Chi salverà l'Italia?
di Gianni Petrosillo - 16/11/2013
La primavera è la stagione in cui sbocciano i campi ma, per l’Italia, sarà, soprattutto, quella in cui cadranno i fiori all’occhiello dei settori più avanzati dell’industria pubblica. Tra aprile e maggio arriverà, pertanto, l’autunno delle imprese strategiche nazionali che saranno prima indebolite da uno spoil system banditesco, di cui, more solito, i partiti saranno i principali protagonisti, e, successivamente, sbranate dai mercati dove spadroneggiano i nostri peggiori alleati. Gli avvoltoi hanno puntato le prede e non si allontaneranno dal banchetto finchè non avranno la pancia piena.
A scadere per primi saranno i cda di Eni e di Enel. Poco dopo toccherà anche aFinmeccanica, Terna e Poste. Sono questi i bocconcini prelibati che fanno gola ai nostri scorretti competitors i quali tramite la finanza e le agenzie di rating sganciano colpi bassi sotto la cintura del Belpaese.
L’infornata di manager, tra riconferme, turn over e new entry, sarà gestita, molto probabilmente, ancora da questo governo di larghe imposture che si pregia della sua immobilità e va perorando, come ha scritto il sito Dagospia, l’economia metafisica, quella cioè della ripresa che c’è anche se non si vede. Testuali parole di Rodomonte con le palle d’acciaio, quelle che le potenze straniere gli hanno messo al piede e che lui trascina con grande spirito di servizio, facendo pure la ruota del pavone-condor.
Il vortice delle nomine deve, comunque, portare ad un unico risultato, la dismissione dei tesori di Stato. Per questo occorre sistemare adeguatamente le varie pedine per non avere sorprese o ritardi. Che tanto non ci saranno perchè il parco buoi degli yes man è sempre affollato e pragmaticamente disposto a privarsi dell’onore per la carriera.
La parolina magica con la quale si proverà a trasformare l’oro in letame è sempre la stessa: privatizzazione. Poco importa se sul lungo periodo gli svantaggi derivanti dalla liquidazione di asset fondamentali, determinanti per proiettarsi sulla scacchiera globale in un momento di accesa competizione, siano maggiori dei benefici immediati. Ora bisogna fare cassa, ricambiare chi ha sostenuto lo sgangherato sistema italiano dall’esterno (permettendo a questa classe dirigente di restare in sella nonostante il malcontento generale), servire piatti succulenti ai concorrenti internazionali, augurandosi di non essere travolti dalla loro avidità. Tutti questi soggetti hanno ormai accerchiato l’esemplare più debole della catena europea e non smetteranno di braccarlo finchè non avranno ottenuto le parti più sostanziose della sua economia.
Così, mentre i nostri governanti sono tutti intenti ad imboccare le orde di predoni ai nostri confini, per avere salva la vita (quella loro, s’intende), gli italiani non sanno più a chi rivolgersi per le loro pene. Chiedono lavoro, alleggerimento del carico fiscale, aiuti concreti alle imprese, salari dignitosi ma si sentono rispondere che i margini sono stretti perchè la Troika preme alle spalle, i bilanci sono in disordine e i debiti ancora da ripagare. Tuttavia, questa versione non regge alla realtà perchè non siamo gli unici ad avere dei problemi in Europa e nel mondo, siamo però gli unici a non avere una classe dirigenziale che si fa rispettare sui tavoli internazionali e su quelli continentali. Anzi, siamo talmente autolesionisti che anche laddove avevamo battuto la concorrenza, costruito degli sbocchi per le nostre merci e per gli approvvigionamenti (materie prime ed energia), distanziato i rivali, ci siamo ritirati bombardandoci sui testicoli. Pensate a ciò che è accaduto in Libia ed altrove.
E’ così difficile capire che dalla crisi non si esce sistemando i conti ma facendo i conti con le proprie responsabilità politiche e ripensando le scelte geopolitiche di questi ultimi vent’anni? Il mondo è cambiato nel 1989 ma noi i nostri capi sono fermi davanti ad una fotografia retrò del contesto generale. Dobbiamo, al più presto, liberarci le mani dai legacci del passato per agganciare le possibilità del presente e le opportunità del futuro. Dobbiamo rimettere in discussione adesioni incondizionate e alleanze usurate che ci costringono in un quadro di rapporti di forze sfavorevole, dobbiamo guardare in direzioni non abituali per uscire dall’impasse in cui ci troviamo, dobbiamo aprirci ai nuovi protagonisti della fase multipolare, dobbiamo imparare da chi emerge per tornare ad essere noi stessi. Dobbiamo fare degli sforzi immani, questi sì utilissimi, per prefigurarci una via alternativa a quella che ci ha cacciato nel vicolo cieco europeista ed occidentalista. Dobbiamo costruire il nostro fronte a difesa della sovranità nazionale. Occorreranno nervi saldi e maniere forti, in primis contro quella masnada di poteri decotti interni legati alle cricche e agli organismi esteri. Dobbiamo farlo per venire fuori dai guai. Dobbiamo rischiare con intelligenza per smettere di raschiare il fondo del barile, raccogliendo briciole.
Ci riusciremo? Non è facile dirlo e non siamo messi bene, per questo temo che nei prossimi mesi molti gioielli pubblici cambieranno padrone, sarà il segnale che la lezione non è stata ancora appresa. Però non è detto che il destino ci abbia voltato definitivamente le spalle. Non possiamo restare a guardare, pensiamo ed agiamo di conseguenza. Sarebbe l’ora.