Movimento 5 Stelle: è stato un flop?
di Piotr Zygulski - 29/05/2013
Fonte: correttainformazione
Nei commenti ai risultati delle elezioni comunali dei giorni scorsi, sono in molti a parlare di un calo significativo del Movimento 5 Stelle.
Iniziamo con il premettere che quando si fanno analisi di questo tipo, i raffronti, ad essere onesti, andrebbero fatti con le elezioni analoghe precedenti, vale a dire le ultime comunali di cinque anni fa, che chiamavano alle urne gli elettori per il rinnovo di quegli stessi organismi rappresentativi. In quel caso il Movimento 5 Stelle partiva da zero, vale a dire che ogni voto è da considerarsi un risultato in crescita.
Volendo invece stare al gioco di molti giornalisti, possiamo notare che già a febbraio, in Lombardia, il 30% degli elettori del Movimento 5 Stelle alla Camera dei Deputati si era comportato diversamente alle contestuali amministrative. Vorrei sottolineare contestuali, quindi c’era anche un certo traino per le elezioni politiche. Per le elezioni regionali in Friuli-Venezia Giulia varrebbe lo stesso discorso con percentuali analoghe, anche se in quel caso non c’era l’effetto traino. È forse anche vero che le comunali sono un tipo di amministrative ancora diverso, in cui entrano in gioco amicizie, simpatie e antipatie personali, oltre ai giudizi sull’operato dell’amministrazione precedente, e che non ci è dato alcun parametro di confronto con le politiche 2013, perché l’ultima tornata di comunali risale al 2012 (il Movimento 5 Stelle complessivamente prese meno del 7% dei voti). Comunque sia, esistono alcune legittime aspettative, innanzitutto perché un movimento veramente comunitario dovrebbe essere radicato maggiormente nelle realtà locali. Ad essere pessimisti, assumendo un 40% in meno delle percentuali di consensi ottenuti alle politiche, il Movimento 5 Stelle alle comunali di Roma avrebbe dovuto prendere non meno del 15%; i sondaggi si tenevano bassi sul 14,8%. In realtà è andato sotto il 13%.
Per questi motivi, pur non facendo molto testo questi dati, è indubbio un calo abbastanza marcato e generalizzato per il Movimento 5 Stelle.
Qualcuno ipotizza che il programma elettorale e le candidature per Roma siano stati poco azzeccati, facendo presumere che i migliori siano entrati nelle due Camere (e questo fatto potrebbe essere letto in due modi opposti specularmente). Alcuni parlano di uno scarso coinvolgimento da parte dello staff nazionale nella campagna elettorale, impegnato nelle vicende parlamentari. Altri ancora parlano di una scarsa visibilità mediatica della tornata elettorale. Anche a voler ammettere tutto ciò, non può essere negato una diminuzione, più o meno ampia, dei consensi – che personalmente stimo attorno al 20%, non di più – rispetto alle scorse elezioni politiche.
Questo va in parte a confermare l’analisi secondo cui il Movimento 5 Stelle prenderebbe una parte consistente dei voti dall’elettorato scoraggiato o tendenzialmente astensionista. Proprio qui emerge una contraddizione. Chi si astiene lo fa perché non è interessato alla cosa pubblica? Purtroppo, in molti casi, la risposta è affermativa. In molti avevano votato il Movimento 5 Stelle senza prendere sul serio le parole di Grillo sulla la valenza comunitaria alternativa. Chi avesse voluto votare questa lista per protesta, o come si vota qualsiasi altro partito, per lavarsi la coscienza o le mani, avrebbe fatto meglio a non votarla, perché voti di delega, seppur di una certa utilità nelle bilance elettorali, sarebbero stati inefficaci proprio a causa della struttura stessa di questo movimento, che non è organizzato nella forma tradizionale di partito.
Una parte (circa un quarto) di coloro che a febbraio avevano votato il Movimento 5 Stelle alle politiche era giunta persino a sognare alleanze con il PD, che costituiva uno di quei pochi punti su cui vi era una netta e aperta contrarietà. Il Movimento 5 Stelle, pur nella sua liquidità, ha mantenuto con coerenza una posizione unitaria, che gli ha permesso di non perdere un ampio settore di elettorato, costituito da cittadini più convinti. Se è vero che negli ultimi tempi c’è stato il naturale sgonfiamento cui sopra – perché qualche elettore si era fatto illusioni di altro tipo – rimane pur sempre uno zoccolo duro a rappresentare tutt’oggi la principale forza di opposizione nel panorama politico attuale.
Abbiamo detto che, purtroppo, c’è chi è caduto nella spirale dialettica del rovesciamento dell’illusione in delusione, tuttavia chi ha mantenuto un atteggiamento di simpatia critica, senza troppe pretese, perché i limiti del Movimento 5 Stelle sono numerosi, può dirsi sostanzialmente soddisfatto dell’operato in Parlamento dei rappresentanti cinquestelle, che stanno facendo una opposizione secondo le promesse, anche se, ammettiamolo pure, i capigruppo non godono di particolari doti comunicative. Questo forse può essere compensato dalle potenzialità della rete e dagli esperti cui il MoVimento si è circondato, a partire da Claudio Messora, ma rischia di non essere sufficiente. I fatti, nonostante l’attività parlamentare sia intensa, rimarrebbero isolati nella sfera astratta della moralità, se non subentra un “orizzonte di senso” etico, comunitario e umano, quindi autenticamente anticapitalista e antimperialista.
Resta la questione fondamentale della mancanza di una (sovra)struttura organizzativa e di una “ideologia”, ossia l’esplicitazione di riferimenti culturali e linee d’azione ad ampio raggio, non solo congiunturali, che pure sembrano essere presenti in nuce. Quest’ultimo aspetto, più viene negato, più emerge nella sua contraddittorietà. Anche Paolo Becchi ieri segnalava la mancanza di una “strategia”, checché ne dica Crimi. Sino a questo punto è prevalso un atteggiamento “ecumenico” per racimolare il maggior numero di voti a destra e a manca. Forse, invece, è giunto il momento di abbandonare il gioco dell’ambiguità per rafforzare maggiormente quel che resta (ancora molto) del Movimento 5 Stelle prima che possa subentrare un inesorabile declino di quella che passerebbe negli annali come un ennesima meteora politica. Dopodiché si aprirebbero davvero spiragli per prospettive rivoluzionarie più o meno violente.
Per concludere, il rifiuto della concezione leninista del Partito, ossia abbandonare anche la distinzione tra militanti “rivoluzionari di professione” e comuni elettori, potrebbe essere un punto di forza, ma solo se esiste una vera partecipazione diretta, che attualmente per certi versi resta solo un auspicio, se non un surrogato di falsa coscienza identitaria (anche se necessaria) per il Movimento 5 Stelle.