Peccati e guerre
di Lorenzo Parolin - 17/12/2013
I dieci comandamenti sono leggi che vietano all’uomo molto di ciò che egli ritiene naturale, desiderabile e piacevole. Gli interpreti della legge di Dio hanno ritenuto colpa grave il disobbedire ad essa e, per le trasgressioni, hanno coniato il termine: “peccato”. Il peccato è stato presentato come un’azione che offende Dio e della quale l’uomo dovrebbe vergognarsi e chiedere perdono, per non dover incorrere nella collera divina.
Ma Dio non si vede e non si vedono neppure le punizioni ai trasgressori delle leggi che si dicono sue; allora è facile ritenere che il peccato sia una invenzione dei preti e che nessun peccato originale abbia mai incrinato l’uomo, che tutti gli impulsi naturali siano buoni e assecondabili, che tutto ciò che piace e si è capaci di fare si possa fare e infine, che non esista alcun Dio e quindi nessuna legge a cui l’uomo debba sottostare. L’uomo perciò ritiene che il suo istinto naturale a volere tutto per sé (l’egoismo) sia una caratteristica umana da sviluppare al massimo, che sia giusto farsi strada a gomitate, che il debole debba ritrarsi davanti al forte e che il forte debba indietreggiare solo davanti a chi è più forte di lui.
Si è instaurato così il potere dell’uomo (forte) sull’uomo e con esso si sono affermate le leggi umane: regole che stabiliscono chi abbia la precedenza e chi e quando la debba invece dare.
L’egoismo, per sua natura, toglie ad uno per dare ad un altro (persona, gruppo, popolo) e il suo equilibrio è sempre precario e dipende dalla rapacità e dalla forza dei contendenti. Se i deboli subiscono e tacciono, i forti instaurano le dittature; se invece reagiscono e si organizzano, allora scoppiano le rivoluzioni.
Nell’evoluzione dell’uomo egoista la democrazia è il risultato più alto ottenuto, è il miglior equilibrio possibile, ma non potendo essa privilegiare tutti, accontenta i più forti a scapito dei più deboli. L’equilibrio di tipo egoistico, perciò, causa differenze, ingiustizie, malcontenti, risentimenti, rancori e desideri di rivalsa, e questi sentimenti si intrecciano e si stratificano fino a produrre i grandi odi, i razzismi, le violenze, le guerre e le distruzioni.
L’egoismo è come un liquido che, se non è contenuto in qualche recipiente a tenuta, invade gli spazi degli altri e si crea diritti anche in casa altrui.
Dove si esalta l’egoismo, dove si loda e si stima chi è capace di fare i propri interessi, dove si insegna la competizione a partire dai giochi dell’infanzia, è normale che ci siano le violenze e le guerre, così com’è normale trovare grossi fittoni (radici) dove si sono seminate carote.
Quando scoppia una guerra, avviene un confronto tra due compagini di egoisti che si credono una più forte dell’altra, e la pace si avrà quando sarà chiaro chi sia il nuovo padrone e chi il nuovo suddito. E quando a sovvertire l’ordine costituito sia qualche piccolo mascalzone troppo aggressivo, il dominatore di turno, per non vedere pregiudicati i suoi interessi e offuscata la sua autorità, si erge irritato e gli assesta “sberle in faccia” fino ad indurlo a più miti consigli. A volte è sufficiente la diplomazia per limitare le distruzioni, ma comunque vadano le cose i problemi non vengono mai risolti alla radice, essi sono solo smorzati un po’ e rimandati a quando i perdenti saranno di nuovo forti.
Per una soluzione radicale dei problemi bisogna eliminare tutti i tipi di violenza: quella palese, cinica, sanguinaria, odiosa e ripugnante del tirannello di turno, ma anche quella nascosta, sottile, subdola di coloro che detengono il potere. Questi succhiano il sangue alla gente per mantenere apparati parassitari, si costruiscono leggi di parte che assicurino loro molti privilegi, sviluppano una giustizia che punisca chi tenti di toglierglieli, diffondono attraverso i mezzi di comunicazione una verità addomesticata per assopire il popolo, finanziano le rivoluzioni nei paesi a loro ostili per poi potersi insediare da privilegiati, attizzano le guerre nelle zone calde del globo per poter vendere armi a prezzi astronomici e prestano ai paesi poveri dei soldi a tassi da strozzini per prosciugare poi le loro ricchezze naturali a titolo di interessi sui debiti contratti.
Deprecabile è la violenza diretta che sparge sangue, ma molto più spregevole è la violenza raffinata dei tecnocrati che, freddamente e a scopo di interesse, pianificano la sofferenza e lo sfruttamento di interi popoli, gettando le basi per futuri disordini, massacri, rivoluzioni e guerre.
Ogni tipo di violenza ha la sua radice nell’egoismo e per vincerle tutte non resta che applicare il suo opposto: l’altruismo, che molti dicono essere contro natura.
Se per risolvere i problemi bisogna disobbedire alla natura umana e andarvi contro, significa che essa è malata e che il suo male potrebbe essere quello che alcuni chiamano peccato originale.
Se le cose stanno così, i comandamenti non sono più una stravaganza dei preti, ma sono fatti per il bene dell’uomo che, senza di essi, vede bene ciò che è male, distrugge credendo di costruire e disgrega anziché unire.
Allora, quelli che sono stati denominati peccati sono azioni da evitare, non tanto perché offenderebbero Dio, ma perché fanno male all’uomo; quindi, per l’uomo, è di somma importanza sapere ciò che è da scartare, per non lavorare a vuoto, o peggio, per lavorare a sminuirsi.
Qui entra in gioco Dio: è Lui che ha dettato il decalogo ed è la sua parola, inviata agli uomini lungo i secoli, che ha insegnato l’altruismo, l’amore e la carità, i soli princìpi che possono costruire un mondo senza guerre.
In conclusione, bisogna assegnare a Dio il posto di primo piano che gli compete; solo allora l’uomo si risparmierà le disastrose conseguenze delle sue azioni superbe. [rif. L1/76]