Crisi economica, crisi ecologia e bioeconomia
di Luca Salvi - 04/12/2013
Mai come in questi ultimi tempi la Natura continua a mandarci segnali sempre più forti, a dirci che non riesce più a sostenere il peso dell’impronta ecologica dell’uomo sul pianeta Terra. Ne sono un chiaro esempio i catastrofici uragani che si sono abbattuti di recente sulle Filippine o sugli Stati Uniti, ma anche le piogge torrenziali e le alluvioni che hanno devastato il nostro paese negli ultimi anni e pochi giorni fa la Sardegna, con il loro tragico prezzo di morti e devastazioni. Nessuno che abbia un po’ di senno o di coscienza osa più mettere in discussione l’effetto serra e le gravi conseguenze dei cambiamenti climatici. Eppure si fa ancora troppo poco per invertire la rotta. Le periodiche conferenze sul clima sono per lo più una dichiarazione di intenti e le principali potenze continuano ad anteporre le ragioni del profitto e dell’economia a quelle dell’ecologia. Come afferma Vandana Shiva, “l’ossessione della crescita ha travolto il nostro interesse per la sostenibilità, la giustizia e la dignità umana. Ma le persone non sono merci da usare e gettare e il valore della vita si trova fuori dallo sviluppo economico. La crescita illimitata è la fantasia di economisti, imprese e politici. La vedono come una misura del progresso. Come risultato, il prodotto interno lordo (PIL), che dovrebbe misurare la ricchezza delle nazioni, è diventato il numero più potente e il concetto dominante del nostro tempo. Tuttavia, la crescita economica nasconde la povertà creata attraverso la distruzione della natura. Le parole “ecologia” ed “economia” hanno la stessa radice – “oikos”, la parola greca per casa. Fino a quando l’economia è stata capace di porsi dei limiti, essa riconosceva e rispettava le sue basi nelle risorse naturali e i limiti del rinnovamento ecologico. Essa era focalizzata a provvedere ai bisogni umani di base all’interno di questi limiti. Oggi l’economia è separata sia dai processi ecologici che dai bisogni fondamentali e si oppone ad ambedue. Il modello di sviluppo economico basato sulla crescita infinita del PIL é diventato il contrario della vita”. Con questa mentalità non c’è da stupirsi se l’ecologia, per la maggior parte degli Stati, dei politici e delle aziende, sia considerata un costo. Il “greenwashing” serve solo a tenere buoni gli ambientalisti e a conquistare nuove fasce di mercato. Ma la Natura non sta a fare di questi calcoli e ci sta presentando il conto. L’economia DEVE necessariamente diventare una BIOECONOMIA, cioè tenere conto dei limiti fisici del pianeta e della sua capacità di sostenere e sopportare la nostra impronta ecologica. Il primo a parlare diBioeconomia è stato l’economista rumeno naturalizzato americano Nicholas Georgescu Roegen nel suo libro La legge dell’entropia e il processo economico (1971). Egli è stato fra i primi, e fra i pochi, a teorizzare e ad auspicare una economia che soddisfi i bisogni dell’umanità riducendo al minimo l’entropia, cioè il disordine, la dissipazione e i consumi di risorse rinnovabili ad un ritmo superiore alla loro capacità di rigenerazione. La sopravvivenza dell’uomo e della Vita sulla Terra non può prescindere dalla questione ecologica e dal fatto che già oggi la nostra impronta ecologica è superiore alle capacità rigenerative del pianeta. Come a dire che stiamo mangiando nel piatto dei nostri figli e dei nostri nipoti. Molti economisti si illudono che nel 2014 ci sarà un “rimbalzo” e l’economia tornerà a crescere. Si rifiutano anche solo di considerare l’ipotesi che siamo alla crisi finale dell’economia di Mercato, ovvero di un’economia che è tutto fuorchè Bio, perché è stata finalizzata solo alla crescita indefinita della produzione e del consumo di merci. Questa economia dissipativa ed energivora è oggi schiacciata dai debiti, sia pubblici che privati, che sono stati contratti per sostenere i consumi in un periodo in cui l’offerta di merci supera largamente la domanda, depressa anche da una diffusa riduzione del potere d’acquisto. Oggi cercare di uscire dalla crisi stimolando la crescita è come cercare di rianimare un moribondo a bastonate perché la crescita non è la soluzione ma la causa della crisi. È ora di cambiare paradigma culturale per passare dalla crescita insostenibile alla decrescita felice (non a caso il termine Decrescita è stato utilizzato la prima volta da Georgescu Roegen). Il Movimento per la Decrescita Felice da molto tempo cerca di far conoscere a tutti, cittadini, politici, economisti, industriali, sindacati, le proprie proposte per superare la crisi economica. Si pensi a quale enorme impatto positivo avrebbe, in termini di creazione di posti di lavoro, di riduzione degli sprechi di energia e delle immissioni in atmosfera di CO2 una sorta di “Piano Marshall” nazionale per migliorare l’efficienza energetica del patrimonio edilizio nazionale, pubblico e privato, che in media spreca i 2/3 dell’energia utilizzata per il riscaldamento invernale e il raffrescamento estivo. Sarebbe un enorme volano economico per rilanciare il settore dell’edilizia, un settore oggi in crisi. Il denaro per realizzare gli interventi di efficientamento energetico potrebbe essere stanziato dalle banche e dallo Stato (al posto di finanziare gradi opere costose e di dubbia utilità) e i risparmi sui costi di gestione degli edifici efficientati permetterebbero nel giro di pochi anni di ripagare l’investimento. Questo è solo un esempio ma se ne potrebbero fare tanti altri: se ci fosse la volontà politica di fare scelte nuove e capaci di futuro, avremmo a disposizione delle autentiche miniere occupazionali, che vanno dalla gestione dei rifiuti alla bonifica di terreni inquinati, dal rilancio dell’agricoltura alla riforestazione e salvaguardia del territorio e dei beni artistici e culturali del nostro paese. Il Movimento per la Decrescita Felice, ostinatamente, continua a ribadire la necessità e l’urgenza di spostare la priorità dalla crescita del PIL alla crescita dell’occupazione in lavori utili, ovvero finalizzati alla riduzione dei consumi e degli sprechi e alla salvaguardia del territorio e del pianeta. E’ questa la proposta di Bioeconomia del Movimento per la Decrescita Felice.