Costanzo Preve è stato, a modo suo, un mio amico.
Era un termine a cui ci teneva molto, e implicava una forma di signorile rispetto per chi non si vende.
L’ho incontrato la prima volta più di dieci anni fa, e mi ha subito colpito il contrasto tra il suo fisico e la sua meravigliosa intelligenza. Già allora, soffriva di numerosi acciacchi, che quasi gli impedivano di camminare e accentuavano il suo distacco dal mondo. Un distacco interiore, ma anche corporeo, come quello di certi matematici.
Battendo a macchina innumerevoli pagine sulla sua vecchia Olivetti, impermeabile a ogni forma di elettronica, Costanzo aveva costruito, lucido sillogismo dopo sillogismo, un’intera rappresentazione del mondo, che affascinava per chiarezza: ogni gradino veniva elaborato, reso perfettamente comprensibile a chiunque, levigato e sistemato in rapporto a quello successivo.
Costanzo mi diceva, “io sono un pensatore sistematico, tu sei un pensatore problematico“; e infatti Costanzo cercava sempre leggi universali, parlando del particolare soltanto come occasionali esempi o come trucco per risvegliare l’attenzione del lettore. Un po’ l’inverso del metodo del vedere il mondo in una goccia d’acqua, che mi accomunava molto di più all’altro grande personaggio morto quest’anno, Roberto Giammanco.
Se dovessi scegliere un’unica parola per definire Costanzo sarebbe – sorprendentemente per chi lo conosce come marxista – borghese.
Mozart e Goethe, lui ci diceva, erano borghesi, Silvio Berlusconi no.
E per “borghese” intendeva il ceto che aveva creato la civiltà occidentale dell’Ottocento. Persone rigorose, costruttive, colte, capaci di parlare molte lingue, amanti della musica (ovviamente classica), curiose di esplorare insieme scienze, arte e storia, con quel certo distacco dignitoso nel linguaggio e nei rapporti. Che poi, se guardiamo le biografie, furono anche quelli che pensarono e guidarono il movimento socialista.
Con Costanzo parlavamo soprattutto di un aspetto del mondo borghese che emerge poco dai suoi scritti: Costanzo era cresciuto, tra l’altro, ad Atene, Istanbul e Alessandria d’Egitto. Suo padre era un liberale laico piemontese, sua madre greco-armena. Uno dei tanti frammenti di un mondo che ci piaceva chiamare ottomano – e infatti, se non avesse deciso di dedicarsi alla filosofia, credo che avrebbe voluto impegnare gran parte delle proprie energie per una ricomposizione della frattura tra i popoli gemelli, greci e turchi.
Invece, decise – contro il volere di suo padre, che sosteneva che certe cose erano “da checche o da preti” – di andare a Parigi a studiare filosofia, avvicinandosi al marxismo. Un marxismo che non aveva nulla a che vedere con la fede di militanti e politici italiani, da cui Costanzo si è sempre tenuto lontano. Tanto che ha fatto semplicemente l’insegnante di liceo, evitando di entrare in campi soggetti a competizione o a ricatto.
Costanzo non nutriva simpatia per gli attivisti, a suo avviso settari e ambiziosi, che affollavano il mondo della sinistra italiana; in compenso, sapeva guardare con lo stesso signorile rispetto tutte le persone intelligenti e in buona fede, di qualunque provenienza, capaci di seguire fino in fondo un ragionamento.
Si trovava così nella curiosa posizione di essere uno dei massimi esegeti italiani di Marx, e allo stesso tempo del tutto alieno allo spirito di complicità gregaria che teneva in piedi la sinistra italiana realmente esistente: diciamo che Preve non è mai stato un compagno, ecco.
Mi ricordo di un dibattito tra Costanzo e un vivace militante di provenienza trotzkista. In cui il militante aveva espresso in modo pittoresco la sua furia per la maniera in cui si rischiava di buttare a mare Marx. Costanzo esordì, dicendo “Dire, ‘ci siamo rotti i coglioni’, non è un argomento filosofico“.
Ma questa sua distanza da chi ai Festival dell’Unità arrostiva la porchetta, o da chi distribuiva volantini in piazza, non aveva nulla a che vedere con arroganza intellettuale. Infatti, Costanzo scriveva per l‘ultima rivistina autoprodotta da un gruppo di studenti con lo stesso impegno con cui avrebbe scritto per una grande casa editrice; o forse anche di più, perché apprezzava profondamente ogni autentico sforzo intellettuale, soprattutto se privo di secondi fini.
Costanzo ha pagato volentieri un prezzo molto alto per questa sua estraneità, venendo escluso dalla sinistra realmente esistente, mentre il suo anticapitalismo radicale gli impediva ogni avvicinamento al trionfante mondo liberale. In compenso ha avuto molto ascolto da piccoli ambienti e singoli individui, provenienti dalle più varie esperienze e alla ricerca di un modo per comprendere il grande naufragio dei nostri tempi.
Un’identità si mantiene solo con chiare e invalicabili frontiere, e il fatto che Costanzo trattasse assolutamente alla pari chiunque lo volesse ascoltare ha suscitato le più incredibili reazioni da parte di certi identitari di sinistra, che sono arrivati in taluni casi alle minacce fisiche e anche a falsificazioni piuttosto ridicole dei suoi scritti, cosa di cui abbiamo dato conto anche qui. A dimostrazione di come tutti i grandi gruppi umani sottostiano alle stesse tremende leggi, a prescindere dalle idee cui dichiarano di rifarsi.
Ci accomunava anche l’amore per le lingue: Costanzo era equivalente madrelingua initaliano, greco e francese, conosceva molto bene il tedesco e l’inglese, abbastanza lo spagnolo e se la cavava con il turco e, se ben ricordo, anche l’armeno. Era capace di tenermi al telefono per lunghi minuti analizzando la costruzione sintattica turca o le differenze tra greco classico e greco moderno.
Mi sono appropriato di molte delle riflessioni che Costanzo regalava in giro – ad esempio, la sua analisi degli stadi del capitalismo, la sua analisi del movimento operaio e della Seconda Internazionale, il concetto degli Stati Uniti come ideocrazia, l’attenzione allaprima guerra mondiale come punto di svolta della storia europea o l’idea semplice che la democrazia non è un sistema elettorale, ma il “potere del popolo” in perenne conflitto con il potere di chi si appropria dei beni comuni, l’oligarchia. E sono molto orgoglioso di aver fatto la prima raccolta dei suoi scritti in rete.
Eppure non sono mai stato un seguace di Costanzo, un po’ perché le sue lucide ma incessanti critiche alla sinistra italiana toccavano un argomento che mi interessa poco, e un po’ perché non condividevo la sua tendenza a vedere negli Stati Nazione un’ancora per l’umanità in questo periodo di caos (anche se non è mai entrato nella logica geopolitica di alcuni altri pensatori marxiani italiani); mentre Costanzo raramente toccava gli argomenti che mi interessavano di più – i flussi energetici, il ciberdominio, l’autorganizzazione delle comunità locali, l’antropologia, lo spettacolo e l’immaginario.
Più semplicemente, non ho mai condiviso la passione principale della sua vita, che era laricerca filosofica. Pochi come Costanzo riuscivano a rendere Hegel affascinante e attuale, ma per me tutte le forme astratte di pensiero restano comunque un po’ noiose. Ma questo è palesemente un limite mio.
Un ultimo appunto.
Costanzo Preve ha voluto avere funerali religiosi.
Non è mai stato credente, non ha avuto alcuna conversione in punto di morte; e certamente un uomo così poco provinciale non ha fatto questa scelto per conformismo.
Piuttosto, come mi spiegava il figlio, è stato perché, anche da ateo, credeva allasacralizzazione delle grandi tappe dell’esistenza; e ha anche voluto indicare il proprio totale e definitivo distacco dalla comunità identitaria della sinistra.