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Gli uomini narcisi e l’egoismo che fa ammalare

di Claudio Risé - Valeria Chierichetti - 23/11/2013

 

felicita

In una donna cercano solo conferme delle loro capacità. Per loro sarebbe perfetta una fidanzata virtuale che non li mette mai in discussione, come succede nel film Her. Perché hanno il terrore di un rapporto vero. «Alla base di tutto c’è una completa mancanza di autostima», dice lo psicoterapeuta Claudio Risé. Che ci spiega perché il narcisismo (da non confondere con la vanità) è il disturbo più diffuso del nostro tempo

Un uomo, reduce da un fallimento sentimentale, trova l’amore in una donna che non esiste: di lei conosce solo la voce, in quanto è frutto di un sistema operativo capace di rispondere alle domande che le vengono rivolte, e di interagire a sua volta. È la trama del film Her, di Spike Jonze, presentato al Festival di Roma, dove il protagonista maschile, Theodore, è interpretato da Joaquin Phoenix e la voce computerizzata è quella sensualissima di Scarlett Johansson che, appunto, resta invisibile per tutta la durata del film. Theodore s’innamora di quella voce. Ci fantastica sopra, la sogna, la desidera. Perché la voce è collaborativa, è malleabile, in pratica è tutto quello che Theodore vuole sentirsi dire e che gli altri non gli dicono.
La voce funge da doppio di Theodore, è uno specchio, sono la stessa cosa. Un elogio dolente al narcisismo portato all’estremo, dove la realtà svanisce dentro quella voce che dice sempre di sì.
Maschi infragiliti al punto da rifuggire ogni contatto realistico con le donne. Maschi narcisi. Che volontariamente si confinano in un universo abitato solo da loro, dove della donna resta il simulacro di una voce sensuale, accattivante e soprattutto disponibile. A cui si aggiunge il fenomeno di una crescente vanità maschile, un culto dell’estetica che in cifre si traduce in una spesa di 2,7 miliardi di euro per prodotti cosmetici e, superata la banalità del dopobarba, si posiziona su creme antiage o sieri contorno occhi. Gli uomini sono in preda a un narcisismo galoppante?
Lo abbiamo chiesto a Claudio Risé, psicoterapeuta, autore del saggio Felicità è donarsi. Contro la cultura del narcisismo e per la scoperta dell’altro.

Professor Risé, partiamo dal fenomeno più superficiale: questa forma di vanità maschile che ormai si sta diffondendo è un sintomo di narcisismo?
«Non necessariamente. Dobbiamo tenere conto che, soprattutto dall’Ottocento in poi, l’uomo è stato costretto dentro un abbigliamento cupo, austero, che incarnava lo stereotipo del bravo marito e severo padre di famiglia. Negli ultimi decenni, anche grazie al lavoro e alla creatività degli stilisti, si è recuperato il gusto di uscire da quei binari ottocenteschi, stretti e noiosi. Ci si stupisce, ma in fondo basterebbe guardare al secolo precedente, al Settecento, dove la moda maschile è stata un tripudio di parrucche, vestiti sgargianti, merletti, broccati.
“La cura di sé”, come la chiama il filosofo Michel Foucault, non è nata oggi. C’era all’epoca dei greci, dei romani e dopo. È uno sviluppo, non una regressione. Ma l’estetica non c’entra nulla con il narcisismo. L’aspetto patologico di Narciso era altro».

In che senso?
«Facciamo un passo indietro, ossia al mito. Narciso è un bel ragazzo (attenzione, non un uomo nel pieno delle sue forze, ma un adolescente e quindi con un percorso di crescita ancora da compiere) che s’innamora della propria bellezza. Quando la ninfa Eco lo chiama, lui la respinge.
Narciso vuole soltanto rimirare la propria immagine riflessa dalle acque del fiume. La patologia, il narcisismo, non si riferisce alla bellezza, ma a questo restare intrappolati nella contemplazione della propria immagine al punto da non interessarsi all’altro o all’altra, insomma, al mondo esterno».

In pratica è un rifiuto dell’altro?
«Appunto. Il narcisismo è un disturbo della relazione, è una chiusura verso i rapporti, perché gli altri non vedono solo la tua bellezza e ti mettono in discussione. Mentre invece la crescita emotiva, personale, avviene sempre in rapporto all’esterno.
L’uomo è un essere sociale, il suo sviluppo avviene nella relazione con gli altri. Pensiamo soltanto all’inizio della vita. Siamo dentro il corpo della madre e quando nasciamo ci ritroviamo di fronte a lei. È in questa relazione duale madre/figlio che prendiamo coscienza di noi stessi. Quando si parla di narcisismo significa che a monte c’è stato un danno nel rapporto primario con la madre. Ed ecco il ripiegarsi su se stessi, il vedere gli altri solo in funzione di una conferma delle proprie capacità».

In amore, qual è il codice comportamentale del narcisista?
«Semplicemente non considera la donna (altrettanto capita alla donna “narcisa”). Non la vede, se non come conferma di sé, del suo essere bravo, giusto, capace, “performante”. Insomma, non come qualcuno che può insegnargli qualcosa, tantomeno come oggetto d’amore. Ecco perché di solito queste unioni sono destinate a fallire.
Il narciso è sterile, non s’impegna, è incapace di proposte, di progetti. Certo, di coppie dove lui è un narciso ne esistono, se ne vedono».

Si può tentare di cambiare il partner? E come?
«Fondamentale è che lui stesso si convinca del carattere debole di questo aspetto narcisistico e di poter “correre il rischio” di vivere un rapporto vero, senza preoccuparsi di questa continua esigenza di conferme. Usando un termine della psicologia corrente, alla base c’è una mancanza di autostima. Gli uomini narcisi, in fondo, non osano veri rapporti perché non credono di esserne capaci.
Aiutarli? Significa rassicurarli, convincerli (in un percorso che non è certo facile) a credere in se stessi, mettendosi alla prova».

Lei ha affermato che il narcisismo è il disturbo psicologico più diffuso del nostro tempo.
«La tragedia di Narciso, che alla fine muore, è proprio data da questo immobilismo, dal non saper rischiare. La società ha svirilizzato tutto, togliendo ai ragazzi ogni prova d’iniziazione, considerandole spesso troppo dure, politicamente scorrette. Il risultato è una sorta di generalizzata fragilità, di senso di inadeguatezza in tutti i campi, dalla professione a quello sentimentale. Così restano lì, intrappolati alla ricerca di quel famoso specchio, unica fonte di rassicurazione».

Fonte: [Cairo Editore "F", N. 47]