Ecco Padoan: l’eterno ritorno dell’identico
di Filippo Burla - 23/02/2014
Fonte: Primatonazionale
A sentire Matteo Renzi, doveva essere un politico. Sarà invece un tecnico a guidare il ministero dell’Economia. Dopo una serie di balletti e rose di potenziali nominati, la scelta è caduta infatti su Pier Carlo Padoan. Passa così la linea più gradita al Quirinale.
Padoan, 65 anni, già professore di economia alla Sapienza di Roma, è l’attuale presidente dell’Istat, andato a sostituire quel Enrico Giovannini che sotto il governo Letta occupava lo scranno del ministero del Lavoro. Non si tratta tuttavia di un perfetto sconosciuto, almeno non alla politica italiana di lungo corso. Schierato all’epoca vicino al Pci, è stato collaboratore di Amato prima e di D’Alema poi dal 1998 al 2001. In seguito e prima della presidenza all’istituto di statistica, ha rivestito il ruolo di funzionario del Fondo monetario internazionale, con l’incarico di direttore esecutivo per l’Italia.
Un tecnico già prestato alla politica. Tra le sue posizioni spicca il favore con il quale guarda all’imposizione patrimoniale: «Le tasse che danneggiano di meno la crescita sono quelle sulla proprietà, come l’Imu», parole pronunciate solo pochi mesi addietro. Senza scordare l’assistenza portata in qualità di economica ai governi D’Alema e Amato che furono caratterizzati dalla svendita del patrimonio industriale pubblico. Come già anticipato su queste pagine, non è quindi escluso che le scelte operate dal premier Renzi e in accordo con il Presidente della Repubblica possano portare ad una decisa spinta in favore delle privatizzazioni di ciò che resta ancora in mano allo Stato. Eni, Enel, Finmeccanica e Ansaldo sono le principali candidate, essendo le procedure per Enav e Fincantieri già in corso d’opera.
«Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi», le parole che Tomasi di Lampedusa fa pronunciare a Tancredi Falconeri. Espressione fin quasi abusata, ma che perfettamente si adatta alle scelte che -da capo economista dell’Ocse- Padoan sosteneva per riagganciare il treno della crescita: tutela del salario reale e non del posto di lavoro in sé, orientamento verso una (difficilmente sostenibile) flessicurezza sul modello dei paesi nordici, liberalizzazioni. Senza dimenticare la sempreverde riduzione del cuneo fiscale. Un filo conduttore che lega le decisioni di politica economica condotte dalla Fornero fino a Saccomanni, senza soluzione di continuità nonostante i cambi al vertice. Un filo conduttore che alla prova dei fatti, in realtà, non ha mai saputo affrontare di petto il tema della tassazione sul lavoro, che anzi è andata via via aumentando con grave pregiudizio per le attività d’impresa. Che sia la volta buona è difficile a dirsi.