La Bce come la Fed: comprare titoli tossici per gonfiare di liquidità il sistema
di Mario Lettieri e Paolo Raimondi - 08/05/2013
Gli Usa sono ai livelli minimi di disoccupazione dal 2008 con un tasso del 7,5% e l’Europa della zona euro invece è ai massimi con il 12,1%. Questi dati sembrano per certi versi sorprendenti e anche molto provocatori.
Ma è proprio vero che l’economia americana sia uscita dalla palude della recessione mentre quella del Vecchio Continente continua sulla strada della depressione economica?
Se è così, dov’è la “magia americana” che noi europei non siamo capaci di replicare?
Noi riteniamo che quanto sta accadendo negli Usa possa rivelarsi un “grande bluff”. Certo c’è un’effimera e momentanea ripresa “drogata” dalla liquidità creata a piene mani dalla Federal Reserve. Dopo le enormi immissioni di liquidità fatte a seguito del crollo bancario, dallo scorso settembre la Fed sta infatti immettendo sul mercato 85 miliardi di dollari ogni mese. Cioè 1.000 miliardi all’anno!
E’ una cifra enorme di cui una parte viene destinata all’acquisto di titoli, come dei derivati asset-backed-security in gran parte speculativi, a giovamento dei bilanci delle banche. Si ricordi che i citati abs sono obbligazioni emesse sulla base di altri titoli di debito ben “impachettati” e piazzati sul mercato con la garanzia della solvibilità dei titoli sottostanti. Essi fungono da moltiplicatori di credito e furono anche causa della bolla che provocò il crollo finanziario.
Un’altra parte viene utilizzata per l’acquisto di obbligazioni del Tesoro al fine di coprire i nuovi debiti del governo fatti per finanziare spese pubbliche e investimenti. Così si sostengono i livelli di consumo delle famiglie e naturalmente si creano anche dei posti di lavoro, in gran parte precario.
Recentemente il Federal Open Market Committee, l’organismo di politica monetaria della Fed, ha ribadito la scelta di continuare senza esitazione anche per il futuro con tale “politica monetaria accomodante” se fosse necessario.
In pratica è la liquidità del cosiddetto “quantitative easing”che, a nostro avviso, rischia di destabilizzare l’intero sistema economico e monetario internazionale scaricando sul resto del mondo i suoi effetti inflazionistici di medio periodo. Ma oggi a Washington questo non interessa: preme di più sfruttare gli effetti “cosmetici” immediati. I danni saranno spalmatati domani su tutte le economie del pianeta!
Sulla scia degli Usa anche l’Inghilterra e il Giappone stanno creando liquidità nello stesso modo. L’Unione europea, invece, non può farlo perché i meccanismi della Bce non lo permettono.
A Bratislava nella sua ultima conferenza stampa Mario Draghi, oltre ad annunciare la riduzione del tasso di sconto allo 0,5%, ha lasciato intendere un certo malumore per il fatto che la Fed utilizzi le rotative, cosa che non è consentita alla Bce.
Ha fatto notare la differenza tra il mercato Usa e quello dell’Europa nella creazione del credito. Nel primo l’80% dell’intermediazione finanziaria passa attraverso il mercato mentre nel secondo esso passa attraverso il sistema bancario.
Perciò in una situazione di credit crunch, come quella attuale in Europa e soprattutto in Italia, quando le banche chiudono i rubinetti, tutto si blocca.
Si ricordi inoltre che, a differenza della Fed, alla Bce non è permesso l’acquisto di titoli di Stato né tanto meno di intervenire per stabilizzare i bilanci delle banche.
Draghi ha annunciato che sta studiando per superare tali limiti per poter acquistare abs immettendo nuova liquidità nel sistema. Consapevole dei rischi insiti in tali titoli ha assicurato che saranno scelti gli abs “buoni” e non quelli tossici.
In definitiva risulta evidente che i vari approcci e negli Usa e in Europa e nel resto del mondo ricalcano i paradigmi del vecchio sistema finanziario fallimentare. Si propongono soluzioni di stampo monetarista e si continua a credere nelle meraviglie di un dio-mercato.
Proseguire su questa strada significa abbandonare ogni speranza di una globale e condivisa riforma del sistema e tanto meno di realizzare una nuova Bretton Woods.