Una corsa a fiato perennemente corto, spossante e logorante, questo mi sembra in questa domenica sera, che si sa porta pessimismo, l’istruzione di questi tempi.
Non che, effettivamente, abbia avuto la possibilità di viverne di altri per un confronto oggettivo, ma è così che mi appare ormai ciò che dovrebbe essere una ricerca per la conoscenza e la passione.
Fin dai banchi del liceo miriadi di ragazzi proiettati verso il futuro impiego, responsabilità calate dall’alto per chi non è nemmeno in grado di comprenderle a pieno. I riflettori interamente puntati sul rendimento, il voto, che rispecchia le prestazioni, ridimensionando luoghi di culto del sapere, come il liceo e le università dovrebbero essere, ad aziende produttrici e valutatrici di competenze, le quali cercano di trasmettere il più possibile nel minor tempo, esattamente secondo un principio di efficienza proprio di una catena di montaggio.
Chi si ferma è perduto: per chi desidera fermarsi a riflettere, a comprendere non c’è spazio, non più, non oggi, o almeno così pare. L’imperativo è correre, per il diploma, per la laurea, per l’impiego, per il proprio posto nel mondo e se si possiede la facoltà di chiedersi se proprio quel posto, quell’angolo, sia quello giusto per noi è meglio perderla, o ignorarla del tutto.
Ed oramai nelle università si dimentica, nella maggior parte dei casi, il senso, lo scopo: il voto il credo di ogni studente, il tempo, neanche a farlo apposta, la sua frusta, egli si ingozza di nozioni, suo nutrimento per eccellenza, senza poterne tastare la qualità, perché l’importante è ricordare e non più sapere. La corsa all’impiego e alla meritocrazia così intesa non lasciano più spazio alla volontà, e alla capacità di discernimento, e finisce per creare ”operai di alta qualità” da spedire nella prossima catena di montaggio e non più capaci di chiedersi ”perché”.