Adriano Olivetti: la comunità oltre la destra e la sinistra
di Mario Bozzi Sentieri - 21/10/2013
Arriva sul piccolo schermo (Rai1 il 28 e 29 ottobre) Adriano Olivetti. La forza di un sogno, miniserie coprodotta da Rai Fiction e Casanova Multimedia. Ad interpretare l’eccentrico imprenditore di Ivrea è Luca Zingaretti, sotto la regia di Michele Soavi, nipote, da parte di madre, dello stesso Olivetti e figlio di Giorgio, intellettuale raffinato, poeta e giornalista (tra i fondatori de “il Giornale”), in gioventù soldato della Repubblica Sociale Italiana, da cui disertò, trasferendo il suo dramma interiore nel libro Un banco di nebbia. Nel titolo della fiction, La forza di un sogno, c’è la sintesi di una storia, quella di chi ha provato a coniugare capitalismo e profitto con bellezza, cultura e solidarietà sociale. Ingegnere chimico, erede di una ricca dinastia imprenditoriale, con sede ad Ivrea, di religione valdese, ma convertitosi al cattolicesimo nel 1949, antifascista di orientamento azionista, ma vicino al fascismo “intellettuale”, quello di Giuseppe Bottai e dell’architettura razionalista , a cui legò i progetti del suo nuovo stabilimento, Adriano Olivetti è, nel dopoguerra, l’imprenditore-politico che immagina la fabbrica-mezzo, non solo dispensatrice di profitti, ma anche di cultura e di servizi, cuore della comunità, in cui realizzare un’autentica, concreta solidarietà, base di un’ idea nuova di Stato: “Voglio che la Olivetti non sia solo una fabbrica - afferma - ma un modello, uno stile di vita. Voglio che produca libertà e bellezza perché saranno libertà e bellezza a dirci come essere felici”. Ecco allora la fabbrica aperta alla luce, in cui gli orari sono ridotti ed i salari aumentati, i lavoratori vengono incentivati a studiare e a leggere, i loro figli hanno asili nido - si direbbe oggi - “di prossimità” e l’assistenza sanitaria è gratuita.
Non è stato, quello di Olivetti, un impegno solo intellettuale e sociale. Nel 1948, proprio per dare sostanza politica alle sue analisi (è del 1945 L'ordine politico delle Comunità che va considerato la base teorica per una nuova idea dello Stato, dove accanto alla Camera politica, espressione delle comunità, ci sia anche un Senato della tecnica e delle competenze), Olivetti fonda il Movimento Comunità, con l’ambizione di costituire una terza forza, fra la Democrazia Cristiana ed il Partito Comunista. I tempi non erano evidentemente maturi. L’idea di una politica “nuova”, al di là del capitalismo e del socialismo, si scontrava con i “blocchi” dell’epoca e da essi venne schiacciata. Parlando della fine di quella esperienza , “l’Unità”, organo del Pci, scrisse, nel 1958, di “fallimento di tutte le teorie della collaborazione di classe e delle strane elucubrazioni che attorno a Comunità si sono venute enucleando”.
Per anni su quell’esperienza e sul suo protagonista calò il silenzio. Grazie anche alla fiction con Luca Zingaretti ora è bene che il discorso venga riaperto, evitando – ci auguriamo – di fare del personaggio un innocuo santino, ma chiedendo piuttosto: nel gioco delle scomposizioni-ricomposizioni post ideologiche che ruolo può occupare Adriano Olivetti ? Il tema del “comunitarismo” ha visto crescere, negli ultimi anni, interessi diversi, legati alle scuole d’oltreceano, che fanno capo a Alasdair MacIntyre, Charles Taylor, Michael Sandel, Robert N. Bellah, Michael Walzer.
Bisogna però anche ricordare che è stata la Nuova Destra italiana, sul finire degli Anni Settanta, a farne uno dei suoi temi distintivi. Nel primo numero di “Elementi”, uscito nell’autunno 1978, è Alain de Benoist a firmare un lungo articolo (“’Comunità’ e ‘società’”) dedicato al sociologo Ferdinand Tonnies e alle sue teorie organicistiche. Tra le immagini che integravano quell’articolo c’era anche la copertina della prima edizione di Comunità e società, pubblicata nei classici della sociologia delle Edzioni di Comunità, le edizioni volute da Olivetti, griffate con quella campana ed il motto “Humana Civilitas” che era stato il suo simbolo politico. Una consonanza che ci piace sottolineare, invitando a leggere finalmente l’esperienza olivettiana liberi da qualsiasi schematizzazione ideologica, e cercando di comprendere nel profondo la “forza di un sogno”. Con in più la consapevolezza che, oggi, di tornare a sognare abbiamo tutti un grande bisogno.