Buona parte della Francia ha dichiarato guerra alla République. Dopo un bipartitismo insopportabile, l’ascesa del FN alle comunali sposta l’attenzione dal conflitto orizzontale tra le varie fazioni che popolano il suolo d’Oltralpe all’autentico conflitto verticale tra oppressi e oppressori. Al vertice di questo rapporto di forza si situa quell’apparato di destra neocon e digauche caviar che all’egida dei valori della République e del Progresso ha istituzionalizzato un movimento rivoluzionario e anti-francese.
Guardando così alla riflessione spengleriana che considera il concetto di Zivilisation come la Kultur attuata secondo tutte le sue potenzialità e possibilità, ovvero punto di arrivo che decreta il declino di una civiltà, dobbiamo aggiungere che ad essere contenitori ed ambasciatori di questa Zivilisation non sono le masse ma l’élite. Leggere il caso francese secondo questa chiave interpretativa può servire ad esplicare meglio l’odierna situazione europea, e ci permette di rivalutare il concetto di popolo che, di natura conservatrice, mantiene determinati punti di riferimento e pone una sua particolare visione del mondo atta a categorizzare il reale secondo regole tramandate di generazione in generazione. Mentre l’élite, di contro, rappresenta essenzialmente un movimento caotico che mina questi fondamenti. In nome del Progresso i valori della République – nuova religione che viene appunto fondata, su proposizione di Saint Just, nel 1792 con l’anno I per sostituirsi definitivamente alla scansione cristiana del tempo – furono inaspriti da questa élite isterica che oggi vive, inconsapevolmente, il suo collasso morale.
Ultime rappresentanti di un illuminismo irrazionale e senza consenso le élite francesi appoggiano attraverso una serie di riforme-propaganda la cultura del laicismo. Laicismo che differisce dalla laicità e che si rovescia, paradossalmente, nel contrario della tolleranza, ovvero in un sostanziale ateismo dogmatico dalle rimembranze sovietiche, e che si traduce in odio e disprezzo per qualsiasi confessione di fede. Allo stesso tempo il Ministero dell’Education Nationale, apertamente influenzato dalla lobby LGBT, promuove – con l’appoggio del sacerdozio politicamente corretto – una nuova educazione sessuale a partire dalla scuola materna improntata sulla teoria gender. Le differenze, di natura biologica o psichica, dei sessi sono, secondo questa ideologia, una convenzione sociale da abolire in nome di un’uguaglianza che olezza tanto di uniformità ed indifferenziazione dei caratteri. Intanto, mentre la Francia conta più di 3 milioni di disoccupati, le autorità e i media approvano la lotta di “liberazione sessuale” del collettivo Femen. Una rivoluzione delle élite, dunque, che si proclama apertamente anti-francese, perché mina tutto ciò che, nel corso dei secoli, la Francia ha rappresentato.
Tuttavia è emersa, da qualche anno a questa parte, un’altra Francia, quella del cosiddetto petit peuple tanto caro a Louis-Ferdinand Céline che lo descriveva nei suoi romanzi come quella classe misérable e dominata, incastrata e corrotta nei lacci dell’industrialismo. Quello stesso popolo di cui parlava Pier Paolo Pasolini: “quella gente povera e vera che si batteva per abbattere quel padrone senza diventare quel padrone”. Un universo, finalmente, che mantiene viva un’identità, che è da sempre conciliato con sé stesso e con la Francia, e quotidianamente è depredato dal progressismo teleologico di un’iperclasse politico-finanziaria.
Ma la strategia del Fronte Nazionale, in proposito, sembra valida, riproponendo una lotta di classe in vesti attualizzate e sottolineando gli autentici cardini in cui le forze si scontrano. Il conflitto è tra i rappresentanti di una Kultur e quelli della Zivilisation. Tra chi mantiene l’innocenza di un inizio e chi la degradazione morale della fine. Tra identità e mondialismo, sovranità nazionale e governance globale. In questo contesto mantenere la destra e la sinistra come categorie interpretative, oltre ad essere fuorviante, risulta del tutto sterile.