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Note su un recente “caso” di discriminazione culturale

di Enrico Galoppini - 18/03/2014



 

Alcuni quotidiani del cosiddetto “centro-destra” hanno dato risalto ad una squallida vicenda (l’ennesima) che potremmo definire di ordinaria “discriminazione culturale” che ha visto come parte lesa la direttrice della testata telematica “Totalità”, Simonetta Bartolini.

Si tratta delle motivazioni addotte da una commissione giudicante del MIUR al riguardo del curriculum e delle pubblicazioni della suddetta giornalista, oltre che ricercatrice presso l’Università Internazionale di Roma, “rea” di occuparsi di personaggi e questioni troppo “di destra” e, per giunta, con un taglio “militante” (come se fosse l’unica!). Non mancherebbe, inoltre, sempre secondo la medesima relazione, una sorta di “lesa Resistenza”… che fa il pari con l’accusa di “revisionismo”[1].

Gli ingredienti per una sonora bocciatura, in questa “Repubblica antifascista nata dalla resistenza”, in breve, ci sono tutti.

Qui la versione di “Libero”, a firma di Renato Besana, dopo di che la stessa “Totalità” – che ha fornito una rassegna stampa sull’accaduto - ha ripreso la questione in due interventi, uno dei quali firmato dalla diretta interessata (l’altro è di Domenico Del Nero).

Stabilito che Renato Besana è una persona seria ed affidabile (suo, tra gli altri, l’ottimo documentario "Italia e Islam"), e soprattutto che la tendenza ad escludere dai concorsi a cattedra chi viene additato come “reazionario” e/o “fascista” da parte di chi s’è attribuito l’esclusiva patente di “moralità” è una cosa davvero vomitevole, bisogna però fare alcune precisazioni su chi ha davvero i titoli per poter gridare allo “scandalo” contro questa infamia che dura da decenni, cioè dalla nostra sconfitta militare nel 1945 (fattore, questo, che non va mai dimenticato perché s’è portato dietro ogni altra sciagura nazionale).

Partiamo con la constatazione che “Libero” non ha alcun titolo né per ergersi a paladino del Fascismo né della Destra, anche solo come l'intendeva Evola (che non rappresenta il Fascismo, beninteso).

Ora, per ergersi a degni difensori del Fascismo, della sua “idea” e delle sue ineguagliate (dalla Liberaldemocrazia e dal suo fittizio “nemico”, il Comunismo) realizzazioni di carattere politico, economico, sociale e culturale, bisognerebbe avere il “coraggio” di fare due semplicissime cose.

La prima è smetterla di condividere – trovandovisi fondamentalmente a proprio agio - l'andazzo vigente, che di “fascista” non ha nulla, a partire dalla faziosità imperante, alimentata - per la parte che gli compete - dallo stesso “Libero” (mentre il simbolo del Fascio Littorio – come tutti sanno - rimanda ad un “fascio di forze” che significa per l’appunto “collaborazione” ed “unità d’intenti”). La seconda, conseguenza della prima, sarebbe definirsi senza tanti infingimenti “fascisti” e basta, sebbene con tutte le messe a punto necessarie una volta che sono passati novant'anni dall'inizio del regime mussoliniano (e stabilito che senza un Mussolini e il “clima” adatto non è possibile alcun Fascismo). Insomma, armarsi del proverbiale “me ne frego” e non nascondersi dietro una “destra” o un “centro destra” o, peggio ancora, una “destra liberale”, che col Fascismo c’entrano come i classici cavoli a merenda.

Ma nemmeno la Destra, può rappresentare una testata che sin dal nome evoca una “libertà” anarcoide[2] che essa declina principalmente in quella “di mercato” in odio a tutto ciò che è statale (squalificato come fonte di sprechi, magna magna eccetera), che è cosa sideralmente lontana sia dal Fascismo sia dal cosiddetto Ancien Régime. Il primo, grazie all'autorità dello Stato, poneva un provvidenziale “argine” ai pur legittimi interessi privati rendendoli “socialmente utili” (capito, pappagalli della “flessibilità” e della “deregolamentazione”?), mentre il secondo, per il semplice fatto che non era ancora esplosa la “modernità”, non prevedeva la pura e semplice esistenza dei “media”... Scherzi a parte (ma fino a un certo punto), un’autentica posizione di Destra, tanto per dirne una, non può sposarsi con l’accettazione dell’impianto “filosofico” (si fa per dire) della “modernità” stessa, condiviso in maniera complementare, e talvolta in totale accordo, con l’odiata opposta fazione di “centro-sinistra” (si pensi agli idolatrati “diritti umani”, al “mercato” e alla pseudo religione di tutti questi apparenti avversari reciproci, il laicismo).

Purtroppo, l’amara verità è questa: la mancanza di un “luogo” – politico, prima che “culturale” - in cui le “intelligenze scomode” e non allineate ai vacui deliri della modernità e dell’antifascismo possano esprimersi appieno per trasformare la cultura in azione. Stante questa esiziale mancanza, si deve perciò sopportare questa strumentalizzazione da parte di chi, solo perché si pone “contro la sinistra”, facendo proprie “battaglie” che non sono sue finisce solo per abbindolare il pubblico che gli dà credito.



[1] Questo tipo di psico-reati è stato reso possibile, ad un livello teorico, dal cosiddetto “intellettuale collettivo” d’elaborazione gramsciana, il quale – grazie ad una sostanza umana atta ad attivarlo – si nutre di uno psichismo totalitario e totalizzante che impone ciò che è lecito e ciò che non lo è, ciò che è buono ed il suo preteso contrario eccetera, il tutto informato da un moralismo asfissiante. Con la conseguenza di severe ed inesorabili sanzioni sociali e professionali per chi non si adegua. La vittoria sulla mentalità moderna, di cui quella “progressista” è una delle manifestazioni più eclatanti, presuppone proprio la cassazione di quest’“intellettuale collettivo” e dello stato d’animo che lo alimenta. 

 

[2] Non sono certo il primo che evidenzia l’affinità tra Anarchismo e Liberalismo, i quali pongono al centro del loro “sistema” l’individuo. Un individuo che vuol farsi “assoluto” e che perciò vede nello Stato l’ostacolo principale verso la sua completa “realizzazione”. Va da sé che entrambe queste posizioni non vedano di buon occhio nemmeno la religione, poiché se per un verso l’esistenza di Dio pone seri problemi ad un individuo che si concepisce come “unico”, per un altro la teoria e la pratica del Liberalismo (e della dottrina economica ad esso apparentata, il Liberismo) non possono estrinsecarsi senza “sensi di colpa” se i disastri da esse provocati cadono ancora sotto l’occhio vigile di un Dio.