Le agenzie di rating: il retroscena della finanza
di Saverio Pipitone - 16/11/2013
Fonte: ilcambiamento
Dalla seconda metà dell’Ottocento il processo di accumulazione del capitale ha seguito un avanzamento esponenziale e la stessa produzione che ne sta a fondamento non è riuscita a tenerne il passo.
La massa di capitali accumulati non ha tuttavia raggiunto il pieno impiego fino a quando non è subentrata la fase del capitalismo monetario che supera i cicli di produzione e consumo delle merci incentrandosi in un’odierna «società deindustrializzata e post-consumistica ovvero indebitata» per riprendere una frase di Stefano Franchini (nell’introduzione nel libro da lui curato Il capitalismo divino: colloquio su denaro, consumo, arte e distruzione, edito da Mimesis).
Un debito permanente che trascina interi Paesi e singoli consumatori ai quali si affibbia un’etichetta di affidabilità creditizia, meglio nota con il termine “rating”, emessa da agenzie private fondate alla fine dell’Ottocento.
Stiamo parlando delle tre sorelle Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch che da qualche anno influiscono sul mercato mondiale imponendosi come demiurghi delle crisi finanziarie.
Nel libro Le agenzie di rating (edito dal Mulino) Giovanni Ferri e Punziana Lacitignola ne descrivono l’origine, la struttura, il ruolo e le problematiche legate alla finanza internazionale affermando che «[…] le agenzie forniscono un’opinione su quello che è il merito di credito in un determinato lasso di tempo, e a essa è collegata una specifica probabilità di default».
Migliaia di organizzazioni economiche private o pubbliche vengono osservate nella capacità di onorare i debiti rimborsando capitale e interessi con una valutazione basata su una serie di elementi quali probabilità, rischio, incertezza e complessità, a cui si lega un segno alfanumerico che sintetizza varie informazioni quantitative o qualitative e in genere parte da una tripla A per un alto grado di solvibilità fino alla D per l’insolvenza.
Praticamente le agenzie di rating interpretano i dati del presente per anticipare gli scenari futuri, ma in realtà dai primi anni Duemila a oggi non hanno previsto la bancarotta di Enron negli Stati Uniti, il default dei bond argentini, i crac Parmalat e Cirio in Italia, il crollo della banca Lehman Brothers, avallando positivamente prodotti finanziari anomali su cui nessuno avrebbe scommesso e milioni di risparmiatori sono stati messi in ginocchio.
L’Associazione di consumatori Adusbef di Roma aveva già avvertito il mercato sulle previsioni errate delle tre sorelle del rating e qualche mese fa ha avviato un’azione legale contro una sospetta emissione di un rating sovrano negativo sull’Italia circa un presunto rischio di insolvenza ad adempiere agli impegni del debito pubblico.
La procura di Trani ha svolto le indagini concludendo poi l’inchiesta con l’accusa per Standard & Poor’s di «manipolazione di mercato pluriaggravata e continuata che ha provocato una destabilizzazione dell’immagine, prestigio e affidamento creditizio dell’Italia sui mercati finanziari»; nel documento di chiusura delle indagini si può leggere che «fornivano intenzionalmente ai mercati finanziari, quindi agli investitori, un’informazione tendenziosa e distorta in merito all’affidabilità creditizia italiana ed alle iniziative di risanamento e rilancio economico adottate dal Governo, per modo di disincentivare l’acquisto di titoli del debito pubblico italiano e deprezzarne il valore».
In questi giorni è toccata alla Francia essere declassata dall’agenzia di rating Standard & Poor’s che ne ha bocciato le politiche finanziarie e i ministri economici francesi hanno affermato che i giudizi emessi dall’agenzia sono inesatti.
Nel libro I signori del rating (edito da Bollati Boringhieri) Paolo Gila e Mario Miscali spiegano che per conoscere le agenzie di rating «il baricentro dell’attenzione deve essere spostato sugli assetti proprietari, sulla rete di relazione che esiste tra questi “sistemi esperti” che controllano e guidano i mercati, il mondo degli investitori e quello del rating. Che cosa accadrebbe se qualche società o qualche uomo della finanza fosse presente contemporaneamente su tutti questi piani (informazione, controllo, investimento, rating) e potesse accedere alle informazioni mondiali rilevanti alla velocità della luce mentre parallelamente decide le sorti di un Paese attraverso un giudizio di valutazione della capacità di credito dei suoi bond?».
Nell’agenzia Moody’s il principale azionista è il magnate Warren Buffet, mentre un azionista di minoranza comune alle tre sorelle è il fondo di private equity BlackRock, ed entrambi hanno puntato sempre su “cavalli vincenti”. Sullo stesso mercato questi big della finanza da un lato giudicano e dall’altro investono, richiamando alla mente il finanziere d’assalto degli anni Ottanta Gekko Gordon del film Wall Street che, munito di informazioni riservate e reperite con l’inganno, speculava cinicamente in Borsa per fare soldi in poche ore anche se provocava fallimenti di aziende e la perdita di posti di lavoro.
Il professore Pierangelo Da Crema nel libro La crisi della fiducia (edito da Etas) individua le colpe del rating nel crollo della finanza globale ma avverte che «[…] sbaglierebbe chi volesse riconoscere la radice di quanto è successo solo nell’avidità degli uomini del rating e della finanza. Su uno sfondo brulicante e sconfinato premono i bisogni e i desideri di un’umanità intera, la voglia di tutti di avere di più».
Siamo dinanzi a un gioco pericoloso dove a ogni debito corrisponde un credito e al vantaggio di uno lo svantaggio di tanti altri che sono oramai soggiogati da una pesantissima crisi non di penuria di beni ma per mancanza di eccesso, ovvero i beni non mancano e le persone vogliono consumare sempre di più senza mai soddisfarsi ed indebitandosi per mantenere questo stile di vita.
Il consumatore rappresenta l’ultimo anello di questo sistema capitalistico di produzione e distribuzione di beni di consumo, sia materiali che immateriali, ma paradossalmente ha il potere di influenzare tutta la filiera economico-finanziaria verso l’alto per avviare un primo cambiamento attraverso l’adozione di comportamenti di sobrietà nei consumi con una conseguente riduzione del debito.