Una protesta etereogenea, forse troppo, che passa dall’estrema destra ai centri sociali, portandosi dietro imprenditori, federalisti, “scioperanti fiscali”, para-leghisti o semplici lavoratori, sta bloccando in queste ore l’Italia o quantomeno alcune delle principali città.
Vista la pluralità delle “forze in campo” è impossibile darne una definizione: pare fin troppo evidente che visto il carattere “spontaneo” non può ancora avere un fine chiaro e tuttalpiù l’interpretazione si muove da chi ne prende parte è la definisce “rivoluzione” e chi ha provato a metterci le mani senza riuscirci e la definisce “fascistoide” o “golpista”.
L’unica certezza è l’ennesimo epico fallimento della sinistra radicale, che ora si trincera dietro a polemiche di facciata ma prova una fastidiosa invidia per i risultati già conseguiti da questa protesta che per decenni ha provato a mettere in pratica, coinvolgendo le peggiori e più debilitanti perversioni della società, dai punkabbestia ai drogati, dagli invertiti ai “radical chic”. Dimenticando, ma non ne dubitavamo, il mondo del lavoro. Dal socialismo, movimento delle maggioranze, al ribellismo, movimento delle minoranze (decadenti).
Ma mentre le piazze si infiammano, dalle parti di Ferrero, Rizzo, Vendola, Ferrando si scaldano i motori in vista dell’ultima possibilità di rimanere in vita cioè le elezioni europee, da “sbancare” utilizzando magari gli stessi slogan e gli stessi “miti capacitanti” di chi ora è attivo nella “piazza fascista”. Il tutto infarcito con un po’ di “cetomediosemicolto” e una svirilizzazione della protesta (che la signora Boldrini non si allarmi!). Non più “incazzati” ma “disadattati”. Non più “rivoluzionari” ma “dissidenti”. Non più “vaffanculo tutti” ma “dialoghiamo (che magari scaviamo qualche poltrona!)”. In soldoni, non più “diritti sociali” ma “diritti civili”!
Come detto, però, questa protesta di piazza sembra non avere una linea di condotta, una piattaforma politica, se non una protesta di stampo “para-grillino” contro la Casta, le tasse, l’Europa, l’austerità, il “governo del (non) fare”. Del “grillismo” però cancella l’inutile feticcio della “democrazia dal basso” o della “democrazia liquida”, che ha causato una serie imbarazzante di senatori e deputati eletti grazie ad un centinaio di voti su internet, riconquistando un po’ di spazio nella “piazza incazzata” con punte di soreliana “sacra violenza rivoluzionaria”.
Aspetto positivo questo, perché mette finalmente un po’ di pressione (il noto “pepe al culo”) al partito unico della borghesia compradora PD-Berlusconi-Napolitano-Repubblica, tutti supini all’interesse dell’economia anti-nazionale legata ai centri di potere anglo-americani. Non possiamo quindi felicitarci per la de-istituzionalizzazione della protesta, svincolandola alla suddetta “finta democrazia” grillina o ai consessi “vetero-comunisti” o leghisti.
Manca però quell’avanguardia partitica, il sogno di un Partito del Lavoro, patriottico, socialista, legato al mondo della produzione, all’interesse delle maggioranze con una lucida visione del “globale” e delle dinamiche internazionali, non ridotto a setta dogmatica o a casa comune di tutti gli elementi in dissidenza (con il proprio cervello).
Chi ha orecchie per intendere intenda…