Una teoria per comprendere il cambiamento ecologico e ambientale
di Gianluca Urbanelli - 01/07/2013
Nell'ambito delle teorie finora emerse per comprendere il complesso rapporto tra uomo e ambiente, molte si sono soffermate ad osservare cambiamenti in un ristretto lasso di tempo e/o in un ristretto spazio geografico. Ma ora che il cambiamento ambientale è diventato globale e abbraccia l'intero pianeta da polo a polo, occorrono occhi nuovi e sicuramente una visione più olistica per comprendere i cambiamenti che avvengono sotto i nostri occhi per capirli ma soprattutto per agire in favore di una minore impronta ecologica dell'umanità sull'ecosistema Terra. Già tante voci (dei detrattori) si sono levate unanimi affermando che un cambiamento di mentalità del genere che la necessità impone di attuare è inattuabile. Tuttavia quello che è veramente irrealistico è pensare che le cose possano continuare a questo ritmo senza spezzare qualche meccanismo fondamentale e senza subire alcuna conseguenza.
Scienziati di notevole levatura internazionale hanno sostenuto con fior di studi che molti cicli biogeochimici si sono inceppati (è scoppiato dell'azoto e sta per scoppiare quello del fosforo), molti metalli indispensabili per l'umanità stanno per terminare entro pochi decenni; i costi del non fare sono ormai diventati maggiori di quelli del dover agire per evitare una catastrofe.
Pensando solo all'effetto-serra siamo bombardati da messaggi contraddittori, che inducono in dubbio. E' vero che la massa glaciale sta diminuendo di estensione e che la riflettività di queste masse diminuisce ma aumentano le coperture nuvolose e/o le grandi masse di polvere che il vento solleva aumentano la riflettività totale. Pensando in un ottica complessa, sono giunto ad una teoria che può spiegare come la Terra risponde ai nostri insulti : essendo un sistema complesso, la Terra possiede processi che rispondono alle nostre "impronte" sia con feedback positivi che negativi. Quando il sistema è in una condizione di climax (cioè di massima stabilità) le prime perturbazioni inducono risposte a feedback negativo; vuol dire che il sistema è resiliente, risponde cercando di ripristinare l'equilibrio precedente la perturbazione, quindi ammortizza. Ricordiamo poi che le perturbazioni antropologiche, se sostenute e ripetute, hanno tra di loro un effetto moltiplicativo e possono crearsi sinergie che rendono la perturbazione totale più forte delle singole perturbazioni che la compongono; l'umanità, non vedendo nell'immediato risposte conclamate, crede erroneamente che il pianeta sia più resistente di quanto non sia in realtà; tuttavia, continuando a creare perturbazioni crescenti in intensità e frequenza, l'umanità sta (se già non l'ha fatto) portando la terra verso un nuovo equilibrio, che non è detto sia compatibile con la vita umana. Già ne vediamo i sintomi; il pianeta impiega più tempo a riprendersi da uno squilibrio, non riesce più a riportare alcune sue componenti ad uno stato di stabilità, ed è quando risponde con processi a feedback positivi (amplificando le perturbazioni anzichè ammortizzarle) che si è superata la soglia critica. Questo concetto è fondamentale; la soglia critica di un sistema è quello stato globale creato da tante perturbazioni tale che il sistema smette di rispondere con feedback negativi e inizia invece a rispondere con feedback positivi; questo già lo vediamo al Polo Nord, la soglia critica è stata ormai superata, la massa di ghiaccio non è più tale da autosostenersi e rinnovarsi e un feedback positivo dato dalle acque e dall'irraggiamento solare e dalla anidride carbonica aumentata la farà sciogliere nel giro di poco meno di dieci anni. Al Polo Sud la resilienza ancora c'è, tant'è che alcuni tratti hanno aumentato la consistenza nevosa e la massa, ma - se continuiamo ad immettere CO2 a questo tasso - per quanto ancora potrà reggere ? Stiamo portando il pianeta dalla stabilità alla massima instabilità. E le leggi della biochimica e della fisica non conoscono decreti e non scendono a compromessi. Vi invito alla riflessione con una metafora : l'umanità è come una macchina che si è lanciata a gran velocità su una strada (lo sviluppo) e ora sta vedendo che all'orizzonte si profila vasto e maestoso un possente muro di cemento armato (i limiti biologici, chimici del pianeta); invece di frenare e di fare marcia indietro, gli stiamo suonando addosso il clacson urlandogli di spostarsi.