In memoria di Preve
di Diego Fusaro - 23/11/2013
Fonte: lospiffero
È scomparso il 23 novembre il filosofo Costanzo Preve. La sua notorietà era inversamente proporzionale alla sua statura intellettuale. Pochi (o comunque non abbastanza), anche tra gli addetti ai lavori, conoscevano il suo nome, il suo pensiero, le sue numerosissime opere. Dopo aver studiato in Francia sotto la guida di Hyppolite, Preve ha vissuto a Torino: città alle cui logiche si è sempre sentito estraneo, vivendo, di fatto, come uno straniero in patria.
La città, probabilmente, non tributerà il degno ricordo al filosofo. Ed è anche per questo che ho deciso di ricordarlo io in questa sede. È per me un dovere, anche se mi costa molta sofferenza. È un dovere perché Costanzo è stato il mio maestro a Torino e perché vi era una profonda amicizia che mi legava a lui fin dal 2007. Non è facile parlarne, come sempre accade quando scompare una persona a noi vicina, a cui volevamo autenticamente bene. Con Costanzo, se ne va anche un pezzo – e non secondario – della mia vita e del mio legame con la città di Torino.
Ricordo quando lo conobbi: in una gelida serata del gennaio del 2007, al bar Trianon, in piazza Vittorio. Si trattava di una serata filosofica dedicata alla presentazione del libro di Giuseppe Bailone, Viaggio nella filosofia europea. Conoscevo già Preve, sia pure indirettamente: avevo letto alcuni suoi lavori su Marx, l’autore a cui Preve ha dedicato la sua vita e di cui si può con diritto riconoscere tra i massimi esperti a livello internazionale. Ma poi avevo già sentito un suo splendido intervento su Marx qualche anno prima, a Torino, all’“Unione Culturale”. Mi colpì profondamente. Quella sera, al bar Trianon, mi avvicinai e lui, con estrema cordialità, mi invitò a passare nei prossimi giorni a casa sua a trovarlo per discutere insieme di filosofia e Marx.
Già l’indomani, con l’impazienza che solo un ventiquattrenne può avere, lo chiamai e presi appuntamento. Da quel momento, iniziò la nostra amicizia. Andavo di continuo a trovarlo, a casa o, più spesso, al bar sotto casa. Ore di discussione filosofica sui temi della filosofia classica e dell’attualità che volavano quasi senza che ce ne accorgessimo: ci trovavamo alle 14 sotto casa sua e ci congedavamo intorno alle 18. Rispetto a tutti i docenti che avevo finora incontrato, Costanzo aveva qualcosa di diverso: non era un professore, era un filosofo. I suoi insegnamenti non si esaurivano nell’aula, ma erano un continuo dialogo con il presente e con l’attualità, con i problemi dell’oggi. Era una figura indubbiamente più simile a Platone e a Spinoza che non ai tanti grigi professori universitari che parlano di tutto e non credono in nulla.
Nella verità filosofica Costanzo credeva profondamente: per lui, la filosofia era una pratica veritativa legata alla dimensione storica e sociale. Il suo pensiero, per chi vorrà approfondirlo, è un grandioso tentativo di coniugare Hegel con Marx, ossia una critica radicale della società frammentata con l’esigenza veritativa della filosofia come ricerca di una sintesi sociale comunitaria degna dell’uomo come zoon logon echon, ossia come animale dotato di ragione, di linguaggio e di giusto calcolo delle proporzioni sociali. Costanzo ha scritto più di quaranta libri, dedicati ai grandi temi della tradizione filosofica occidentale. Riteneva – me lo diceva ancora poco tempo fa al telefono – la sintesi più riuscita del suo pensiero il monumentale volume Una nuova storia alternativa della filosofia. Il cammino ontologico-sociale della filosofia (Petite Plaisance, Pistoia 2013).
È da questo splendido libro – oltre che dai numerosissimi video su “Youtube” – che invito tutti a iniziare a conoscere il pensiero di Costanzo. È un invito che rivolgo anzitutto ai Torinesi, ossia a quelli che più avevano vicino Costanzo, senza saperlo. Le sue condizioni di salute non erano buone da tempo, ma non è per questo che non lo si vedeva presente ai convegni filosofici e alle discussioni pubbliche. Costanzo è stato ingiustamente ostracizzato dal “politicamente corretto” e da quella manipolazione organizzata che controlla millimetricamente cosa si può e cosa non si può dire. Costanzo ha sempre cantato fuori dal coro, preferendo – come amava dire citando Rousseau – il paradosso al luogo comune. Certi pensatori – ha detto Nietzsche – nascono postumi. Costanzo è senz’altro uno di questi.
La sua epoca non l’ha capito, forse perché lui aveva profondamente capito la sua epoca. Le aveva dichiarato guerra. Aveva rinunciato all’adattamento e alla rassegnazione. Non ha mai smesso di combattere, né è passato armi e bagagli al disincantamento, alla rassegnazione e alla santificazione dell’esistente, come hanno fatto miseramente in troppi della sua generazione. È sempre rimasto legato al progetto marxiano di ringiovanimento del mondo e di perseguimento di un futuro meno indecente della miseria presente. Non ha mai rinnegato nulla ed è sempre rimasto all’altezza di se stesso. Non ha accettato compromessi, né scorciatoie. Ha sempre combattuto il presente per quello che è veramente, l’epoca della compiuta peccaminosità di fichtiana memoria. In lui il comunismo non è stato un momento magico quanto effimero della giovinezza, destinato a tradursi nella rassegnata accettazione del presente frammentato: si è, invece, sedimentato in “passione durevole”, in ricerca razionale di un altro fondamento possibile per il legame sociale dell’umanità. Così ha sempre anche inteso il “comunitarismo” (a cui ha dedicato le sue energie teoriche negli ultimi anni), come correzione democratica del comunismo.
Vi è un’immagine in cui, più che in ogni altra, può essere compendiato l’atteggiamento filosofico e intellettuale di Costanzo: immaginate un immenso banco di pesci che nuotano compatti seguendo la corrente; immaginate, poi, un unico pesce che si avventura nella direzione opposta, controcorrente e in solitudine. Costanzo ha sempre nuotato così, controcorrente, seguendo non le mode del momento e le visioni di comodo, collaudate e funzionali al presente: si è sempre opposto al banco di pesci degli intellettuali organici allo status quo. E ha pagato sempre sulla propria pelle le conseguenze della propria dissonanza ragionata e del proprio spirito di scissione: offeso, calunniato, marginalizzato, ridicolizzato, non è mai stato affrontato sul suo terreno, cioè nell’arena della discussione filosofica e del logon didonai. Non cercava il successo, ma la verità; non il riconoscimento, ma un mondo più giusto.
Forse un giorno verrà capito e l’antipatia organizzata contro di lui si convertirà nel giusto riconoscimento per il suo magistero, per la sua lucidità critica e per la sua passione durevole per la filosofia. Ora è troppo presto. Quel che è certo – al di là di ogni retorica a buon mercato – è che con Costanzo se ne va un filosofo, un filosofo vero, uno dei pochissimi che ancora abitavano il mondo. Al dolore causato da ciò, in me si aggiunge quello dovuto al fatto che, con Costanzo, se ne va anche un vero maestro e un vero amico, una persona che mi ha dato più di quanto io non sia stato in grado di dare a lei. Le parole non bastano a esprimere la sofferenza e la nostalgia, i momenti trascorsi insieme e le interminabili discussione filosofiche al bar sotto casa.
Voglio concludere questo mio breve e sentito ricordo personale di Costanzo con i versi di Franz Grillparzer, che Costanzo stesso appose come esergo al suo splendido libro Un’approssimazione al pensiero di Karl Marx, del 2007: “se il mio tempo mi vuole avversare, lo lascio fare tranquillamente. Io vengo da altri tempi, e in altri spero di andare”.