L’Italia è già in mano agli uomini di Mario Draghi
di Giorgio Cattaneo - 29/01/2014
«Povero Renzi, non ha ancora capito che, se mai andrà al governo, non potrà comandare». Idem gli altri “volti nuovi” (o semi-nuovi) della politica, da Grillo a Vendola fino al leghista Salvini, tutti «destinati a vedere vanificate le loro riforme: che siano di destra o di sinistra, sono accomunati dallo stesso destino. Perché il vero potere è altrove. Così vicino, eppure invisibile», incarnato dagli uomini dislocati a Roma dal vero dominus dell’Italia, Mario Draghi. Secondo Marcello Foa, se la Seconda Repubblica ha portato ad esecutivi più longevi ma non troppo stabili – Berlusconi, Prodi – fino al super-tecnocrate Monti e alle larghe intese di Letta, è per via del «male endemico che però non spiega la cronica inefficienza dei governi», a cui è stato impedito di cambiare la politica. Chi frena? Per capirlo, si tratta di scoprire «chi ha in mano l’apparato del governo, chi pubblica sulla Gazzetta Ufficiale disposizioni di legge illogiche, incongruenti, contraddittorie al punto da vanificare, casualmente, la riforma generando sconcerto nell’opinione pubblica, che naturalmente se la prende con i soliti partiti».
La spiegazione: «Chi ha la facoltà di velocizzare o di rallentare l’immenso apparato dello Stato: le persone che hanno questa facoltà esistono e possiedono le chiavi del potere», scrive Foa in un post sul “Giornale”, citando un articolo di “Italia Oggi” del maggio scorso, firmato da Roberto Narduzzi. Titolo: “Draghi ha già piazzato i suoi uomini in tutti i posti chiave dell’economia”. Per attivare lo scudo anti-spread, scrive Narduzzi, occorre «offrire garanzie manageriali ai prestatori che devono di fatto approvare la qualità della squadra italica chiamata a gestire il programma». Draghi lo sa bene, aggiunge “Italia Oggi”, e non ha perso tempo: «Non è affatto casuale l’arrivo di uomini di Bankitalia ai posti chiave della finanza pubblica. Fabrizio Saccomanni come ministro dell’economia e Daniele Franco alla Ragioneria dello Stato». Sono «persone di qualità e di cui Draghi si fida», ovvero «persone giuste per interagire con la Bce, il Fmi o la Commissione se l’attivazione dello scudo si fa realtà». Altre pedine strategiche: alla direzione generale del Tesoro un certo Vincenzo La Via, proveniente dalla Banca Mondiale, e all’Agenzia delle Entrate un tecnocrate come Attilio Befera, «molto stimato da Draghi». A questo punto, «soltanto il bilancio dell’Inps, oggetto di feroci critiche per Inpdap ed esodati, sfugge al controllo tecnico di un Draghi boy».
Il “vero premier italiano”, quello che governa dall’Eurotower Bce di Francoforte in perfetta sintonia con Napolitano, ha messo a punto ogni casella chiave per gestire gli effetti operativi dell’attivazione italiana dello scudo anti-spread, osserva Foa, rileggendo “Italia Oggi”. «Il tono dell’articolo è compiaciuto e compiacente. Come dire: bravo Draghi!». Con questi sistemi, aggiunge Foa, si governano le istituzioni grazie a «tecniche di occupazione del potere», vanificando ogni dialettica politica fondata sul confronto democratico, grazie al super-potere di «membri altolocati delle élite che contano davvero». Lo conferma un altro servizio, firmato da Andrea Cangini sul “Quotidiano Nazionale”: “Leggi e governanti ‘ostaggio dei tecnici’. Così i grandi burocrati guidano la politica”. «Lo Stato sono loro», taglia corto l’ex ministro Altero Matteoli, «e la repubblica è appesa alle loro decisioni». Destra e sinistra non contano, di fronte al potere dei super-burocrati: ragioniere generale dello Stato, capi di gabinetto, direttori di dipartimento, capi dell’ufficio legislativo dei ministeri più importanti. «Hanno dunque in pugno il paese, e da quasi vent’anni sono sempre gli stessi», restando nel recinto di «una casta chiusa, irresponsabile ed autoreferenziale».
Osserva ancora Cangini: sono 15-20 individui, sempre quelli. «Il più noto è Vincenzo Fortunato, ex Tar, più di 500.000 euro di stipendio l’anno fino a poco tempo fa». I super-tecnocrati nostrani «sono il vero e inamovibile potere italiano», sintetizza un ex ministro diessino, confortato da un suo omologo ex forzista. Entrambi sostengono che le bollinature, cioè il via libera contabile della Ragioneria ad ogni provvedimento di spesa, «vengono concesse solo se il provvedimento rientra nella ‘visione’ politica del ragioniere generale. In caso contrario vengono negate o subordinate a scelte ‘politiche’ diverse». C’è un’altra cosa su cui i due ex ministri, pur di opposti schieramenti, concordano: «I burocrati ministeriali scrivono le norme e gestiscono le informazioni in maniera iniziatica, in modo da risultare indispensabili». Un monopolio difficile da scalfire, chiosa Foa. «Capito chi governa davvero l’Italia?». Loro, gli yes-men che rispondono al signore della Bce, privatizzatore del sistema bancario italiano, uomo del Bilderberg e della Goldman Sachs nonché esponente del Gruppo dei Trenta, vera e propria cupola del super-potere finanziario mondiale attraverso cui l’élite planetaria domina il nostro destino.
«Povero Renzi, non ha ancora capito che, se mai andrà al governo, non potrà comandare». Idem gli altri “volti nuovi” (o semi-nuovi) della politica, da Grillo a Vendola fino al leghista Salvini, tutti «destinati a vedere vanificate le loro riforme: che siano di destra o di sinistra, sono accomunati dallo stesso destino. Perché il vero potere è altrove. Così vicino, eppure invisibile», incarnato dagli uomini dislocati a Roma dal vero dominus dell’Italia, Mario Draghi. Secondo Marcello Foa, se la Seconda Repubblica ha portato ad esecutivi più longevi ma non troppo stabili – Berlusconi, Prodi – fino al super-tecnocrate Monti e alle larghe intese di Letta, è per via del «male endemico che però non spiega la cronica inefficienza dei governi», a cui è stato impedito di cambiare la politica. Chi frena? Per capirlo, si tratta di scoprire «chi ha in mano l’apparato del governo, chi pubblica sulla Gazzetta Ufficiale disposizioni di legge illogiche, incongruenti, contraddittorie al punto da vanificare, casualmente, la riforma generando sconcerto nell’opinione pubblica, che naturalmente se la prende con i soliti partiti».
La spiegazione: «Chi ha la facoltà di velocizzare o di rallentare l’immenso apparato dello Stato: le persone che hanno questa facoltà esistono e possiedono le chiavi del potere», scrive Foa in un post sul “Giornale”, citando un articolo di “Italia Oggi” del maggio scorso, firmato da Roberto Narduzzi. Titolo: “Draghi ha già piazzato i suoi uomini in tutti i posti chiave dell’economia”. Per attivare lo scudo anti-spread, scrive Narduzzi, occorre «offrire garanzie manageriali ai prestatori che devono di fatto approvare la qualità della squadra italica chiamata a gestire il programma». Draghi lo sa bene, aggiunge “Italia Oggi”, e non ha perso tempo: «Non è affatto casuale l’arrivo di uomini di Bankitalia ai posti chiave della finanza pubblica. Fabrizio Saccomanni come ministro dell’economia e Daniele Franco alla Ragioneria dello Stato». Sono «persone di qualità e di cui Draghi si fida», ovvero «persone giuste per interagire con la Bce, il Fmi o la Commissione se l’attivazione dello scudo si fa realtà». Altre pedine strategiche: alla direzione generale del Tesoro un certo Vincenzo La Via, proveniente dalla Banca Mondiale, e all’Agenzia delle Entrate un tecnocrate come Attilio Befera, «molto stimato da Draghi». A questo punto, «soltanto il bilancio dell’Inps, oggetto di feroci critiche per Inpdap ed esodati, sfugge al controllo tecnico di un Draghi boy».
Il “vero premier italiano”, quello che governa dall’Eurotower Bce di Francoforte in perfetta sintonia con Napolitano, ha messo a punto ogni casella chiave per gestire gli effetti operativi dell’attivazione italiana dello scudo anti-spread, osserva Foa, rileggendo “Italia Oggi”. «Il tono dell’articolo è compiaciuto e compiacente. Come dire: bravo Draghi!». Con questi sistemi, aggiunge Foa, si governano le istituzioni grazie a «tecniche di occupazione del potere», vanificando ogni dialettica politica fondata sul confronto democratico, grazie al super-potere di «membri altolocati delle élite che contano davvero». Lo conferma un altro servizio, firmato da Andrea Cangini sul “Quotidiano Nazionale”: “Leggi e governanti ‘ostaggio dei tecnici’. Così i grandi burocrati guidano la politica”. «Lo Stato sono loro», taglia corto l’ex ministro Altero Matteoli, «e la repubblica è appesa alle loro decisioni». Destra e sinistra non contano, di fronte al potere dei super-burocrati: ragioniere generale dello Stato, capi di gabinetto, direttori di dipartimento, capi dell’ufficio legislativo dei ministeri più importanti. «Hanno dunque in pugno il paese, e da quasi vent’anni sono sempre gli stessi», restando nel recinto di «una casta chiusa, irresponsabile ed autoreferenziale».
Osserva ancora Cangini: sono 15-20 individui, sempre quelli. «Il più noto è Vincenzo Fortunato, ex Tar, più di 500.000 euro di stipendio l’anno fino a poco tempo fa». I super-tecnocrati nostrani «sono il vero e inamovibile potere italiano», sintetizza un ex ministro diessino, confortato da un suo omologo ex forzista. Entrambi sostengono che le bollinature, cioè il via libera contabile della Ragioneria ad ogni provvedimento di spesa, «vengono concesse solo se il provvedimento rientra nella ‘visione’ politica del ragioniere generale. In caso contrario vengono negate o subordinate a scelte ‘politiche’ diverse». C’è un’altra cosa su cui i due ex ministri, pur di opposti schieramenti, concordano: «I burocrati ministeriali scrivono le norme e gestiscono le informazioni in maniera iniziatica, in modo da risultare indispensabili». Un monopolio difficile da scalfire, chiosa Foa. «Capito chi governa davvero l’Italia?». Loro, gli yes-men che rispondono al signore della Bce, privatizzatore del sistema bancario italiano, uomo del Bilderberg e della Goldman Sachs nonché esponente del Gruppo dei Trenta, vera e propria cupola del super-potere finanziario mondiale attraverso cui l’élite planetaria domina il nostro destino.