Il Papa della Crisi, il frutto più originale del peronismo
di Pino Cabras - 23/09/2013
Sì, la notizia del giorno era la riconferma della cancelliera Angela Merkel. Ma mi son distratto. Ieri la mia città, Cagliari, ospitava papa Francesco. C'erano quasi quattrocentomila persone a salutarlo in piazza, con un entusiasmo popolare palpabile (e papabile). Si è riversato in poche vie un quarto della popolazione sarda.
Sono numeri che dovrebbero fare notizia, perché sono destinati a ripetersi in tante altre realtà che vivranno la Grande Crisi in questi anni. Quel che ho visto ieri a Cagliari - in una regione in cui metà dei giovani non hanno lavoro - lo vedranno in tanti anche altrove. Ho visto un'infinità di disoccupati commossi fino alle lacrime dalle parole del papa. Mentre il mondo politico che un tempo parlava alle masse non ha più il polso né dei lavoratori né dei poveri, accade invece che il più originale prodotto del peronismo argentino, Jorge Bergoglio, stia entrando nei loro cuori.
Sì, sì, c'è la Merkel, certo. A Berlino si risolve ora una delle incognite nella grande partita europea. Perfino lo spread era stato congelato per mesi, in attesa di capire dove sarebbe andata la guida del paese protagonista nell'Europa degli squilibri. Con un simile risultato elettorale, possiamo già sapere che una classe dirigente come quella italiana, al pari dei maggiordomi di altri paesi, sarà travolta e commissariata, con costi sociali enormi e senza un personale politico che abbia un piano B o un piano C.
Ecco il papa, allora. Un recente articolo di Andrea Virga sottolinea che l'idea di economia di Bergoglio, sin dagli anni della sua attività pastorale argentina, è stata «caratterizzata da una forte critica al capitalismo e alle sue strutture d'ingiustizia, sfruttamento e oppressione sociale.» Il socialismo rimaneva fuori da questo discorso, certo. Come quando Juan Domingo Peron vinceva le sue prime elezioni con lo slogan «Dios, Patria y Justicia Social». Era un piano C, una terza via.
Nell'Europa dello spread e nel mondo delle ondate distruttive di Wall Street e dell'austerity, assodato il silenzio mortale della sinistra europea, la voce di papa Francesco peserà dunque in modo naturale. È un leader, non un maggiordomo, e lo abbiamo visto anche nei giorni in cui ha trascinato il no all'attacco USA alla Siria. Se qualche forza politica in Europa vorrà guidare una riscossa sociale negli anni terribili che ci attendono, entrerà inevitabilmente nel campo gravitazionale dell'unica forza che oggi riesca a proporre una narrazione alternativa su larga scala. Siamo solo agli inizi, né possiamo azzardare altre previsioni. Non basta un leader spirituale e spetterà ad altri agire.
Intanto, ieri, a Cagliari, ho udito queste parole:
«Vorrei condividere con voi tre punti semplici ma decisivi. Il primo: rimettere al centro la persona e il lavoro. La crisi economica ha una dimensione europea e globale; ma la crisi non è solo economica, è anche etica, spirituale e umana. Alla radice c'è un tradimento del bene comune, sia da parte di singoli che di gruppi di potere. È necessario quindi togliere centralità alla legge del profitto e della rendita e ricollocare al centro la persona e il bene comune.»
Bergoglio non è un lettore di suggeritori elettronici, non legge nel gobbo quel che gli scrivono i ghostwriter nel 100% delle occasioni, come fa Obama.
Il Papa a un certo punto ha piegato il foglio del testo scritto, ha pronunciato dapprima un'esortazione e poi ha improvvisato una preghiera, con cui, fra le altre cose, ha ribadito ancora che «in questo momento, nel nostro sistema economico, nel nostro sistema proposto globalizzato di vita, al centro c'è un idolo» e ha aggiunto, sempre in preghiera:
«Gli idoli vogliono rubarci la dignità. I sistemi ingiusti vogliono rubarci la speranza. Signore, non ci lasciare soli. Aiutaci ad aiutarci fra noi; che dimentichiamo un po' l'egoismo e sentiamo nel cuore il "noi", noi popolo che vuole andare avanti. Signore Gesù, a Te non mancò il lavoro, dacci lavoro e insegnaci a lottare per il lavoro e benedici tutti noi.»
Curioso quell'«insegnaci a lottare per il lavoro».
Il Papa, un papa della Crisi, ha capito per tempo che ci sarà lotta, in questi anni. La Chiesa è già in campo e non sarà ininfluente. Bergoglio aveva già lasciato ai bigotti (quelli religiosi, ma anche quelli del campo laico) la "centralità" della questione gay. La Chiesa si occuperà d'altro, e ieri ne abbiamo avuto un assaggio.
[Foto di Vito Biolchini]