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J.P. Morgan, la banca del buco

di Michele Paris - 21/10/2013

 
    

I problemi legali del colosso bancario americano JPMorgan Chase non sembrano avere fine. Come diretta conseguenza delle modalità con cui opera l’intera industria finananziaria d’oltreoceano, la principale banca d’investimenti degli Stati Uniti ha infatti collezionato l’ennesima indagine aperta dalle autorità federali, con le quali avrebbe però raggiunto un accordo di massima nel fine settimana per pagare ancora una volta una sorta di tassa sulle proprie attività illegali ed evitare in gran parte i guai giudiziari che ne dovrebbero conseguire.

Il Dipartimento di Giustizia aveva in questa occasione messo sotto accusa JPMorgan per la truffa dei titoli legati ai mutui “subprime”, venduti agli investitori senza informarli dei rischi connessi. Come è noto, questo genere di prodotti finanziari ad alto rischio fu al centro della crisi esplosa nell’autunno del 2008. Molti dei titoli in questione erano stati ereditati da altri due istituti bancari - Bear Stearns e Washington Mutual - acquistati da JPMorgan nel 2008 a condizioni estremamente favorevoli.

Il procedimento ai danni di JPMorgan era scaturito, tra l’altro, dalla denuncia presentata dai giganti dei mutui controllati dal governo federale - Fannie Mae e Freddie Mac - e da un’indagine proprio su Bear Stearns del procuratore generale dello Stato di New York, Eric Schneiderman.

Per risolvere la questione che, assieme agli altri guai giudiziari, rappresenta un ostacolo alla conduzione degli affari di JPMorgan, la banca di Wall Street è in trattativa da tempo con le autorità del Dipartimento di Giustizia. Secondo i giornali americani, a sbloccare la situazione sarebbe stata una telefonata avvenuta nella serata di venerdì tra il Ministro della Giustizia, Eric Holder, e il presidente e amministratore delegato di JPMorgan, Jamie Dimon.

L’accordo con il governo dovrebbe così risolversi in una sanzione-record da 13 miliardi di dollari che, pur essendo la cifra più alta mai pagata da un’azienda privata, ammonta solo a poco più della metà dei profitti raccolti da JPMorgan nel solo 2012.

Secondo il New York Times, l’accordo potrebbe ancora saltare completamente e la sua finalizzazione dipende soprattutto da quanto i vertici di JPMorgan saranno disposti ad ammettere circa le proprie responsabilità sulla truffa dei mutui “subprime”. Se dovesse infatti riconoscere il comportamento illegale di dirigenti e dipendenti, la banca potrebbe assistere ad una valanga di cause legali ai propri danni da parte degli investitori truffati.

La questione più problematica sarebbe legata ad un procedimento criminale parallelo aperto dalle autorità federali della California che, secondo i termini dell’accordo, non verrebbe fermato dalla chiusura della causa civile con il pagamento della sanzione.

Lo stesso Dimon avrebbe insistito in prima persona con Holder al fine di far chiudere il caso aperto a Sacramento, ma il ministro di Obama, almeno per il momento, continua a ritenere necessaria una simile azione legale di fronte all’estrema impopolarità di JPMorgan.

Le prime pagine dei giornali americani usciti nella giornata di domenica hanno sottolineato l’eccezionalità della multa, così come la presunta ritrovata fermezza del Dipartimento di Giustizia nel punire gli eccessi di Wall Street. In realtà, tutte le sanzioni pagate finora e quelle a cui dovrà far fronte JPMorgan non hanno alterato significativamente la condotta della banca e, soprattutto, hanno fatto in modo che i suoi massimi dirigenti venissero risparmiati da qualsiasi procedimento penale.

Per stessa ammissione delle autorità di governo, d’altra parte, istituti come JPMorgan sono considerati di fatto al di sopra della legge e l’eventuale processo o arresto dei loro top manager produrrebbe pericolose scosse per l’intero sistema finanziario.

Con la connivenza dello stesso Dipartimento di Giustizia, perciò, JPMorgan e altre grandi compagnie private operanti in svariati settori utilizzano le sanzioni economiche emesse nei loro confronti come un contributo necessario da assolvere per continuare a fare affari spesso al di fuori della legalità.

La sola JPMorgan si è trovata implicata in questi anni in numerose indagini non solo negli Stati Uniti ma anche oltreoceano, come in Gran Bretagna, dove è in corso un’indagine relativa ad una perdita da 6 miliardi di dollari della propria filiale di Londra. Per far fronte a questi fastidi, la banca con sede su Park Avenue, a Manhattan, ha appena stanziato qualcosa come 9,2 miliardi di dollari per coprire le proprie spese legali. Ciò ha determinato il primo trimestre in rosso da quando alla sua guida è stato nominato Jamie Dimon alla fine del 2006.

Dei 13 miliardi di dollari che JPMorgan potrebbe pagare, 9 consisterebbero in sanzioni, mentre 4 andrebbero a risarcire sottoscrittori di mutui in difficoltà. Se confermata, la multa sarebbe di gran lunga la più pesante mai concordata con una singola azienda privata negli Stati Uniti, superando quella da 4,5 miliardi ai danni della compagnia petrolifera BP per il disatro nel Golfo del Messico nell’aprile del 2010.

La condotta di JPMorgan, in ogni caso, è tutt’altro che un’eccezione per Wall Street, anche se le vicende ad essa legate hanno puntualmente maggiore risalto viste le dimesioni e l’influenza dell’istituto. Le autorità federali americane sono infatte impegante in una lunga serie di indagini contro i giganti finanziari responsabili della crisi del 2008 e di molti altri crimini.

Meno di tre mesi fa, ad esempio, l’FBI e la procura federale di Manhattan avevano annunciato l’apertura di un procedimento penale ai danni dell’hedge fund SAC Capital, accusato di avere operato un sistematico schema di “insider-trading” tra il 1999 e il 2010. Anche in questo caso, però, i suoi vertici verrano risparmiati, come conferma la trattativa già in corso con il governo per il pagamento di una sanzione da oltre un miliardo di dollari.