Le vittime del “terrorismo” sono tutte “uguali”?
di Enrico Galoppini - 17/04/2013
Fonte: europeanphoenix
Scoppia una bomba a Boston, in mezzo alla maratona: “edizione straordinaria!”, “terribile!”, “disumano!”, “abominevole!”.
Certo, come si deve commentare una cosa del genere?
Mica è una bella cosa saltare in aria, rimanere mutilato, vedere i propri cari ed amici esanimi o sanguinanti mentre ci si sta godendo una giornata di sport… Chi attenta alla vita di persone qualunque, come tutti noi, in situazioni del genere, quale che sia il suo palese o recondito obiettivo, è indubbiamente un criminale.
Detto questo, al di là di ogni sviluppo che avrà la faccenda (indagini, strumentalizzazioni, depistaggi ecc.), e considerato che si possono fare solo congetture sul “chi” e “perché” ha architettato questo spregevole atto, sono da dire essenzialmente due cose.
La prima è che questo “terrorismo”, questa entità indefinita che assume, nell’immaginario della massa ben indottrinata, sembianze “islamiche”, “di estrema destra” o “anarchiche” (con la variante più recente del “pazzo isolato”), colpisce sempre individui comuni, intenti nelle loro ordinarie attività, lavorative o ricreative. Chiaro che lo sdegno non può che essere unanime, perché tutti, me compreso, percepiamo che, in luoghi affollati, “ogni momento è buono”, e “potrebbe capitare anche a noi”.
Guarda caso, questo “terrorismo” col quale il “mondo civile” sarebbe in guerra non colpisce mai “il potere” nelle sue persone e nei suoi luoghi simbolici. L’attacco al Pentagono, che non può esser definito un posto in cui s’aggirano “persone innocenti”, s’inserisce nella più ampia vicenda dell’11/9, pervasa di illogicità, stranezze, incongruenze e “misteri” irrisolti ed irrisolvibili.
Da questi “terroristi” non ci si può dunque ragionevolmente attendere un qualcosa che abbia a che vedere col classico regicidio o tirannicidio.
Il “potere”, però, che detiene un ferreo controllo dei “media”, riscuote regolarmente i dividendi di queste operazioni: “scoveremo e puniremo i responsabili”, “vi difenderemo”, “vinceremo il terrorismo” eccetera.
Insomma, si passa immediatamente all’incasso, se si ha a che fare con una massa ampiamente manipolata ed impressionabile.
L’altro punto da rilevare è decisamente penoso ed imbarazzante.
Delle vittime di un attentato in una qualsiasi città occidentale sappiamo praticamente tutto. Che cosa facevano lì, le loro storie, le loro speranze andate in frantumi. Si redigono mappe del luogo, si propongono “gallerie fotografiche”, s’indugia fin nel più insignificante particolare e si crea addirittura una “icona” del luttuoso evento. Si pensi che ad una maratona del genere i partecipanti provenivano da una cinquantina di paesi del mondo: bene, se ogni notiziario locale ha parlato dei concittadini lì presenti (e l’ha fatto), si ha la misura della diffusione nelle coscienze di un determinato stato d’animo.
Intendiamoci, a me sta pure bene che si parli di questi sventurati (purché si eviti un’inutile retorica), ma allora, se al centro delle preoccupazioni dei dirigenti delle liberal-democrazie sta sempre e comunque “la vita umana”, che si cominci ad interrompere il palinsesto radiotelevisivo e s’inondino i notiziari di aggiornamenti e di particolari sulle vittime anche ogni volta che una bomba esplode in qualsiasi parte del mondo facendo “vittime innocenti”.
A quel punto, ben poche trasmissioni non finirebbero interrotte.
In Iraq, da quando quel paese è stato “liberato” nel 2003 perché la gente ha visto in tv la statua del “dittatore” che tirata giù, è esplosa una quantità impressionante di bombe, piazzate su mezzi in sosta o lanciati all’impazzata contro uomini, donne e bambini innocenti intenti a svolgere le loro ordinarie attività.
Eppure, ripeto, nessun “gran pubblico” viene informato minimamente su come sia andata, sull’identità dei morti e dei feriti, sulle loro “storie”. C’è difatti il ‘rischio’ che ci si renda conto che non sono poi così “diversi” da noi.
E mi voglio mantenere sullo stesso tipo di tragedia, quella provocata da una carica esplosiva che d’improvviso vien fatta esplodere in mezzo ad una folla. Perché in Iraq, in Afghanistan, in Libano, in Libia, in Siria, tanto per citare i casi più recenti ed eclatanti, le bombe in strada, nei mercati, nelle scuole, nei luoghi di culto eccetera scoppiano ad un ritmo impressionante, e non si tratta di una “follia” che caratterizza congenitamente quelle popolazioni. C’è soprattutto chi, dall’esterno, utilizzando sovente elementi interni senza scrupolo alcuno, è intento a seminare il “terrore” per i più svariati motivi.
Terrore sparso a piene mani anche con le armi le più tecnologiche e per questo asettiche nell’impressione che danno, a chi le maneggia, di non ammazzare nessuno. Ed inoltre, anche se venisse qualche scrupolo, sarà sempre utile convincersi che “siamo in guerra col terrorismo”, ed i “terroristi” non sono forse per definizione - in mezzo a qualche “danno collaterale” come i 500.000 bambini vittime dell’embargo all’Iraq o le migliaia di nati deformi a causa dei proiettili occidentali all’uranio impoverito – “sempre loro”?
No, così non ci siamo proprio. Tutta la costernazione e le lacrime di giornalisti, opinionisti, politici e persino uomini di religione (nel senso di “professionisti” dell’amministrazione del sacro, o di quel che credono sia tale, ché un vero “religioso” è ben altro tipo umano) sono false ed ipocrite perché non sono versate per tutte le vittime del “terrorismo”, indistintamente.
Ma qui, nella patria della Dottrina Egualitaria di Stato, dove “per legge” si parificano, definendoli “uguali”, nazionali e stranieri, maschi e femmine, coppie normali e coppie omosessuali eccetera, sembra impossibile fare un altro piccolo sforzo, il più semplice tra l’altro perché il più logico, per considerare che al mercato, a scuola, in chiesa o in moschea, e anche in una maratona, la gente è “uguale” dappertutto. E lo è a maggior ragione quando viene fatta saltare in aria.