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Quali prospettive (al momento pessime)?

di Gianfranco La Grassa - 15/07/2013

 

 

1. Nel 2008 iniziò la “crisi peggiore dal ‘29”. Nessun esperto, economista o altro, l’aveva predetta, pur se poi qualcuno ricordò spezzoni di frasi di qualche isolato per poter dire che c’era stato un “guru”. E del resto se ne trovano sempre. Se si raccolgono cento scemenze dette a caso sul tempo che farà dopo una settimana o un mese, qualcuno avrà “indovinato” e verrà eletto il guru delle previsioni meteorologiche. Se poi, nel mese successivo verranno raccolte altre cento scemenze, risulterà eletto un nuovo guru e così via in una fiera delle idiozie umane più preziose.

Appena innnescatasi la crisi, ci fu chi volle considerarla di durata e gravità non superiori ad altre, chi invece, come già detto, la paragonò al suddetto ’29, ecc. ecc. Non ho sottomano tutti gli articoli da me scritti su questo blog (che ha preso avvio, con altro nome, nel gennaio 2006), ma credo di non aver tardato molto a paragonarla a quella di lunga depressione di fine ‘800. Una crisi che non conobbe sprofondamenti (economici) drammatici, avvenuta nel pieno della “seconda rivoluzione industriale” (cioè in un’epoca di grandi innovazioni), tutto sommato una fase storica in cui, soprattutto nell’area del capitalismo avanzato dell’epoca, non vi furono nemmeno eventi bellici di grande rilievo (che sarebbero poi scoppiati nel corso del XX secolo). Il cosiddetto trend della crisi fu relativamente piatto, ma con ondulazioni all’in giù come all’in su; quindi con un alternarsi di cadute per null’affatto verticali (né generali) e di modeste crescite del tipo di quelle che oggi vengono teneramente definite “ripresine”.

Ricordo questo perché adesso – al fine di infiorettare un governo talmente grigio che quello di Monti sembra essere stato vivamente colorato – si sta menando l’organetto su una di queste “ripresine”. Gli Usa hanno dovuto rivedere le loro stime al ribasso tanto che Bernanke sembra aver rinunciato per il momento all’idea di sospendere dal 2014 il quantitative easing. Della Germania si dice che comincia ad essere in affanno (e si gode nel dirlo perché il nostro paese sarebbe in crisi per colpa dei “crucchi” sempre un po’ nazisti). Anche il nord Europa e l’Inghilterra non brillano in modo eccessivo. Invece, ci sarebbe la riscossa dei “latini”, o comunque dei mediterranei, contro gli “anglosassoni”; perfino la Grecia, da cui non arrivano più notizie ma quando arrivano sono sempre drammatiche, sarebbe in ripresa (pardon, ripresina).

Poi ci sono i dati. Il Pil italiano del ’13 sarà in discesa più accentuata di quanto previsto fino a due mesi fa circa; però quello del ’14 (campa cavallo!) invece che del previsto +0,5% si accrescerà del +0,7%, un successone incredibile. La disoccupazione non tornerà a livelli accettabili per un periodo futuro di durata imprecisata. Quest’anno si va dal 58% di italiani che non faranno le ferie (dato indicato due mesi fa) ad un terzo (che mi pare sia il 33%) segnalato in questi giorni. La ripresina sarà comunque guidata nel nostro paese dalle piccole e medie imprese e dall’export. Tuttavia, io da qualche parte leggo: “Secondo i dati dell'Istat, nel solo dicembre le esportazioni italiane hanno segnato un calo dello 0,5% rispetto a novembre e del 3,7% rispetto a dicembre 2011. Sono invece cresciute dell'1,3% mensile le importazioni  (-6,4% nel raffronto annuo)” (Economia & Finanza in Repubblica). Leggo anche che sono in diminuzione gli acquisti da parte dei nostri tradizionali “clienti” quali Francia e Germania, ma aumentano quelli dei paesi emergenti: soprattutto Russia, Cina, India. E tuttavia, leggo anche (sempre nell’inserto di Repubblica) che “nel 2012 i Paesi più dinamici per l’export sono stati Giappone (+19,1%), Stati Uniti (+16,8%) e Svizzera (+10,8%). In marcata flessione risultano invece le vendite verso India (-10,3%), Cina (-9,9%) e Spagna (-8,1%).”

 Altri dati non li cito perché sinceramente vengono dati a capocchia a seconda dove si leggono; ma non credo sia rilevante inseguire tutte la capriole di questi organi di (dis)informazione. Decisivo è invece che il presdelaconfind, e i soliti economisti ed esperti (del c….), abbiano riscontrato una nuova fiducia nei consumatori. Solo fiducia però, perché l’altro ieri si leggeva sui giornali di un vero crollo dei consumi (mi sembra dell’8% o peggio). Ma questo è il dato appurato solo fino ad oggi; la “sfera di cristallo”, in cui leggono Squinzi e i vari “squinzietti”, mostra code di compratori che non riescono ad entrare nei supermercati e nei negozi. Se questi sono i vertici degli industriali e i loro economisti, ci si rende conto del perché siamo sempre nel paese di Pulcinella.

Un ineffabile economista (liberista ovviamente), poi, ci avverte su Libero che la ripresa italiana avverrà per merito di 949 prodotti. Mi permetto di consigliare soprattutto il 950°, il suo cervello, dalla cui vendita all’estero dovremmo ricavare una cifra stratosferica. Infine, non parliamo dei patiti del turismo. L’Italia deve sfruttare coste e montagne, ma soprattutto le solite opere d’arte “insuperabili”, che stanno richiamando un boom di visitatori russi, cinesi e indiani (i soliti ricconi sfondati dei paesi emergenti, che evidentemente affluiranno a “centinaia di migliaia di milioni di miliardi”; come diceva un personaggio di ‘Quelli della notte’ per chi ancora se lo ricorda).

 

2. Sospendiamo il tormento delle notizie confuse date senza alcun senso, tanto per scrivere qualcosa e creare nel pubblico l’impressione che più si preferisce. Comunque, dobbiamo escludere ogni e qualsiasi ripresina? Quando, scoppiata la crisi del 2008, cominciai a riferirmi alla stagnazione di fine ‘800, non mi basai su dati e statistiche, grafici e tabelline, ecc. Nemmeno mi sono ammantato di un’esperienza da “grande tecnico” che in effetti non possiedo. Il mio ragionamento, e le mie previsioni (termine un po’ impegnativo invero), partivano appunto dal ricordo della situazione esistente a fine XIX secolo. Non vi era all’epoca nessun ’29 alle porte; o, per essere più precisi in termini di periodo preso in considerazione, diciamo meglio nessun 1907. Nemmeno si verificò però un qualsiasi periodo di intenso sviluppo (di crescita, in realtà, perché lo sviluppo in un certo senso c’era). Sulla base di una “intuizione”, che mi suggeriva la somiglianza di questa crisi attuale con quella di allora, esclusi quindi – e continuo ad escludere almeno per i prossimi anni – sia uno “scatafascio” come quello degli anni ’30 del XX secolo, sia un nuovo forte rilancio economico generale, mondiale.  

Questa presunta intuizione si fonda in realtà su una considerazione decisiva, che va contro tutto il “grande sapere” di economisti e statistici, tecnici ed esperti; fra l’altro, nettamente più scadenti e inconsistenti di quelli esistenti a cavallo tra otto e novecento. La considerazione in oggetto afferma che l’economia è nettamente subordinata alla politica. E anche qui, ancora una volta (perché ho già all’attivo centinaia di pagine in tal senso) devo precisare che cosa intendo dire. Nessuna predilezione per il dibattito “feroce” tra liberisti e statalisti, tra chi adora le “leggi del libero mercato” (la smithiana “manina invisibile”) e la “possente azione” degli apparati del potere politico (lo Stato) che impongono alla realtà di andare dove vogliono i …. fessi che sono al comando in tali apparati e credono che tutto sia a portata dei loro cervelli da gallina (con grandi scuse alle galline per questo improprio modo di dire, che le paragona ai “potenti della terra”).

La politica è l’insieme delle pratiche conflittuali – fondate quindi su sequenze di mosse facenti parte di date strategie di lotta – che vengono attuate da agenti immersi in una “realtà” fluida, sempre in sobbollimento e cangiante, al fine di prevalere gli uni sugli altri. Tali pratiche, e le mosse degli agenti, coinvolgono diverse sfere dell’attività sociale, che per comodità dividiamo in economiche, politiche, ideologico-culturali. Parlare di prevalenza della politica nell’agire sociale non ha quindi proprio nulla a che vedere con l’idea che sia lo Stato a dominare gli assetti della società; o che invece tale dominio debba spettare all’azione di quei “soggetti collettivi” che si definiscono imprese, in reciproca (e benefica) competizione produttiva o invece in attività di “avvelenamento” del tessuto sociale perseguendo soltanto i propri interessi tramite manovra dell’equivalente generale delle merci, il denaro (nella sua forma monetaria).

Le nostre società moderne possiedono un carattere generale (di tutte le società esistite) ed uno del tutto loro specifico. Il primo è che la gran massa degli individui non ha effettivo potere decisionale in merito alle pratiche della lotta per la supremazia; non ne possiede gli strumenti, né quelli materiali né quelli riguardanti i saperi necessari a compiere le mosse più adeguate per conseguire il successo. Il secondo è che questa stessa gran massa di individui non vive se non di merci, che vanno prodotte e consumate (per mantenersi e per produrre ulteriormente). E trattandosi di merci, deve ovviamente sussistere il mezzo specifico per l’atto del loro procacciamento.

Mettendo subito sull’avviso che l’elemento costante, pervasivo dell’intera realtà sociale, è lo squilibrio, va rilevato che vi è alternanza di fasi (nella storia): in alcune sembra sussistere un certo equilibrio tra le varie fasce sociali (in aree territoriali e culturali diverse); in altre lo squilibrio si afferma in tutto il suo fulgore di fattore principe del divenire sociale. La diversità delle fasi dipende dal differente articolarsi del potere decisionale di quelle minoranze di agenti, che proprio grazie al potere in questione si combattono – per gruppi, mai ogni individuo contro ogni altro! – e vincono o perdono.

Nelle fasi in cui lo squilibrio tende a fornire poteri decisionali – se non equivalenti, sempre più assimilabili fra loro quanto a forza – a più gruppi di agenti, si verificano per l’appunto le crisi, che nel loro aspetto più appariscente si manifestano come carenze di carattere strategico-conflittuale, da cui derivano situazioni di incertezza per quanto concerne il risultato finale della lotta per la supremazia. Nelle società attuali, tuttavia, tutti gli strumenti – materiali e dei saperi utili a tale lotta – assumono la forma della “cosa” soggetta a compravendita (cioè della merce e del mezzo che la può acquistare, la moneta). E le crisi diventano allora la grande fantasmagoria delle crisi economiche, con il loro aspetto monetario in bella evidenza. Ci sono agenti che hanno coscienza di che cosa sta accadendo e altri che vedono solo l’aspetto di “superficie”. I secondi agiscono da veri ideologi dei primi, e questi ultimi assecondano le ideologie degli inconsapevoli; perché è molto comodo – nel mentre si apprestano le vere “armi” atte a combattere il confronto decisivo, da cui emergerà infine il gruppo vincitore in grado di ridare relativo e temporaneo equilibrio al tutto – mascherare il conflitto dietro le turbolenze economiche, dei mercati, ecc.

E sia gli ideologi sia i consapevoli (che per una fase storica sono obbligati ad approntare le “armi” nascondendosi dietro la facciata dell’economia) continuano a battagliare sui due soliti versanti. Bisogna intervenire con il potere dello Stato per mettere ordine nei mercati, per punire i colpevoli di maneggi (in specie finanziari) che provocano la sofferenza della gran massa degli individui (non decisori)? Oppure si deve lasciare libertà ai mercati con le loro regole, anzi “leggi”, che se vengono intralciate nel loro funzionamento conducono all’aggravarsi delle crisi? E sia chiaro che non si tratta di alternativa puramente fasulla. E’ ovvio che, dandosi l’organizzazione e la “struttura” (mercantile) dei rapporti della formazione sociale moderna, si verificano sia malversazioni di singoli agenti manovratori di dati strumenti (ad es. il denaro), che vanno dunque colpiti, sia il fallimento (magari dopo un momentaneo successo, che è come l’abbassamento della febbre di un individuo colpito da polmonite doppia e trattato con aspirina) delle “grandi manovre” dello Stato.

Nulla è completamente falso, salvo il restare a predicare solo la facciata ideologica senza andare al conflitto di base, alla politica, in quanto conflitto di strategie, che investe ogni sfera della società: politica (nel senso dello Stato), economica (nel senso del mercato e dell’impresa), ideologica.  Questa è la falsità dei cialtroni che imperversano oggi su tutti i fronti: sia della difesa dell’ordine presente, sia della critica radicale a quest’ultimo con prediche bolse e furfantesche circa la possibilità di immaginare una diversa cooperazione tra gli uomini (di “buona volontà”), circa le masse popolari (i tipici non decisori; proprio perché prive degli strumenti, materiali e di sapere, necessari a dare un senso, una direzione, alle decisioni) che “prendono in mano i loro destini”; e aiutano invece la presa del potere dei peggiori decisori, dei più truci e criminali.

 

3. Torniamo adesso a questo nostro povero “paesello”, in cui non abbiamo nemmeno ideologi, ma perfetti mentecatti, perfino in posti al vertice della politica e dell’economia (dell’informazione e dei media meglio nemmeno dire una parola). Le ultime vicende sembrano confermare ormai la piena complicità di chi avrebbe dovuto fare opposizione ad un governo che porta l’Italia allo sfacelo, con lo scopo di spaventare la popolazione, di annientarne ogni capacità di resistenza, favorendo così quella piena subordinazione da “protettorato” statunitense, che è fine perseguito da lunga pezza. Si iniziò di fatto con “mani pulite” – su ordine Usa e appoggio dei nostri “cotonieri” confindustriali, e con scelta di rinnegati di tutte le risme per gestire il processo – ma non si riuscì in effetti a completare l’opera. Quando, per l’errore dei nostri “cotonieri”, fu spinto in politica Berlusconi e costui dovette in qualche modo appoggiarsi a residui del “passato” (fra cui elementi dell’industria “pubblica” sottoposti all’assalto), ci fu un periodo di politica più soft da parte dei predominanti d’oltreoceano, convinti che il crollo dell’Urss avesse aperto un lungo periodo di sostanziale monocentrismo.

Tale convinzione fu abbastanza rapidamente delusa e, da allora, direi che soprattutto la parte meridionale d’Europa è divenuta decisiva per il controllo di una zona del mondo strategicamente rilevante soprattutto nell’azione di contenimento della Russia. L’Italia è via via divenuta appunto nulla più che un protettorato statunitense; e gli uomini di fiducia del paese preminente si trovano in quella che è stata fatta passare per “sinistra”, mentre Berlusconi si assumeva il ruolo della “destra” e fingeva d’essere il “liberale” per antonomasia. Abbiamo nel blog seguito passo passo i tradimenti (mascherati da “vivi malumori”) di questo meschino personaggio; e anche adesso restiamo convinti che, pur in presenza di una condanna annunciata, e accelerata perfino oltre la primitiva volontà dei “contraenti” (da noi ben chiariti), egli continui nel suo gioco, sempre più affannoso e comunque vantaggioso per l’establishment italiano del protettorato. La condanna, se ci sarà, servirà soprattutto a fornirgli la scusa per vibrate proteste unite al ritiro a vita privata, dove sarà pian piano lasciato in pace e ricordato solo di tanto in tanto dai più nostalgici forzaitalioti. Nel frattempo, quello che era un elettorato numeroso – e per un certo periodo anche convinto di doversi opporre ai distruttori del paese, che la falsità e l’ignoranza di una destra rozza e incolta è riuscita a far passare troppo spesso per ancora comunisti (ormai finiti da quel po’!) – è rimasto sempre più deluso e rischia di divenire del tutto passivo, non più ricettivo di fronte ad eventuali entrate in scena di personaggi non più così conigli e, soprattutto, così complici come lo è Berlusconi di coloro che lo disprezzano e vorrebbero in galera.

 

4. Le vicende dei prossimi mesi sono decisamente incerte. Certo è invece il gioco relativo alla crisi. Si continua fra l’altro a rivelare come le varie società di rating siano malandrine e inaffidabili; e poi non la si smette di prenderle sul serio e di entrare in affanno non appena emettono i loro giudizi scelti su base eminentemente politica, al servizio dei predominanti. Si protesta contro la Germania, contro la UE, contro il Fmi, ma ci si adegua pedissequamente alle loro manovre. Credo non si debbano più seguire, se non per criticarle, le varie polemiche che hanno come centro di discussione il problema dell’euro (restarci o uscirne), della “comunità europea” (anche qui con servile obbedienza o con empiti di rivolta e minacce di fuoriuscita o con smanie di riforma dei regolamenti e/o dei parametri), ecc. Si deve soprattutto smetterla di ripetere questo continuo ritornello dell’aggravarsi della crisi, seguito poi dalla scoperta di barlumi di luce in fondo al tunnel, dove ci attenderebbe la “ripresina”.

La crisi economica, con i suoi aspetti finanziari, dovuti anche (ma non solo) allìattività di settori importanti dei predominanti, ci seguirà a lungo. Le chiacchiere sulla ripresa sono costantemente smentite dalla pubblicazione di dati che indicano il contrario; soprattutto per l’Italia, ma non solo per essa (ripeto che anche le previsioni sul miglioramento dell’economia statunitense hanno il fiato corto). Tuttavia, potrebbe anche capitare una qualche ripresina, pur se difficilmente generalizzata. E allora, questo darà nuovo fiato alle trombe di coloro che nascondono il problema centrale: la crisi reale è politica, è crisi di regolazione – con squilibri in accentuazione – legata alla spinta al multipolarismo. Anche qui, molti si affanneranno a mostrare come gli Usa hanno ancora il bandolo della matassa in mano. Non sanno però più srotolarlo molto bene, sono in difficoltà strategiche che sembrano segnalare conflitti interni ed incertezze sul prosieguo dell’azione in varie parti del mondo; in particolare proprio in quest’area mediterranea, da troppi considerata come un’area di “minore interesse” per gli Stati Uniti, che punterebbero sulla zona del Pacifico.

Balle! L’interesse yankee è qui massimo; ed è per questo che la zona meridionale europea, con il nostro paese in primo piano, è particolarmente interessata dalla crisi. Esiste forte incertezza negli sbocchi politici, proprio nel senso dei rapporti tra i vari paesi di quest’area (europea, africana e mediorientale) e delle relazioni tra i vari gruppi di subdominanti nei paesi in questione. Le difficoltà nella sfera politica – interstatale e tra gruppi di potere nei vari Stati – sono il riflesso della politica, in quanto sequenza di mosse strategiche impiegate nella lotta sia nella sfera politica che in quella economica e in quella ideologica. Malgrado l’apparente preminenza degli Stati Uniti, in realtà detta politica si è fatta più affannosa, più turbolenta, aperta a molti necessari cambiamenti di posizionamento tra i vari gruppi (e Stati) in conflitto.

In Italia, lo sfacelo sociale e politico, più ancora che economico, provocato da vent’anni di antiberlusconismo (presentato come “sinistra”) e berlusconismo (presentato come “destra”) ha condotto appunto al disincanto di gran parte della popolazione, accompagnato tuttavia da una singolare incapacità di cogliere quanto è accaduto e sta accadendo, quanto ci è stato e ci è tuttora propinato dai predominanti con al seguito i nostri meschini subdominanti. Si cerca di mantenere ancora “in forze” l’orrido ceto intellettuale (prodotto del disastroso sessantotto) e quello “medio semicolto”, la cui piattezza cerebrale viene continuamente alimentata da ondate di demenza sollevate dai suddetti  intellettuali e subdominanti “paganti”.

Non possiamo aspettarci nulla da una popolazione così sviata, frastornata, diseducata, ecc. da simili settori politici e sociali scadenti e truffaldini; per di più privi di ogni e qualsiasi dignità di minima autonomia. Il servilismo sta toccando vertici forse mai raggiunti nel nostro paese, probabilmente nemmeno all’epoca in cui non esisteva l’Italia e questo territorio era attraversato da bande ed eserciti stranieri. Occorrerà un lungo lavoro per costruire una qualche élite capace di elaborare una nuova politica di grande efficacia. Contro questa prospettiva si ergeranno a lungo i settori di tipologia più strettamente economica, e in particolare finanziaria, oggi specialmente influenzati dai subdominanti “cotonieri” ormai pienamente succubi della predominanza statunitense. E non ci si deve attendere, per un periodo di tempo temo abbastanza lungo, alcun aiuto da “masse” di cittadini ormai sfilacciate, agitate da “istinti primordiali” e del tutto ignare dei giochi in corso.

Anche le eventuali nuove élites dovranno puntare su questi “istinti”, su questa inconsapevolezza. Sarà per loro necessario giostrare sul malcontento crescente che la crisi – ulteriormente favorita dai giochi forsennati dei pre e soprattutto dei subdominanti (in lotta reciproca per il “miglior servaggio”) – procurerà probabilmente ad un buon 80% della nostra popolazione. Lo ripeto: ci potranno essere alcuni brevi ritardi per momentanee inversioni di tendenza – spesso magari non proprio reali bensì alimentate nell’immaginario da infami intellettuali, giornalisti e gentaglia del genere – ma la “grande stagnazione” di fondo, con molti mutamenti nelle reciproche posizioni degli Stati (e dei gruppi sociali al loro interno), inciderà sulle “strutture” di molti paesi, rendendole poco coese e dunque suscettibili di essere percorse da venti di rivolta di cui dovrebbero saper approfittare élites ben preparate all’uopo.

Dedicarsi alla “costruzione” delle élites, e dei collegamenti tra quelle di paesi in qualche modo similari, dovrebbe essere la principale preoccupazione di chi ha ancora a cuore le sorti di un continente (Europa) e di un paese (Italia) a rischio di disfacimento complessivo. Vediamo un po’ di discutere di certe prospettive. Mi sembra urgente.