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Tre tesi sulla decrescita e la politica futura

di Paolo Bartolini - 11/06/2013


Alcuni spunti per quanti ancora sognano una fuoriuscita dignitosa da questa fase distruttiva del capitalismo finanziario.


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La recensione di Paolo Cacciari al bel libro di Mauro Bonaiuti "La grande transizione. Dal declino alla società della decrescita" mi ha suscitato molti pensieri  e riflessioni che meriterebbero un discorso ampio e strutturato.  Ma per ora mi accontento di esporre brevi tesi che lascino libero il lettore di farsi un'idea generale sull'argomento trattato. Ecco dunque, in estrema sintesi, tre spunti che potrebbero suscitare una qualche riflessione tra quanti ancora sognano una fuoriuscita dignitosa da questa fase distruttiva del capitalismo finanziario:

1) 1) In Occidente - visto l'intreccio di crisi plurime che riguarda gli aspetti ambientali, economici, culturali, finanziari, energetici e materiali dell'attuale civiltà dell'accumulazione economica - non si dà alternativa vera al Sistema che non includa tra le sue coordinate la decrescita. È infatti improponibile il progetto di una società equa, solidale e sostenibile all'interno del modello dominante della crescita infinita.

2) Al momento è difficile individuare, a livello globale, un qualsivoglia blocco sociale, anche trasversale, che possa raccogliersi sotto le insegne della decrescita in nome di una società radicalmente differente da quella dei consumi. Difatti in Europa e in America il rapido precipitare del ceto medio verso nuove forme di povertà, fa sì che l'urgenza di questi anni sia quella di rilanciare l'occupazione e di promuovere politiche transitorie neo-keynesiane per sostenere l'economia reale; nei paesi emergenti, invece, la fase di crescita è ancora in corso (e lo sarà probabilmente nel breve-medio periodo), dunque non è pensabile che miliardi di persone rinuncino ai vantaggi relativi del loro recente sviluppo per abbracciare il sogno di una decrescita serena. Chiederglielo, senza che gli Stati Uniti e l'Europa diano per primi un segnale importante in questa direzione, è semplicemente ipocrita se non addirittura immorale.

3) La decrescita, in assenza di un preciso blocco sociale che possa imporla tra le priorità della politica, è destinata ancora a lungo a rimanere un'opzione etica per una minoranza di persone. In questo sta un limite notevole della proposta "decrescitista", sebbene si intraveda anche un lato positivo della questione, che risulta positivo se inteso nel lungo periodo (essendo oggi improponibile un capovolgimento dei rapporti di forza a livello planetario). L'aspetto di luce che voglio sottolineare è quello che riguarda una indispensabile formazione umana dei cittadini. Partire dall'individuo e da gruppi di individui uniti da un comune sentire etico mi sembra l'unico antidoto possibile rispetto ai fallimenti dei grandi progetti rivoluzionari del XX secolo. 

In particolare è bene ricordare che l'errore principale del comunismo storico era già contenuto nella premessa marxiana secondo la quale la classe proletaria avrebbe sovvertito le logiche del capitale perché questo era scritto nello sviluppo produttivo e organizzativo del sistema stesso. La pretesa di una critica "scientifica" dell'economia politica, si tradusse insomma nell'idea che economia e politica potessero da sole sfuggire al feticismo della merce e del denaro, liberando l'umanità mediante la prassi rivoluzionaria. Purtroppo, e la Storia ce lo ha insegnato dolorosamente, uomini che sono nati e cresciuti nella rete di questo feticismo non possono certo sperare, in assenza di un profondo mutamento interiore, di uscire indenni dall'illusione che li tiene prigionieri e modificare lo stato di cose presente.        

Al contrario, come ha mostrato a sufficienza la parabola discendente sovietica, essi tendono ad approfondire e ad estendere il disagio fino ai recessi più profondi dell'anima. Ciò che è mancato, in altre parole, fu ed è ancora la comprensione di un fatto ormai evidente: se l'uomo vuole trasformare il mondo che lo circonda, deve prima (ma anche "nel mentre" e "dopo") trasformare se stesso

Ecco perché la decrescita, non potendo ancora contare su blocchi sociali definiti che ne assumano lo spirito traducendola in azioni politiche concrete, va vista per quello che è: una pratica di vita (non l'unica) orientata al ben-vivere e alle formazione del carattere dell'individuo. Il compito essenzialmente educativo e formativo della decrescita non sminuisce affatto l'importanza di congiunte azioni politiche volte a promuovere, attraverso leggi specifiche, piani inediti di riconversione ecologica e di risparmio energetico.

Inutile contare i minuti e gli anni alla ricerca di un riferimento temporale preciso. Utilizziamo un riferimento logico, più che cronologico: è una priorità per qualsiasi impegno politico che si voglia illuminato e saggio.

Possiamo certo dire che questo lavoro è immane e richiederà molto tempo. Noi purtroppo ne abbiamo poco. Ma in questo paradosso dobbiamo imparare a stare. Vie facili non si scorgono all'orizzonte.


Per concludere, e con lo speranza di riuscire a dare una forma unitaria ai concetti troppo rapidamente espressi nelle tre tesi appena esposte, mi sento di affermare che la decrescita è essenziale per iniziare a immaginare un congedo dallo sviluppo insensato del capitalismo contemporaneo, ma per qualche tempo ancora la decrescita non potrà contare su forze sufficienti che la pongano al centro di un progetto politico, in questo caso un progetto di cambiamento radicale. Tuttavia le buone pratiche che fioriscono fra chi si richiama alla decrescita sono un esempio importante di come la formazione etica degli individui possa generare nuova consapevolezza e, di conseguenza, preparare la politica di domani trasformando dall'interno gli uomini che vorranno prenderne parte.