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La situazione nei Paesi Baschi

di Benat Zarrabeitia - Gianni Sartori - 27/03/2013

 

La grande manifestazione del 12 gennaio 2013 a Bilbao (più di centomila persone!) ha mostrato chiaramente quale sia l'importanza che l'opinione pubblica di Euskal Herria attribuisce alla situazione dei prigionieri politici. In vista di una soluzione politica del conflitto, il primo passo, fondamentale, sarà quello di riportarli in patria. Associandoci alla richiesta del popolo basco (“EUSKAL PRESOAK EUSKAL HERRIA!”) ne abbiamo parlato con Benat Zarrabeitia, esponente di HERRIRA, l'organizzazione che ha indetto la manifestazione.

 

1) Nel Paese Basco da molti anni sui manifesti, sugli striscioni, sui muri...compare la scritta: EUSKAL PRESOAK EUSKAL HERRIRA. Quando è nata e come si configura questa richiesta? A quando risale l'uso sistematico della dispersione da parte di Madrid?

 

R. Durante gli anni ottanta la quasi totalità dei prigionieri baschi era raggruppata in prigioni lontane dal Paese Basco (come quella di Puerto de Santa Maria in Andalusia o Herrera de la Mancha), ma comunque si trovavano riuniti. I primi casi di dispersione dei prigionieri risalgono al 1987 e nel 1989, dopo il fallimento dei negoziati di Algeri tra Euskadi Ta Askatasuna e il Governo spagnolo, viene introdotta l'applicazione ampia della dispersione. In questo modo si allontanano e separano i prigionieri in numerose prigioni con gravi e dannose conseguenze per i loro legami sociali e affettivi. Attualmente dei 604 prigioniere e prigionieri politici baschi, meno di una decina si trovano in carceri basche. La distanza media che i familiari devono percorrere ogni fine settimana è di 1400 chilometri (700 di andata e altrettanti per il ritorno) con i comprensibili rischi dovuti alla stanchezza. Negli ultimi 23 anni si registrano circa 400 incidenti per familiari e amici con 16 persone decedute. In questo periodo di crisi globale non va sottovalutato il costo economico dovuto ai viaggi (carburante, cibo, aerei, treni...). La dispersione offende ogni strato della società basca, convinta che nessuno dovrebbe subire per la “colpa” di essere familiare. Per questo la richiesta di farla finita con questa pratica ingiusta è molto ampia e diffusa. 

 

2)      Come hanno reagito i vari governi spagnoli (Gonzalez, Aznar, Zapatero etc...) alla richiesta di riportare in patria i prigionieri politici baschi?

 

R. Per quanto possa sembrare paradossale, solamente Aznar si era mosso in questa direzione durante il processo di negoziazione del 1998 e 1999. Tirò fuori i prigionieri dalle carceri delle isole Canarie e Baleari e iniziò un avvicinamento. Fu piuttosto blando e non prendeva in considerazione l'ipotesi di un processo più consistente. Quello che è certo è che i governanti spagnoli si sono mostrati sempre inflessibili su questa questione, nonostante il dissenso espresso dalla società basca e le critiche di numerose associazioni, organizzazioni e istituzioni di difesa dei diritti umani come Amnesty International e HRW o anche di portavoce delle Nazioni Unite.

 

3)Conferenza di San Sebastian, Dichiarazione di “cessate il fuoco” definitiva di ETA, legalizzazione di Sortu e successo elettorale ...Molte cose sono cambiate in Euskal Herria, soprattutto per l'impegno della Izquierda Abertzale. Da parte dello Stato spagnolo la risposta è adeguata?

 

R. Sia il governo spagnolo che quello francese mantengono un atteggiamento di immobilismo per bloccare il processo di pace. Senza alcun dubbio, all'interno della società basca il desiderio di cambiamento, soluzione e pace è immenso e la mobilitazione di sabato 12 gennaio ne ha dato una prova tangibile. Appare evidente che i governi attuali non sono all'altezza della situazione, ma confidiamo che l'azione della società civile, l'insieme dei diversi accordi e l'accumulo di forze a favore del cambiamento della politica penitenziaria, dei diritti umani e della pace li smuovano dalla loro posizione di chiusura e immobilità. 

 

4) Le ultime elezioni hanno rappresentato un buon successo di voti per Sortu. Quali le prospettive politiche per Euskal Herria (sia in Hegoalde che in Iparralde)?

 

R. Sottolineo che Herrira è un movimento sociale e di cittadinanza che non fa riferimento a nessun partito in particolare. Ovviamente ci rallegriamo per il fatto che ogni gruppo politico abbia la possibilità di esercitare la sua attività in condizioni di uguaglianza e che le formazioni maggioritarie della società basca si siano schierate per un cambiamento della politica penitenziaria.

Per quanto ci riguarda, Herrira intende operare come un movimento nazionale presente in tutto il territorio basco, tanto al nord che al sud. Da questo punto di vista diamo un giudizio estremamente positivo della manifestazione che si è svolta nel novembre 2012 a Baiona (Bayonne, nel Paese Basco sotto amministrazione francese, Iparralde nda), la più grande che si sia mai vista nel nord del Paese Basco. Una marcia in favore dei diritti dei prigionieri con cui si chiedeva a Parigi di cambiare la politica penitenziaria e a cui hanno partecipato esponenti di ogni schieramento politico, dalla destra giacobina alla sinistra indipendentista.

 

5) Proteste e scioperi della fame dei prigionieri, torture...In passato nei commissariati e nelle carceri spagnole (Herrera de la Mancha, Salto del Negro...) hanno perso la vita molti detenuti baschi. Oggi la situazione è cambiata rispetto agli anni ottanta e novanta?

 

R. La situazione negli anni ottanta e novanta era durissima. A causa delle condizioni di vita infami alcuni prigionieri morirono per malattie ormai quasi scomparse in Occidente come la tubercolosi. Furono anni molto duri che spiegano ampiamente la definizione di “carceri di sterminio” per quel periodo.

L'attuale situazione è ancora dura. Tredici prigioniere e prigionieri sono gravemente ammalati di cancro, ma restano ugualmente in carcere. La dottrina Parot consente un aumento del tempo di detenzione per molti prigionieri che hanno già scontato la pena a cui furono condannati. Anche se il Tribunale Europeo dei Diritti Umani ha definito tale dottrina illegale, lo Stato spagnolo mantiene ugualmente incarcerati 68 prigionieri che hanno scontato la loro condanna e molti altri che ne hanno scontato i 2/3 o i  ¾. (normalmente dovrebbero uscire di prigione). La situazione quindi è molto grave e viola i diritti umani dei prigionieri.

 

6)      E' diversa la situazione dei prigionieri baschi rinchiusi nelle carceri francesi rispetto a quelle spagnole?

 

R. E' risaputo che nelle prigioni francesi le condizioni di vita sono alquanto cattive, tra le peggiori dell'Unione Europea. Ovviamente questo ricade anche sulle prigioniere e sui prigionieri baschi. Direi che la Francia non sembra avere una politica propria sui detenuti baschi, ma che in genere sembra adeguarsi alle iniziative spagnole. Ci auguriamo che il presidente Hollande sappia cogliere questa opportunità storica e modificare la politica carceraria francese rispetto a quella di Madrid. Optando per un percorso che favorisca la soluzione, il rispetto dei diritti umani e la pace nel Paese Basco, in sintonia con quanto chiede la maggioranza della società civile anche nel nord del Paese Basco.

 

 

7)      Irlanda e Sudafrica, due esempi emblematici di soluzione politica di un conflitto. In entrambe le situazioni la questione dei prigionieri politici è stata fondamentale. Analogie con il Paese Basco? Sono esempi praticabili anche in Euskal Herria.?

 

R. E' sicuramente cosa buona fare riferimento a Sudafrica e Irlanda: quello che è avvenuto in entrambi quei paesi può servire come guida per la risoluzione di altri conflitti. In ogni caso, Euskal Herria dovrà percorrere il suo cammino, sia cercando riferimenti esterni che hanno già dimostrato la loro efficacia che elaborando una propria via. In Sudafrica come in Irlanda la situazione dei prigionieri era un elemento centrale, decisivo per proseguire positivamente verso la soluzione del conflitto. Convinti che il cambiamento della politica penitenziaria e il rispetto dei diritti dei prigionieri rappresentino un passo avanti verso la pace, noi ci auguriamo che in Euskal Herria possa avvenire lo stesso.

 

8) In passato altre organizzazioni si sono occupate dei prigionieri (Gestoras pro-amnistia, Senideak, Askatasuna...). Herrira rappresenta in qualche modo la prosecuzione di quella esperienza?

 

R. No, Herrira è un nuovo movimento che non intende sostituirne nessun altro, ma soltanto realizzare il proprio percorso. Naturalmente proviamo rispetto per tutti coloro che negli ultimi 35 anni hanno operato a favore delle prigioniere e dei prigionieri baschi, un impegno che si è fortemente sedimentato nell'immaginario collettivo e sociale del popolo basco. Con l'apertura di un inedito scenario politico in E.H. diventava essenziale la nascita di un nuovo movimento a favore dei diritti dei prigionieri. Un movimento operante nei paesi, nelle città e nei quartieri dove raccogliere quelle forze che saranno il principale strumento per il raggiungimento dei nostri obiettivi.

 

9)      In che modo i prigionieri stanno partecipando al processo di pace?

R. Il Collettivo delle Prigioniere e dei Prigionieri Politici Baschi (EPPK) è costituito attualmente da 604 prigionieri che negli ultimi comunicati e dichiarazioni hanno espresso la volontà di contribuire alla risoluzione e alla pace. Riteniamo di particolare rilevanza il fatto che l'EPPK abbia firmato e sottoscritto l'Accordo di  Gernika.

 

 

10) Qualche considerazione dopo la manifestazione del 12 gennaio a Bilbao...

R. E' stata sicuramente un grande successo e rappresenta la più grande mobilitazione nella storia del Paese Basco, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Quantitativo perché riuscire a riunire 115mila persone nel Paese Basco significa raggiungere un obiettivo importantissimo; le strade di Bilbao sono “collassate”, completamente occupate dai manifestanti. Inoltre, sul piano qualitativo, abbiamo progredito raccogliendo nuove adesioni. Praticamente da ogni settore della società civile è stato espresso sostegno all'iniziativa. Adesso la sfida di Herrira è quella di riportare in maniera aperta e partecipata tutto questo capitale umano nei paesi e nei quartieri per alimentare l'impegno e le iniziative a difesa dei diritti umani dei prigionieri.