Sfide impossibili: il debito pubblico
di Luciano Fuschini - 25/02/2014
Confindustria e Finanza ora puntano su Renzi e i suoi giovanottini e giovanottine ben pettinati, ben sbarbati, bellini, pulitini, con la cravattina d’ordinanza o la gonna da figliola di buona famiglia.
Fra i tanti problemacci che dovranno affrontare, basta enunciarne due, i maggiori: il debito pubblico e la disoccupazione. Oggi ci occuperemo del primo.
Il debito pubblico mostruoso è maturato in almeno 50 anni di tenore di vita medio superiore alle nostre possibilità, di ricorso a prestiti dall’estero usurai, di sprechi generalizzati e di ruberìe della casta. I soli interessi che lo Stato deve pagare per il debito accumulato impediscono qualunque prospettiva di crescita forte.
Chi predica che si possa uscire dal debito pubblico con atti unilaterali, fosse pure soltanto una ristrutturazione del debito, diffonde illusioni. A ogni debito corrisponde un credito. Per ogni debitore c’è un creditore. I creditori hanno sempre strumenti di ritorsione che impediscono al debitore di uscire dal debito con decisioni unilaterali. Tanto più nei rapporti con grandi banche e con Stati.
C’è un solo modo per non curarsi troppo del debito pubblico: incrementare il PIL più del tasso di interesse da pagare per il debito.
Con un tasso di interesse del 5%, un incremento del PIL del 6 o 7% renderebbe il debito sopportabilissimo. Ma un simile incremento del PIL, che si verificava negli anni del boom economico, in condizioni assolutamente non riproducibili oggi, è irrealistico, né è auspicabile perchè la pressione sull’ambiente, già duramente provato, diventerebbe insopportabile.
Allora bisognerebbe abbassare il tasso di interesse a livelli minimi, ma nemmeno questo è fattibile perché solo alti tassi di interesse possono attrarre capitali in un Paese a rischio come il nostro. Perciò l’unica via indolore per affrontare il problema del debito pubblico, ci è preclusa.
Restano quattro soluzioni per abbattere significativamente il debito pubblico. Soltanto quattro.
La prima è una patrimoniale durissima, che colpisca i beni immobili e anche tutti i prodotti finanziari, compresi depositi e conti correnti che non danno più rendita da quando l’interesse che viene corrisposto si avvicina allo zero o è pari allo zero. Questa via comporta gravi tensioni sociali e la certezza di perdere le elezioni da parte del governo che la tentasse. Non saranno certo i fighetti di Renzi ad avventurarsi su questo terreno.
La seconda consiste nella vendita del patrimonio pubblico, compresa una parte delle riserve auree. Quando il venditore è disperato, come nel nostro caso, l’acquirente può dettare le condizioni. In definitiva, la vendita sarebbe una svendita, oltre che un’ulteriore penosa perdita di sovranità.
Le altre due sono tanto dolorose da risultare impensabili.
Una sarebbe l’inflazione a doppia cifra. Un’inflazione dal 10% in su abbatterebbe il debito pubblico in pochi anni, ma contemporaneamente ridurrebbe alla miseria nera tutti i percettori di redditi fissi e annienterebbe i risparmi, quei risparmi grazie ai quali sopravviviamo anche in questi anni di crisi. Sarebbe il classico rimedio che uccide il malato.
L’altra è la guerra. Una guerra vincente contro i creditori.
Questa soluzione è stata largamente praticata nella storia. Oggi è la risorsa che permette agli Usa di continuare a dominare il mondo. Gli USA sarebbero ridotti come noi o peggio. Non si preoccupano tanto del loro debito pubblico perché possono contare sul fatto che il dollaro resta la moneta delle transazioni commerciali internazionali, per cui tutte le potenze, avendo dollari nelle loro riserve, sono interessate a impedire il crollo della divisa americana; ma non se ne preoccupano tanto soprattutto perché hanno le portaerei e i droni. Sanno che nessun creditore può alzare troppo la voce nei loro confronti, perché sarebbe militarmente sconfitto.
Sono calcoli che evidentemente l’Italietta non può fare.
In conclusione, non esiste una via d’uscita indolore.
Dobbiamo rassegnarci a convivere con un debito pubblico gigantesco che impedisce grandi investimenti statali e depotenzia il welfare. Rende impossibile una significativa diminuzione del peso fiscale e di conseguenza disincentiva anche gli investimenti privati.
In definitiva, dobbiamo accettare l’idea che siamo destinati a un progressivo e rapido impoverimento. L’unico modo per far sì che l’inevitabile impoverimento non diventi la miseria nera, è riattivare la forza solidale delle comunità locali.
I giovanottini e le giovanottine di Renzi sono antropologicamente estranei a questa logica. Purtroppo lo è anche il popolo italiano nel suo complesso, deteriorato moralmente non dalla durezza della crisi ma dai decenni di prosperità economica, più devastanti di un bombardamento nucleare.
Questo per dire le cose come stanno e farla finita con le balle.