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Quante cose può dire alla mente e al cuore un semplice fiocco di neve

di Francesco Lamendola - 05/05/2013



 

Quante cose può dire, alla mente e al cuore di un osservatore capace di stupore ed amante della bellezza, un semplice fiocco di neve, che, dopo aver volteggiato nell’aria sulle ali del vento, va a posarsi sul vetro della finestra di casa nostra!

Ingrandito al microscopio, esso rivela dei cristalli meravigliosamente disposti, a formare una quantità di figure geometriche di rara complessità e perfezione: dei merletti delicatissimi e quasi evanescenti, di una ricchezza pressoché inesauribile, di una simmetria che lascia sbalordito anche lo spirito più esigente; e non se ne troverebbero due uguali, neppure fra milioni e milioni, neppure fra miliardi e miliardi.

La struttura finale dei cristalli di neve, infatti, pur rispondendo a delle leggi fisiche di accrescimento delle quali gli scienziati hanno intuito, a grandi linee, la natura e le modalità, è assolutamente imprevedibile, fino all’ultimo istante della loro formazione: fattori specifici e imponderabili “a priori”, primo fra tutti la direzione del vento, fanno sì che l’energia di cui sono animate le molecole si esprima attraverso una certa forma, piuttosto che un’altra.

L’unica cosa certa è che l’accrescimento dei cristalli avviene a partire dalle “punte” delle figure geometriche e che poi, procedendo di ramificazione in ramificazione, tali accrescimenti vanno assumendo disegni e forme sempre più complessi, sempre più elaborati. È come se l’energia, che si esprime a partire dalle “punte” dei pentagoni ramificati dei cristalli, si comportasse come un individuo che giunto a una serie di bivi successivi della strada che sta percorrendo, disegnasse l’architettura della propria vita attraverso una serie di scelte successive: e ogni nuovo sentiero che viene imboccato è il risultato della scelta relativa al sentiero precedente. Esistevano altri sentieri possibili, altre scelte possibili; ma, una volta che un certo sentiero è stato intrapreso, le scelte teoricamente possibili si riducono, quelle che erano possibili prima non lo sono più; in compenso, sempre nuove scelte continuano a prospettarsi, ogni volta che il viaggiatore giunge ad un nuovo bivio e compie la propria scelta.

Sorge la domanda: è possibile predeterminare tutto l’itinerario di quel viaggiatore, sino al termine del suo viaggio? Ed è possibile calcolare in anticipo la struttura finale che assumeranno i cristalli di un fiocco di neve, una volta che questo giungerà a terra o si poserà, comunque, da qualche parte, sciogliendosi per il calore o fondendosi, su una superficie più fredda, con innumerevoli altri fiocchi di neve, così come le gocce di pioggia si fondono nel fiume e nel mare in cui vanno a confluire al termine del loro lunghissimo ciclo atmosferico? Teoricamente, sì: se noi possedessimo tutte, ma proprio tutte, le informazioni relative allo stato di quel cristallo di neve; alle condizioni del vento, della temperatura, alla pressione atmosferica e così via, allora, ripetiamo: teoricamente, si potrebbe calcolare il disegno finale che assumerà quel cristallo; e la stessa cosa vale per il punto d’arrivo di quell’ipotetico viaggiatore, vale a dire per il disegno complessivo dell’intera sua vita. Solo che, nel caso dell’essere umano, le cose si complicano alquanto per la comparsa di un fattore diverso da quello che regola le modificazioni di un cristallo: la libertà del volere (peraltro non ammessa da tutti i filosofi), per cui l’uomo, sempre in teoria, è in grado di modificare le proprie scelte anche all’ultimo istante, in seguito a un cambiamento delle proprie decisioni.

Lasciamo alle menti speculative più fantasiose la libertà d’immaginare che anche le “punte” dei cristalli di neve siano dotate di una oscura energia che si manifesta in maniera “libera”, perché questo metterebbe in crisi la nostra tradizionale distinzione, della quale – da Cartesio in poi – siamo così fieri (anche se, a nostro parere, a torto), fra ciò che si suole considerare “res extensa”, o materia, e “res cogitans”, o pensiero.

Ad ogni modo, sorge a questo punto la domanda: la natura, così come si esprime nel miracolo di un cristallo di neve, ma anche in tutte le altre sue manifestazioni, dalle più umili alle più spettacolari, dalla goccia d’acqua alle aurore boreali, è ordinata o disordinata? Osservando quegli arabeschi favolosi, quelle architetture elegantissime e fiabesche, quelle simmetrie eccezionalmente articolate, verrebbe da rispondere, d’istinto, che la natura è ordinata, perché è ben difficile immaginare che simili raffinatezze, che si ripetono secondo modalità costanti, eppure diverse ogni volta nei particolari, e quindi estremamente fantasiose, siano il risultato del caso.

Oppure si osservi la lastra di vetro di una finestra sulla quale si è formato un velo di brina. La brina si forma per un meccanismo analogo a quello della rugiada, ossia dalla condensazione del vapore acqueo; pertanto si forma esclusivamente su superfici che siano ad una temperatura più bassa di quella di condensazione dell’aria,  e ad immediato contatto con essa. Nel caso della brina, se la superficie esterna del vetro della finestra ha una temperatura più bassa a quella di congelamento dell’aria con cui è a contatto, come avviene d’inverno, il vapore solidifica direttamente, senza passare per lo stato liquido, sotto forma di cristalli di ghiaccio. Ebbene, se la brina che si era formata sulla superficie esterna del vetro si scioglie nelle ore più calde del giorno e poi, al tramonto, con la discesa della temperatura, congela di nuovo, allora essa darà luogo a un fenomeno particolarissimo e meraviglioso: la formazione di strutture arborescenti, simili alle fronde di un arbusto o di una felce.

Come pensare che simili meraviglie della natura siano frutto del caso? Come non dedurre, dalla loro struttura elegantissima, una intrinseca forza armoniosa, una capacità di realizzare valori estetici, di celebrare la bellezza? Certo, chiunque è libero di rifiutare simili suggestioni e di sentenziare che tutto ciò è opera di una casualità “fortunata”; tuttavia, parliamoci chiaro: vista non solo l’estrema complessità e armonia delle forme, ma anche la regolarità con cui esse si estrinsecano, in presenza di fattori costanti, parlare di caso fortunato sarebbe come sostenere che il «Mahabharata», il grande poema indiano composto da circa quarantamila ottonari (qualcosa come l’«Iliade» e l’«Odissea» sommate e il cui risultato sia moltiplicato per otto) è stato composto, in realtà, non da mani umane, ma da un branco di scimmie che, giocando con il materiale per scrivere, hanno tracciato a caso tutti quei segni, ed essi, guarda un po’, sono andati a formare lettere, parole, versi di senso compiuto, uno dopo l’altro, dal primo sino all’ultimo.

Ma questo, ance se teoricamente possibile – perché no? – è qualcosa di meno che improbabile: è semplicemente assurdo anche solo tentare d’immaginarlo. C’è un’armonia, c’è una simmetria, c’è una struttura logica che si può esprimere anche in formule matematiche (“anche”, si badi, e non “solo”: e questo è stato il grande errore di Galilei, frutto della sua immensa presunzione); e, se ci sono tali cose – e innegabilmente ci sono -, allora c’è anche un disegno, perché l’ordine non nasce mai dal disordine, dato che le leggi dell’entropia lo vietano. I pezzi di vetro di un bicchiere caduto a terra non torneranno mai a ricomporsi a formare il bicchiere intero; le carte mescolate a casaccio non produrranno mai una serie ordinata di cuori, picche, quadri e fiori, secondo il valore crescente delle singole carte. Anche se ciò, teoricamente, non è impossibile, in pratica lo è: da uno stato ordinato si passa sempre a uno stato meno ordinato; in altre parole: il disordine si produce a partire dall’ordine, perché è una degradazione, una progressiva dispersione dell’ordine; ma l’ordine, a sua volta, non nasce mai dal disordine, nasce solo da se stesso.

Ha scritto il giornalista scientifico americano James Gleick nel suo libro «Caos. La nascita di una nuova scienza» (titolo originale: «Chaos», New York, Viking Penguin Inc., 1987; traduzione dall’inglese di Libero Sosio, Milano, Rizzoli, 1989, pp. 300-03):

 

«I cristalli di neve si formano nel’aria turbolenta da una famosa mescolanza di simmetria e di caso, la speciale bellezza della sestupla indeterminazione. Quando l’acqua gela, i cristalli cominciano a formare le loro punte; le punte crescono, i loro confini diventano instabili e nuove punte germogliano dai lati. I fiocchi di neve obbediscono a leggi matematiche di sorprendente sottigliezza, e sarebbe impossibile predire esattamente con quanta rapidità crescerà una punta, quanto stretta sarà o quanto saranno frequenti le sue ramificazioni Generazioni di scienziati hanno disegnato e catalogato le forme più svariate. Lastre e colonne, cristalli e policristalli, aghi e dendriti. I trattati presentarono la formazione di cristalli come un fatto di classificazione, in mancanza di un approccio migliore.

La crescita di tali punte, o dendriti, è nota oggi come un problema non lineare altamente instabile di confini liberi: ciò significa che i modelli, nel mutare dinamicamente, hanno bisogno di seguire un confine complesso, serpeggiante. Quando la solidificazione procede dall’esterno all’interno, come in una bacinella di ghiaccio, il confine rimane generalmente stabile e uniforme, e la velocità della solidificazione è controllata dalla capacità delle pareti di disperdere calore. Quando però un cristallo solidifica a partire da un germe iniziale - come nel caso di un fiocco di neve, che si impadronisce di molecole d’acqua mentre cade attraverso p’aria carica di umidità – il processo diventa instabile. Ogni piccola parte di confine che si trova in anticipo rispetto alle vicine consegue un vantaggio nel raccogliere nuove molecole d’acqua, e pertanto cresce tanto più radamente: è l’effetto “asta del parafulmine”. Si formano nuovi rami, e poi sottorami.

Una difficoltà consisteva nel decidere quale delle molte forze fisiche in gioco siano importanti  e quali possano essere ignorate tranquillamente. Un fatto importantissimo, come gli scienziati sanno da molto tempo, è la diffusione del calore liberato quando l’acqua gela. Ma la fisica della diffusione del calore non puo’ spiegare completamente le strutture osservate dai ricercatori quando guardano i fiocchi di neve al microscopio o quando li fanno crescere in laboratorio. Recentemente gli scienziati hanno sviluppato un modo per incorporare un altro processo: la tensione superficiale. Il cuore del nuovo modello del fiocco di neve è l’essenza del caos: un delicato equilibrio fra forze di stabilità e forze di instabilità; una potente interazione d forze a scale atomiche e di forze a scale quotidiane.

Mentre la diffusione del calore tende a creare instabilità, la tensione superficiale crea stabilità. L’attrazione della tensione superficiale fa sì che una sostanza preferisca confini lisci come la parete di una bolla di sapone. Produrre superfici scabre ha un costo in termini di energia. L’equilibro fra queste tendenze dipende dalle dimensioni del cristallo. Mentre la diffusione è principalmente un processo macroscopico, su vasta scala, la tensione superficiale è più forte alle scale microscopiche.

Tradizionalmente, dato che gli effetti della tensione superficiale sono così piccoli, i ricercatori supposero di poterli ignorare a fini pratici. Ma era una supposizione sbagliata. Le scale più piccole si dimostrarono infatti cruciali; gli effetti superficiali vi si rivelarono infinitamente sensibili alla struttura molecolare di una sostanza che va modificandosi. Nel caso del ghiaccio, una simmetria molecolare naturale dà una preferenza intrinseca a sei direzioni di crescita. Con loro sorpresa, gli scienziati trovarono che il misto di stabilità e instabilità riesce ad amplificare questa preferenza microscopica, creando il merletto quasi frattale che produce i cristalli di neve. L’elaborazione matematica non venne dagli scienziati dell’atmosfera  bensì dai fisici teorici, insieme ai metallurgi, che avevano un interesse loro proprio al problema. Ne metalli la simmetria molecolare è diversa, e sono quindi diversi anche i cristalli caratteristici che contribuiscono a determinare a resistenza di una lega. Ma le formule matematiche sono le stesse: le leggi della formazione delle strutture sono le stesse.

La dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali serve non a distruggere bensì a creare. Quando un fiocco di neve in crescita cade a terra, dopo essere stato normalmente trasportato dal vento per un’ora o più, le scelte fatte in ogni istante dalle punte che si ramificano  dipendono in modo sensibile da fattori come la temperatura, l’umidità e la presenza di impurità nell’atmosfera. Le sei punte di un singolo fiocco di neve diffondendosi entro lo spazio di un millimetro, sentono le stesse temperature, e poiché le leggi della crescita sono puramente deterministiche, conservano una simmetria quasi perfetta. Ma la natura dell’aria turbolenta è tale che due fiocchi di neve, comunque scelti, sperimenteranno traiettorie molto diverse. Il fiocco di neve nel suo stato finale registra la storia di tutte le condizioni del tempo diverse che ha sperimentato, e le combinazioni possono ben essere infinite.

I fiocchi di neve sono fenomeni di non-equilibrio, come dicono i fisici. Sono il prodotto di una situazione di squilibrio nel flusso di energia da una parte della natura a un’altra. Il flusso trasforma un confine in una punta, la punta i una serie di rami, la serie di rami in una struttura complessa mai vista prima. Una volta scoperto che una tale instabilità obbedisce alle leggi universali del caos, gli scienziati hanno potuto applicare gli sessi metodi a una quantità di problemi fisici e chimici e, inevitabilmente, sospettano che la biologia sia il prossimo campo in cui essi saranno applicati. In fondo alla loro mente, mentre guardano sullo schermo del computer la simulazioni di crescita dendritica, vedono alghe, pareti di cellule, organismi che germogliamo e si dividono.»

 

L’energia, dunque, pervade l’intero universo: si protende dalle punte di un cristallo di neve, così come dalla decisione di un essere umano di avanzare lungo una determinata strada e di imboccare, giunto ad un bivio, un sentiero piuttosto che l’altro.

La scienza materialista e quantitativa si compiace di chiamare “caos” l’insieme delle leggi che regolano i flussi energetici della natura: una parola vale l’altra, purché ci si metta d’accordo sul suo significato; nel vocabolario tradizionale della filosofia, ma anche in quello del linguaggio comune, la parola da adoperare non sarebbe “caos”, ma “ordine”, il suo esatto contrario.

Poco importa. Le parole che adoperiamo per definire la natura generale del reale – non i singoli particolari, nei quali la nostra scienza, quantitativa e meccanicista, è bravissima, anche perché abituata a muoversi soprattutto sul terreno descrittivo - sono incerti balbettamenti, penosi tentativi di esprimere l’inesprimibile.

La verità è che siamo piccoli, troppo piccoli per giungere al fondo di simili misteri. Ordine, disordine: concetti molto più grandi di noi. Possiamo trarre delle deduzioni da quel che vediamo, che osserviamo, che crediamo d’aver capito; ma quel che vediamo, che osserviamo e che crediamo d’aver capito, è meno di una goccia nel mare di ciò che esiste, di ciò che è pensabile, di ciò che è possibile.

Assomigliamo a delle formiche le quali, giunte, dopo molti sforzi, in cima ad una modesta collinetta, credano d’aver scalato la vetta più alta dell’intero universo e, da lassù, scambino quello che cade sotto il loro sguardo per la totalità del reale.

Meglio faremmo a conservare il senso delle proporzioni. Abbiamo datato, o crediamo di aver datato, l’origine della vita, l’origine della Terra, l’origine della nostra Galassia e, magari, dell’intero Universo. Ma che cosa ne sappiamo di quel che c’era prima? Che ne sappiamo degli infiniti universi che forse esistevano prima dell’attuale, che molto probabilmente continueranno a esistere, e di quelli che verranno dopo, nelle insondabili profondità del tempo e in quelle, non meno insondabili, delle altre dimensioni dello spazio-tempo? Che cosa sono mai i milioni, i miliardi di anni, o magari di anni luce, sulla scala dell’infinito? Meno di zero: perché, davanti all’infinito, qualsiasi numero, qualsiasi quantità sono meno di zero.

La scienza fa bene a indagare: è il suo scopo, la sua ragion d’essere; purché non smarrisca il senso del limite – e, qualche volta, il senso del ridicolo. Purché non faccia come la formichina in cima alla sua zolla di terra.

L’importante è non smarrire lo stupore, la capacità di provare meraviglia, ammirazione, gratitudine davanti al prodigio della natura.

Davanti alla brina che si ricongela sui vetri della finestra di casa, per esempio, formando straordinari disegni arborescenti; o anche davanti ad un qualunque, semplice fiocco di neve.