Italia: un popolo che non vuole salvarsi
di Salvo Ardizzone - 05/03/2014
Fonte: Il Faro sul Mondo
Da troppo tempo siamo in crisi, ne siamo tutti convinti ripetendocelo come un mantra, e quando leggiamo di luci in fondo al tunnel o segni di ripresa, scuotiamo la testa pensando ai guai che abbiamo. Il fatto è che la nostra non è una crisi congiunturale, quella c’è e ci ha investiti in pieno come negli altri Paesi, ma s’è sommata a una crisi strutturale tutta nostra e ne ha moltiplicati gli effetti.
L’Italia, uscita dalla guerra distrutta, fra gli anni ’50 e ’80 ha conosciuto una crescita sostenuta e costante; il divario fra Nord e Sud s’è contratto sensibilmente e soprattutto è aumentata la base sociale della ricchezza. In poche parole, tanta, tantissima gente ha raggiunto il benessere e l’ascensore sociale (il miglioramento delle condizioni economiche e sociali delle famiglie) ha funzionato a più non posso.
E che quello fosse dovuto a produzione di ricchezze vera, lo dice un altro dato: nel 1979, dopo la ricostruzione d’un Paese devastato e i massicci investimenti infrastrutturali effettuati nel lungo periodo di crescita, il rapporto fra deficit e Pil era al 60%, pur in presenza di un’imposizione fiscale perfetta no, ma neppure particolarmente vessatoria.
Da allora è avvenuta una brusca inversione di tendenza: il debito in 13 anni è schizzato al 105% del Pil nel 92’, e la crescita è rallentata fino a fermarsi e a ristagnare per decenni, mentre il resto del mondo (e anche dell’Europa), ha fatto corsa a sé.
Cos’è accaduto di così determinante da bloccare la capacità di crescita sia economica che sociale del sistema Italia? Da fermare quell’ascensore sociale che aveva funzionato così bene? Dell’argomento abbiamo già parlato in altri articoli, affrontandolo sia sotto l’aspetto economico che amministrativo (che poi si tengono), ora lo facciamo sotto quello politico, vale a dire delle scelte e chi e cosa le determina.
Dal ’45 all’80, l’Italia era quella delle ideologie e della Guerra Fredda, e il consenso ai partiti strettamente legato a un senso d’appartenenza; il voto d’opinione era assai ridotto, ben pochi punti percentuali che spostavano assai poco; insomma: un sistema democratico, si, ma ingessato. Era il tempo del fattore K che spaccava in due il Paese.
Senza bisogno di far la Storia, da allora le cose son cambiate, le ideologie si son sbiadite fino a scomparire e i partiti che prima non avevano troppo bisogno di cercarsi i voti (perché li ricevevano quasi a prescindere in virtù del loro posizionamento), han dovuto chiederli ad un elettorato sempre meno legato a loro.
Questo è certo un segno di maturità, almeno in quelle che si chiamano democrazie evolute, dove l’espressione del voto è (scusate, diciamo dovrebbe essere) dato in funzione d’un programma complessivo, di scelte da effettuare nell’amministrazione della cosa pubblica, vale a dire in funzione di interessi generali, della società nel suo complesso; certo, ci possono essere specifici interventi per categorie particolarmente bisognose, ci sta tutta, ma sempre senza perder di vista l’interesse generale che dovrebbe (il condizionale è purtroppo d’obbligo) guidare l’azione di governo.
Appunto, perché è su questo che il Sistema Italia mostra tutta la sua peculiarità, perché, piaccia o non piaccia, il grosso della società ha un senso del bene comune assai labile, troppo spesso la sua appartenenza si ferma al campanile ed ha una visione assai corporativa quando non familistica degli interessi. Così, quando i partiti domandano i consensi, liberati dalla camicia di forza dell’ideologia, è un fiorire di lobby, di centri di potere piccoli e grandi, di categorie sindacali e no, d’associazioni, di gruppi e chi più ne ha più ne metta, che rappresentano ognuno il proprio interesse particolare, e chi se ne importa di quello generale.
In questo mercato delle vacche – diffuso a tutti i livelli – ognuno strappa il proprio privilegio (piccolo o grande che sia), il proprio sussidio, il proprio provvedimento particolare in barba a quello degli altri, e una volta avutolo lo difende con le unghie e con i denti considerandolo sacrosanto.
I partiti nel frattempo han perso ogni contenuto, ogni capacità di fare sintesi delle esigenze della società, ogni capacità d’esprimere un progetto riducendosi a “casta” che ha l’unico obiettivo di auto perpetuarsi, e con questo han perso pure il potere, quello di decidere ed incidere nella realtà, che è passato all’altra casta, quella degli alti burocrati, degli alti dirigenti e funzionari, che han preso in mano il volante per lasciar tutto com’è, perpetuando con quelli degli altri i privilegi propri (e quelli si grandi!).
In una società come questa, senza una bussola che non sia il proprio interesse particolare, o quanto meno la propria visione particolare delle cose, se c’è da cambiare, da tagliare, da risparmiare, è sempre al vicino che si guarda, è sempre il privilegio degli altri che inferocisce; così gli infiniti veti incrociati, le infinite resistenze e le proteste finiscono per paralizzare tutto. E i “decisori”, ammesso che di decidere abbiano convinzione e voglia (e dubitiamo assai), rinunciano alla più piccola decisione che non sia imposta da un soggetto esterno (leggi Europa) a cui indirizzare l’impopolarità della scelta fatta.
La situazione è soffocante, senza via d’uscita; nascono movimenti di protesta: ma quale? Quale organico sistema di valori capace di orientare le scelte complessive indicano? Ancora e sempre sono indicazioni particolari, nel migliore dei casi toppe su un vestito che è ormai uno straccio, ripristino di privilegi erosi, certo non un abito nuovo che li dismette.
Se la Politica, ma quella con la “P” maiuscola, non riacquista la capacità d’articolare un progetto che investa tutto il Sistema Italia non se ne esce. Direte che non ne ha l’autorità, la capacità e tanto meno la dignità, e questo è vero. Ma fin quando la gente seguirà il primo pifferaio che sale sul pulpito per dispensare la sua verità assoluta e a lui s’affida, andrà di male in peggio. E i sacrifici che ci son stati chiesti, continuando così saranno perfettamente inutili, ne serviranno sempre di più e sempre più dolorosi senza cambiamenti, ma veri.
È la realtà che ogni giorno ci dimostra che continuare per questa via porta al collasso, ma di tutti, e allora non ci sarà più il “particolare” di nessuno da difendere.