Il dopoguerra secondo confindustria
di Eugenio Orso - 20/12/2013
Fonte: pauperclass.myblog.it
Le fonti d’informazione come confindustria, con il suo CSC, cioè il noto centro studi del sindacato padronale, sono un po’ più attendibili di quelle governative, tutte tese, per ragioni di opportunità politica, a nascondere o a falsare una drammatica situazione sociale, occupazionale e produttiva. A quanto sembra, il CSC annuncia che la recessione è finita, ma lo fa con molte cautele, senza lasciare troppo spazio alla speranza di un miglioramento, in tempi brevi, della situazione generale del paese. Il CSC, rifuggendo dai giri di parole, ci avverte che la seconda, drammatica recessione, a partire dal propagarsi nel mondo degli effetti reali della crisi iniziata con i “sub-prime”, è paragonabile a una guerra per i danni e le macerie che ha lasciato dietro di se. Quasi due milioni di posti di lavoro (unità di lavoro equivalenti a tempo pieno, per il centro studi) sono svaniti e la drammatica morsa creditizia, operata dal sistema bancario, continuerà ancora a lungo, almeno fino al 2015 nello scenario più negativo. Ne deduco che dalla prima crisi si conteranno almeno otto anni di “vacche magre” (anzi, scheletriche) e non soltanto sette. Se la guerra, ossia la recessione neocapitalistica, è veramente finita, sembra che il dopoguerra potrà essere altrettanto negativo e socialmente drammatico. Oltre sette milioni di senza lavoro, in una stima prudente, e quasi cinque milioni di poveri veri, fino ad ora. Nei prossimi due anni si vedrà … Il tutto condito da un crollo dei consumi delle famiglie che possiamo definire epocale (fine della tanto deprecata società dei consumi?). Sempre che le ostilità non riprendano improvvisamente, a causa di un ennesimo shock orchestrato dalla grande finanza internazionalizzata, perché, in quel caso, la situazione potrà precipitare ulteriormente. Del resto, la debolezza del paese, dal punto di vista sociale e occupazionale, si manterrà anche il prossimo anno e il pil, tanto santificato, se crescerà, crescerà di un’inezia, meno dell’uno per cento (0,7% secondo il centro studi, che rivede a ribasso precedenti proiezioni). Faccio notare che questa specie cahiers de doléances/ libro nero riferito al dopo guerra-recessione l’ha scritto il CSC, non io, o qualche anticapitalista in vena di sputtanare il sistema. La peggiore ipotesi, nel dopoguerra e a partire dall’anno nuovo, è che il rispetto degli “impegni” presi in sede europea implichi la rinuncia forzata a un punto di pil, con conseguenze negative sul temutissimo spread e ricadute ancor più negative sulla società. Se la guerra è veramente finita (ma ne siamo certi?) da ciò che scrive il centro studi di confindustria è facile dedurre che l’Italia è un paese sconfitto. Abbiamo perso la guerra e soltanto ora ce ne siamo accorti. L’Italia – potenza manifatturiera in continente e nel mondo – è forse il grande sconfitto in Europa, ma non certo l’unico, perché l’area europeo-mediterranea esce complessivamente sconvolta dal conflitto. Che pare continui in Grecia. Le macerie visibili, le distruzioni del tessuto produttivo, i segni dei continui “bombardamenti” neocapitalistici ed europoidi ci sono tutti. Lungo le direttrici del Veneto e nei distretti industriali del nord, gli edifici industriali e i capannoni chiusi intorno ai quali già cresce un po’ di vegetazione, abbandonati all’incuria perché nessuno può riattivarli, lo testimoniano ampiamente. Il proliferare continuo del numero dei poveri veri, dei mendicanti, di coloro che dormono nelle stazioni, sempre più sporche e prive di manutenzione, ugualmente lo dimostra. Case senza riscaldamento (e senza luce) sempre più numerose, perché la cosiddetta “economia della bolletta” ammazza le famiglie monoreddito. Edifici pubblici e privati senza manutenzione, che fra qualche anno cadranno in pezzi. Ma non è tutto. Le macerie morali, invisibili quanto le ferite che offendono lo spirito, sono forse le più difficili da rimuovere e le più insidiose. Per l’Italia ci sarà un lungo dopoguerra, interrotto forse una ripresa improvvisa del conflitto, con un ultimo “bombardamento” finanziario ordinato delle aristocrazie globali del danaro e della finanza, ma non è prevista alcuna ricostruzione. Questo gli analisti del centro studi di confindustria ovviamente non lo scrivono, ma lo lasciano intendere, non volutamente, quando con aridi numeri cercano di prevedere i possibili scenari del dopoguerra. Non ci sarà ricostruzione, come avvenne dopo la seconda guerra mondiale, dal 1947 agli anni cinquanta. Perché, a differenza di allora, la spietata Global class finanziaria, perfettamente organica al neocapitalismo e senza problemi di coscienza, non prevede per il paese alcun “Piano Marshall”. Le risorse del paese si saccheggiano, le sue strutture produttive si smantellano, la popolazione si spreme fino all’inverosimile, e poi si passa ad altro, ad altri “mercati”, ad altre “bolle”, lasciando dietro di se solo macerie. Materiali e Morali. Grazie, comunque, al centro studi di confindustria e ai suoi analisti per aver chiarito che non abbiamo vissuto una semplice recessione, ma una vera e propria guerra. |