometro di diametro, è resiliente come sua condizione standard. Per Bateson, la saggezza è in un certo senso la consapevolezza allargata del fatto che noi stessi, le nostre società e la natura tutta, sono sistemi in equilibrio dinamico e che perturbarli violentemente porta inevitabilmente alla comparsa delle temute curve di variazione esponenziale.
A questo punto, Bateson riconosce una “minaccia perfetta” nella nostra condizione evoluta. Da una parte l’uomo è intenzionato da una coscienza che opera in base a precisi fini, in genere fini privi di ampia prospettiva e di saggezza sistemica, fini cioè collegati alla nostra umana contingenza. La facoltà autocosciente dell’uomo, pur essendo di base un circuito autocorrettivo, non include allo stato della nostra attuale evoluzione culturale, lo schema sistemico adattativo. Dall’altra, lo sviluppo tecnico plurisecolare, ci ha messo nelle condizioni di poter assestare molti, molto violenti e perduranti colpi all’equilibrio dei sistemi sociali e naturali. Una intenzionalità cosciente pluripotente che agisce in base a fini contingenti, è una minaccia mortale all’equilibrio dei sistemi. Si viene così a creare una di quei conflitti logici che lo stesso Bateson chiamava “doppio vincolo”. “Se si seguono i dettami “sensati” della coscienza, si diviene in realtà avidi e stolti: e per “stolto” intendo colui che non riconosce e non si fa guidare dalla consapevolezza che la creatura globale è sistemica”. Se non si seguono questi dettami, aggiungiamo noi, si apparirà insensati, così come a molti appaiono i fautori della decrescita economica. Tacere e morire per esplosione di qualche esponenzialità che distruggerà l’equilibrio naturale o parlare e morire socialmente poiché tacciati di irrazionalità oscurantista, antimodernismo e negazione della mitica facoltà emancipatrice del lavoro? Quando si è ad un tale bivio in cui le due scelte portano comunque ad un dolore, l’individuo secondo Bateson, entra in un dilemma paralizzante dal quale in molti escono diventando sul piano della psiche individuale addirittura schizofrenici. Fuor di metafora, i più prediligono distrarsi, negare, pensar altro. Far come se tutto ciò non fosse.
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Noi oggi vediamo in piena opera questa malattia simile al cancro (il cancro stesso può esser visto come la rottura di un equilibrio ed in particolare della apoptosi che regola l’autoeliminazione delle cellule, anche in questo caso un qualche turbamento degli equilibri sistemici probabilmente della nostra chimica, porta al verificarsi di una fatale crescita esponenziale), per la quale la nostra intenzionalità cosciente economica è ordinata dal fine della crescita. Purtroppo, la nostra esistenza individuale è dipendente della salute di un sistema economico che non ha alcuna forma di saggezza sistemica, essendo basato sulla crescita priva di autocorrezione. Sembra noi si sia in un doppio vincolo, o deperire il sistema ma deperire noi con lui o sperare esso possa continuare la sua folla corsa esponenziale che preannuncia ciò che già sappiamo inevitabile: la distruzione dell’equilibrio sistemico e quindi la fine per esplosione/collasso del sistema e di noi che ne siamo parti.
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Tutto ciò avviene perché il nostro sistema (socio-economico) non è stato costruito dalla natura, ma da noi stessi e nella nostra imperfezione evolutiva, cioè senza includervi alcuna saggezza sistemica. Alcuni di noi però, ormai da un certo tempo, coltivano considerazioni decresciste (forse sarebbe decrescientiste ma personalmente trovo questo termine veramente brutto e quindi non lo userò) e sanno di tutto ciò con estrema chiarezza. Manca però ancora la “chiave” per operare sul sistema, non si sa bene da dove iniziare, chi dice dai singoli comportamenti, chi dice uscendo dal sistema (cioè dal capitalismo) il ché ha un sapore vagamente tautologico quanto poco realistico. Come si fa ad “uscire da un sistema”? Negli ultimi due secoli ci si è cullati con l’idea che la rivoluzione sociale fosse questa cauterizzazione storica che chiudendo un modo di stare al mondo, aprirebbe le condizioni di possibilità per costruirne un altro. Vi sono numerose e ben fondate perplessità su l’idea che ciò sia possibile anche solo dal punto di vista meramente teorico. In entrambi i casi, che si voglia procedere per costruzione di una massa critica di obiettori della crescita o costruendo una base sociale che in tempi di totale interdipendenza sistemica planetaria, punti alla secessione dal capitalismo occidentale magari “in una nazione sola”, anche queste ricette fossero “viabili” (e non mi sembra lo siano), i tempi di costruzione di questa alternativa superano e di molto i tempi in cui riceveremo il conto della nostra fatale perturbazione dell’equilibrio sistemico del mondo in cui viviamo. Questi temibili tempi infatti sono già iniziati, le prima cifre del conto scorrono già oggi sotto i nostri occhi. Allora?
Bateson, illustrando lo schema concettuale di un sistema autoregolato, cioè cibernetico, dice che in qualche punto del sistema intero c’è: “un anello per cui, se qualche grandezza cresce, la grandezza seguente nella catena decresce”. Nella macchina a vapore ad esempio, quanto più divergono le sfere del regolatore, tanto minore è l’erogazione del combustibile, questo è l’anello che fa di un sistema, un sistema autocorrettivo.
Nell’economia capitalista, c’è un punto preciso in cui questo anello correttivo manca. Questo punto si trova nel segmento del sistema che chiamiamo –produzione- ed è fatto di produttività e lavoro. La produttività aumenta secondo una propria inerzia che deriva dal progresso tecnico, scientifico, culturale. Questa crescita è inarrestabile a meno di non vietare la sperimentazione tecnica (cosa per altro impossibile perché in molti ambiti ha ancora una valenza “semi-artigianale”, il far sempre meglio che già si faceva meglio di ieri, come per altro indicava già a gli albori della Rivoluzione industriale Adam Smith), lo sviluppo scientifico e l’incessante cambiamento culturale nel quale siamo immersi. Questo fatto non è possibile, sia perché esso non è materialmente possibile, sia perché più in generale ci riporta alla situazione del doppio vincolo in cui dovremmo distruggere il sistema stesso di cui viviamo, magari facendo una rivoluzione con tanto di moltitudini autocoscienti magari guidate da qualche avanguardia ovviamente disinteressata ed eticamente superiore secondo i noti dettami elitisti che vanno dalla Repubblica di Platone a Lenin. Ma allora se la produttività non può che crescere ?
Nel segmento del sistema che chiamiamo –produzione- alla produttività consegue –il lavoro-. Per fare di un sistema intenzionale dotato di ciechi fini di crescita un sistema autocorrettivo, occorre stabilire un anello cibernetico che alla continua crescita della produttività consegua la decrescita del lavoro. Oggi, il sistema è talmente privo di saggezza sistemica che stante la rigidità della crescita produttiva ed una sostanziale ormai raggiunta anelasticità del consumo, chi ci va di mezzo è l’occupazione. La decrescita del lavoro (che è oggettiva e in un certo senso ineliminabile) non essendo distribuita, diventa decrescita della base occupazionale, cioè disoccupazione. Poiché non ci sono partiti o sindacati o avanguardie informate alla guida di blocchi sociali, né tantomeno blocchi sociali autocoscienti ed autorganizzati che dotati di saggezza sistemica siano in grado di mettere una rigidità su questo punto, la decrescita non distribuita, diventa anche funzionale al ricatto sul salario. Più disoccupati = più occupati mal pagati e ricattati. La contrazione della base occupazionale è costante nelle economie occidentali da venti-trenta anni e non è figlia della recente crisi, ma figlia di primo letto del sistema. J.M. Keynes pensava che ogni idea accessoria di intervento dello Stato per compensare i cicli economici e minimizzare la disoccupazione fossero solo sotto categorie di tipo logico inferiore di una categoria prima che prima o poi non avrebbe potuto far altro che istituire questo semplice anello cibernetico, più produttività, meno produzione; maggior capacità di lavoro, minor tempo dedicato al lavoro (e non minor numero di lavoratori) con il lavoro rimanente, ben retribuito e ben distribuito.
Così, reddito di cittadinanza, alzare il salario minimo, salario indicizzato alla produttività, pensare ancora sia possibile un mondo di piena occupazione lavorando le otto canoniche ore giornaliere, pensare di farlo stampando denaro con la ritrovata sovranità monetaria o qualsivoglia altro libero wishful thinking eludono il problema poiché non portano alcun meccanismo di saggezza sistemica nel sistema economico di cui viviamo, per altro con una sempre minore qualità della vita.
Il “principio speranza” ci porta a pensare che prima o poi si formerà un aggregato intellettivo-politico-sociale in grado di comprendere il punto. Il punto è che la cosa al contempo più possibile (difficile certo ma non impossibile per principio) e più efficace per evitare di morire o per esplosione/implosione del sistema lanciato contro gli equilibri ecologici, geopolitici, sociali o per lenta inedia corredata di disordine sociale, fame, umiliazione, schiavitù è porre nel sistema questo semplice termostato che registrando quanto di più si può produrre ci indichi costantemente e progressivamente, quanto meno dobbiamo lavorare, lavorando tutti, a dignitosi livelli di reddito, nessuno escluso. Facendo di un primitivo sistema uni-intenzionato, un sistema autocorrettivo, si renderà il sistema economico più intelligente e le società umane che da esso dipendono, adattative.
E’ questo il nucleo della nostra crisi, la crisi occidentale. Passare da un modo di stare al mondo basato sulle intenzionalità dotate di precisi fini di parte ad un modo in cui le parti includano la saggezza sistemica nella loro immagine di mondo. Il nostro è precisamente un problema epocale di adattamento alla complessità.
[1] Titolo dell’intervento: Finalità cosciente e natura, pubblicato in G. Bateson, Verso una ecologia della mente, Adelphi, Milano, 2008