Lo yuan avanza. E la cinesizzazione anche
di Valerio Lo Monaco - 20/12/2013
La notizia di macroeconomia più importante degli ultimi giorni è relativa alla guerra delle valute. Ovvero a quella guerra che è in atto ormai da molti anni, e che ha avuto una accelerazione notevole dallo scoppio della crisi dei mutui subprime ai giorni nostri. Il 3 dicembre scorso, in modo ufficiale anche se la cosa non è stata sottolineata a dovere quasi da nessuno, lo Yuan ha superato l’Euro come valuta di riserva e di utilizzo per il commercio internazionale. La portata di una notizia del genere ha due significati. Per quanto riguarda l’Europa rappresenta l’ennesima dimostrazione del fatto che la moneta in corso legale (forzoso) nei paesi del Vecchio Continente, malgrado la direzione verticistica imposta dalla Banca Centrale Europea, continua a perdere colpi uno a uno. Per quanto riguarda il Dollaro, invece, le cose sono ancora più allarmanti (per gli statunitensi) e determinanti (per tutto il resto del mondo). Gia alcuni giorni addietro avevamo riportato la volontà della Cina di dismettere in maniera consistente la quantità di Dollari e titoli di Stato statunitensi (qui l’articolo "Se la Cina non compra più Dollari"). Molto semplicemente, in quella circostanza, la Banca Centrale Cinese aveva dichiarato di non voler più accumulare riserve in valute estere. Il che voleva e vuole significare una cosa soltanto: lo Yuan si lancia direttamente alla conquista economica del mondo. Dopo averlo fatto con le merci, insomma, la Cina si appresta a usare anche l'arma della moneta. Le conseguenze per gli Stati Uniti sono facili da immaginare e le abbiamo accennate nell’articolo citato. Per quanto attiene invece alla notizia più recente, è chiaro che essa debba essere letta nel medesimo quadro. O meglio, come un aggiornamento annunciato dello stesso. È vero, lo Yuan è ancora al secondo posto come valuta per il commercio internazionale, visto che il dollaro rimane pur sempre - per ora - al primo. Ma la velocità con la quale la moneta cinese ha superato, anzi “stracciato” quella europea, è fortemente indicativa. Solo nel 2012 la quota di Yuan nella finanza e nel commercio mondiale era dell’1,89% mentre l’Euro si attestava a 7,87%. Ora, nel mese di ottobre 2013, lo Yuan ha raggiunto la quota dell’8,66% mentre l’Euro è sceso al 6.64%. I conti sono molto semplici: non solo lo Yuan ha guadagnato e superato molto l’Euro, tanto da piazzarsi al secondo posto, appunto, ma la sua ascesa è stata effettuata in larghissima parte sulle spalle del Dollaro. Nel contesto generale ciò non è solo un campanello d’allarme per gli Stati Uniti, ma impone di prendere coscienza di uno scenario mondiale che non è più dietro l’angolo, quanto invece ci si paventa innanzi in tutta la sua realtà. Perché oltre Oceano sono alle prese con l’era Yelllen alla Federal Reserve, con la politica di Quantitative Easing che non può che continuare sulla falsariga che sta seguendo ormai da anni e per di più non può che essere così in un quadro che non accenna minimamente a migliorare, visto che, tra le altre cose, il prossimo febbraio ci si troverà nuovamente davanti il Fiscal Cliff solo rimandato di un tot nella “crisi” di ottobre-novembre scorsi. In quanto all’Europa la situazione è, malgrado la calma piatta che i media di massa si ostinano a voler veicolare nelle ultime settimane, molto deteriorata e rischiosa. Al di là dei dati prettamente italiani secondo i quali circa il 30% della popolazione è a rischio povertà (e commenteremo i risultati presumibilmente deludenti del commercio natalizio all’inizio del prossimo anno) l’unico tema che tiene banco nelle sedi europee è quello del salvataggio bancario degli istituti in crisi. Secondo Draghi, in una dichiarazione rilasciata durante una audizione al Parlamento Europeo, «i sistemi anti crisi sono inadeguati»: ciò significa, implicitamente, che il governatore della BCE vuole spingere verso il varo di nuovi e “non convenzionali” sistemi. Quali? Tra gli altri, o meglio, soprattutto, quello appunto della condivisione del fallimento delle Banche. Ne parliamo da tempo, su queste pagine, ma bisogna ribadirlo: il bail-in di Cipro è stata la prova generale, quindi è passato l’accordo “europeo” sulla condivisione dei rischi delle imprese bancarie non solo agli azionisti e agli obbligazionisti ma anche ai correntisti, cioè ai meri depositanti. E il “progetto” va avanti. Anche se la Germania vi si oppone, ciò è poco indicativo. Essa è già “fuori” o comunque in posizione molto differente rispetto agli altri Paesi europei, e non impiegherebbe più di qualche seduta parlamentare a decidere di lasciare l’Euro e tornare a una moneta propria che sarebbe ovviamente molto ben accettata a livello internazionale. Riuscendo, in questo modo, ad aver avuto tutti i vantaggi possibili dall'era dell'Euro e lasciando tutti gli altri Paesi con il cerino in mano al momento opportuno (evitando, al contempo, di lasciare l'Europa decidere come intervenire sulle eventuali Banche tedesche in crisi, oltre che evitando di dover intervenire per salvare quelle residenti negli altri Stati). È per gli altri Paesi invece che si paventa lo scenario peggiore. Perché nella situazione di crisi diffusa (sociale, lavorativa, economica) in cui si trovano pressoché tutti, una decisione sul salvataggio diretto delle Banche da parte della troika a incidere sui portafogli di ogni cittadino oltre che su quelli diretti di ogni singolo Paese, avrebbe da una parte terreno facile sul quale essere applicata (i parlamenti nazionali non valgono e servono più a un fico secco) e dall’altra un ventre molle sul quale agire. Rappresenterebbe la mazzata finale a un popolo depredato fino all’ultima risorsa. Mentre nel frattempo, come abbiamo visto, la Cina, la sua visione del mondo e del lavoro, e la sua moneta, avanzano. |