La crisi sociale? E' anche figlia del "relativismo etico"
di Mario Bozzi Sentieri - 20/05/2013
Il 15 maggio si è celebrata la XXI “Giornata internazionale della famiglia”, indetta dall’ ONU. In pochi sembrano essersene accorti. A cominciare dalle famiglie, soffocate dalle emergenze quotidiane, dalla crisi economica, dalla mancanza di lavoro, dalla precarietà. Una precarietà che va “letta non solo sulla base dei parametri economici, quanto piuttosto quale sintomo di un disagio più profondo, insieme etico ed esistenziale.
Quello che ci consegnano le cronache quotidiane sono infatti le “fotografie” di tensioni e violenze familiari sempre più determinate dalla rottura dell’ordine familiare, dal disagio nel rapporto tra i coniugi, dai divorzi, dalle prevaricazioni.
Molto si è detto – con un pessimo neologismo – del femminicidio. Poco si coglie però del dolore trasversale che agita le mura domestiche, scuote le famiglie, turba i figli. E non solo avendo come vittime le donne. Il problema è più vasto. Tocca gli uomini: secondo un'indagine condotta da Gesef (Associazione genitori separati dai figli) su 26.800 soggetti, il 75% degli uomini in fase di separazione subisce mobbing giudiziario e l'89% la minaccia dalla coniuge di non poter vedere i figli. Lede, nel caso dell’aborto, i diritti del nascituro e quelli del padre non consenziente. Esalta, nel campo della bioetica, i rischi determinati da normative che avvalorano l’eutanasia contro il soggetto malato.
La libertà del relativismo tanto più è assoluta, cioè senza limiti, tanto più appare foriera di nuovi traumi all’interno del corpo sociale, a cominciare dalla famiglia. Con questi mali occorre fare i conti. Conti morali ed insieme sociali ed economici, proprio per la capacità che essi hanno di segnare il corpo della società.
Viviamo in un tempo ben strano, pieno di controsensi, di contraddizioni tanto grandi quanto tenute ben nascoste al senso comune o spesso capaci di carpirne la buona fede. Ci si preoccupa giustamente della sicurezza del cittadino e della sua salute. Gli si impongono misure atte a salvaguardarne la sicurezza motoria: caschi e cinture, controlli periodici e vincoli. La libera vendita delle sostanze stupefacenti è proibita. Sui pacchetti delle sigarette vengono stampigliate scritte allarmanti sul rischio di morte.
Uguale zelo non sembra essere destinato ai rischi determinati dalla messa in crisi della famiglia, dall’aborto, dall’assunzione di sostanze stupefacenti e dalla discussione dell’ordine naturale.
“Relativizzare” l’etica, con ciò che comporta per le sue ricadute sulla vita del singolo individuo, delle famiglie, della società, appare un diritto da allargare, un impegno quotidiano per il quale non debbono essere posti nuovi limiti e debbono essere rimossi i vecchi.
Non ci sono dunque cinture di sicurezza o caschi, né particolari avvisi per chi voglia fare del relativismo etico una sorta di laboratorio permanente delle proprie spericolatezze, laddove invece, in altri contesti, cinture, caschi, avvisi particolari sono posti a tutela della salute dei singoli e della collettività.
Dei rischi a cui viene esposto dall’espandersi del relativismo, il cittadino non è allertato. Non ci sono cartelli indicatori che lo avvisino. Non ci sono campagne informative che lo mettano sull’avviso. Al contrario, egli è quotidianamente sottoposto ad una costante opera di indottrinamento inconsapevole, in grado di rendere dolce il processo di depotenziamento collettivo, di resa, di assuefazione. E tutto questo senza che le conseguenze concrete di tale deriva siano ben chiare a chi le farà. Senza che i costi sociali e personali siano chiaramente indicati.
Accade così che, riempito il ricco carrello del relativismo, l’ignaro cittadino arrivi alla cassa senza sapere il prezzo da pagare, convinto anzi che tutto gli è dovuto gratuitamente.
Il risultato è che le conseguenze di tali scelte ricadono sul malcapitato, al punto da stravolgere la sua vita e quella di chi gli sta intorno. Proviamo a moltiplicare queste conseguenze per milioni di volte ed avremo il quadro della società moderna, scricchiolante e sempre più instabile, di famiglie segnate da una crisi che diventa economica in quanto è crisi etica e non viceversa, di singoli gettati ai margini della società, senza più riferimenti esistenziali ancor prima che materiali.
Di questo, anche di questo vorremmo sentire parlare, quando si “celebra”la famiglia e si denunciano le sue odierne difficoltà, oggettivamente ben più rilevanti di qualche “spread” in salita o in discesa.