Un Paese a sovranità limitata
di Eduardo Zarelli - Fiorenza Licitra - 01/05/2013
La maggioranza del Parlamento e dei media esulta per la rielezione di Napolitano e del nuovo governo. Al contrario, è la conclusione finale in sconcertante continuità con il passato, incluso quello recente del governo Monti, che ha messo il Paese in ginocchio?
Pare di si, tanto più in presenza del mandato esplorativo per la formazione di un governo di coalizione affidato a Enrico Letta, già membro del comitato europeo della Commissione Trilaterale, un gruppo di interesse di orientamento neoliberista fondato nel 1973 da David Rockefeller. Nel 2012 ha partecipato alla riunione del Gruppo Bilderberg presso Chantilly, negli Stati Uniti. È anche membro del comitato esecutivo dell'Aspen Institute Italia, un'organizzazione americana finanziata anche dalla Rockefeller Brothers Fund, che si pone come obiettivo quello di incoraggiare le leadership “illuminate” per l’integrazione internazionale occidentale. Il nostro Paese vive una crisi sistemica, politica, economica, sociale e culturale che è frutto della deriva oligarchica e corruttiva delle classi dirigenti, direttamente proporzionale a quella oclocratica della società reale. La democrazia procedurale è uno strumento funzionale agli interessi mondiali che, negli ultimi decenni, hanno trasformato in società di mercato l’economia di mercato. La crisi strutturale della globalizzazione e del modello di sviluppo occidentale hanno portato alle estreme conseguenze le contraddizioni specifiche di una nazione subalterna come la nostra.
Obama, oltre a manifestare la propria ammirazione per Napolitano, ha dichiarato che egli è una garanzia per l’America. La sudditanza italiana ha vinto…
L’Italia ha un retaggio storico di sovranità limitata dal dopoguerra, che è sfociato in vero e proprio servilismo. E’ una questione centrale, volutamente sottovalutata. Non sarà mai possibile ricostruire un tessuto comunitario e una identità politica socialmente condivisibile priva di autorevolezza internazionale, cioè di una visione multilaterale e continentale, di contro all’unilateralismo occidentale.
E ha vinto l’autoreferenzialità partitocratica così “autistica” rispetto alla drammatica realtà…
La crisi sistemica a cui alludevo manifesta una distanza incolmabile tra le istanze popolari, il bene comune, e la delega rappresentativa dei partiti politici. Orfani delle ideologie, privi di qualsiasi tensione ideale, si sono trasformati in strutture autoreferenziali. Nicchie di privilegio, corruzione e collocamento professionale nell’illusione del potere che, nel frattempo, ha traslocato definitivamente nelle compatibilità tecnocratico-finanziarie.
Quali possibilità avrà il M5S di rappresentare la protesta verso il “disordine costituito” e quali le enormi lacune da colmare?
Il fenomeno politico del momento è la conseguenza e non la causa di quello che sta accadendo. In tal senso manifesta contraddizioni per cui c’è da augurarsi che si manifestino nel medio periodo gli aspetti positivi, piuttosto che quelli negativi. L’aggregazione partecipativa e movimentista, l’oltrepassamento delle categorie di destra e sinistra, l’accenno a un paradigma della post-crescita, la spregiudicatezza della critica sistemica e del collocamento internazionale del nostro Paese sono aspetti eminentemente politici che si spera abbiano la meglio sulla magmatica demagogia cosmopolita, il velleitarismo, il giustizialismo e in generale tutte le tendenze associabili al piagnisteo moralista che depotenzia le rivendicazioni di sostanza in dinamiche funzionali all’esistente. L’amico Massimo Fini, nel commentare alcune posizioni assunte dal M5S ha parlato di “rivoluzione conservatrice”, magari avesse ragione.
Come recuperare concretamente la sovranità popolare? In chiave comunitaria?
Si, è fondante. Il mutamento di paradigma culturale ed ecologico, nel recupero necessario del senso del limite, della misura, della civiltà di contro alla “civilizzazione” materialista passa per la partecipazione comunitaria. La società contrattuale, liberale, ha corroso nell’egoismo individuale ogni orizzonte di “bene comune”. La reciprocità, il dono, la libertà vanno declinate nell’appartenenza comunitaria e nella sostenibilità e consapevolezza di essere abitanti di un territorio. La globalizzazione è un problema antropologico, se l’uomo non ritrova l’appropriatezza del luogo di vita, scomparirà nell’implosione nichilistica del riduzionismo distopico tecno-scientifico.
“L’orlo del baratro” è sempre più vicino. Paradossalmente, solo una catastrofe compiuta può salvarci?
In ogni fine c’è un inizio. Di fronte al vuoto che si spalanca sotto i piedi delle nuove generazioni, la vertigine di cadere senza dignità, oppure di stagliarsi dal grigiore delle presunte sicurezze materiali e del conformismo sociale per reincantare l’esistente. La storia non è mai chiusa alla forza dell’immaginazione, il mito è eterno, sempre ritorna.