Renzi ha annunciato che, se la riforma del Senato non dovesse passare, si dimetterebbe. In sé non pare una minaccia tale da convincere schiere di senatori a votare la sua riforma, se non fosse che lui la carica di sinistri avvertimenti : “Se la riforma non passa si vota”, che mi sembra tanto l’”ordigno fine di Mondo” del dottor Stranamore. Iniziamo con due calcoli sulle possibilità che la riforma passi al Senato, così come è, senza alcun ritocco perché il motto della nobile casata fiorentina de’ Renzi è “Prendere o lasciare”.
L’art. 138 della Costituzione prevede che, in seconda votazione, i disegni di revisione costituzionale siano approvati a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, mentre non dice nulla per la prima deliberazione, per la quale è sufficiente la maggioranza semplice. Il Senato ha 320 membri elettivi e 6 di diritto, per cui la maggioranza assoluta è 164 voti, ma in prima battuta possono bastarne di meno, considerando gli “assenti fisiologici” ed il Presidente che per consuetudine non vota. Diciamo che possano bastarne 160-3.
Il baldo giovanotto, secondo i calcoli della sua piccola corte, disporrebbe prima di tutto dei voti del gruppo democratico (107, meno il Presidente). Ma si sa che una parte sicuramente voterà contro, per cui diciamo che la base di partenza è 95, cui si dovrebbero sommare gli 8 di Scelta Civica (incluso Monti), i 12 delle autonomie, i 5 senatori a vita e 3-4 del gruppo misto. In totale 123-4, per cui mancherebbero una quarantina di voti all’appello da trovare.
Ovviamente, la speranza principale è che, alla fine, Berlusconi, pur smadonnando, mantenga gli accordi del Nazareno (per la verità già violati da Renzi) e voti la riforma. In questo caso non dovrebbero esserci problemi perché la base di partenza sfiorerebbe i 200 voti. Ma, allo stato dei fatti e salvo nuovi negoziati, non pare che questa sia l’intenzione dell’ex Cavaliere, per cui occorre provvedere diversamente.
C’è chi pensa ad un baratto con la Lega (15 senatori) per un voto a favore della riforma del Senato in cambio di una legge elettorale più accettabile (il famoso comma “salva Lega”), chi pensa di accontentare in qualche modo il Ncd che ha una trentina di voti, chi di rastrellare un po’ di indecisi fra Sel, Popolar-casiniani ecc.
Dunque piano A con Forza Italia, piano B “libera caccia”. Dei due l’unico che darebbe sicurezze (relative, come vedremo) è il piano A e, per la verità, non è escluso che finisca così: siamo abituati alle giravolte improvvise dell’Uomo di Arcore. Quello che, però, non rende probabile l’accordo è la prossimità alle elezioni europee: visto come si son messe le cose, se Berlusconi cedesse a Renzi in cambio di nulla, la cosa potrebbe essere vista dal suo elettorato come una resa a discrezione e, a poche settimane dal voto, questo potrebbe avere effetti catastrofici su un partito che già è in caduta libera nei sondaggi. Onestamente, all’ex Cavaliere non consiglierei di farlo.
Il piano B è assai rischioso: esporrebbe Renzi all’assalto di Alfano e Lega sulla legge elettorale, senza contare che anche Alfano potrebbe agitare la minaccia di una crisi di governo. E se ci stesse solo uno dei due, occorrerebbe cercare il resto vagando alla ricerca di indecisi. Direi che le speranze sarebbero ridotte al lumicino.
Sin qui, però, abbiamo ragionato come se i voti dei singoli gruppi fossero pacchetti indivisibili, ma dove sta scritto che le cose stiano così? Va da se che la maggioranza dei senatori (compresi quelli del Pd ed i montiani) sarebbero sicuramente contrari alla riforma di Renzi, compresi i senatori piddini, ma sono trattenuti dalla disciplina di partito. Vero è che Renzi gli chiede di saltare giù dalla finestra, ma c’è sempre la speranza di un “risarcimento” con una candidatura alla Camera, alle Europee, nelle Regioni o, al limite, in qualche ente di Stato (ammesso che delle promesse di uno come Renzi ci si possa fidare); speranza che andrebbe a farsi friggere in caso di comportamento indisciplinato. Eppure non saremmo tanto sicuri che le defezioni sarebbero comunque tanto limitate. Soprattutto non lo pensiamo del gruppo di Fi, per cui anche il piano A non sarebbe poi così a prova di bomba.
Ma questo ragionamento vale nel caso di scrutinio palese, ma in caso di voto segreto? L’art. 120 comma 3 del regolamento del Senato stabilisce che nella votazione finale dei disegni di legge di revisione costituzionale, si voti per appello nominale con scrutinio simultaneo. Però, salvo che per la votazione finale, per il resto delle votazioni articolo per articolo e relativi emendamenti, si può applicare l’art 113 comma 2 per il quale, qualora 20 senatori ne facciano richiesta, si procede con scrutinio segreto. E questo può diventare il Viet Nam di Renzi: gli emendamenti possono stravolgere la sua riforma rendendola inservibile. Ma soprattutto possono dimostrare che lui non ha il consenso del Senato, aprendo la strada alla crisi di governo.
E, qui c’è il deterrente nucleare di Renzi: le nuove elezioni. Che però non decide lui, dato che è Napolitano a dover sciogliere le Camere e non pare che il Presidente sia di questo parere: sciogliere le Camere alla vigilia del semestre italiano alla Ue o addirittura durante il semestre? E poi votare quando? Per un election day in coincidenza con le Europee, mi pare un po’ tardi; andare a votare un paio di settimane dopo, in pieno giugno, dopo una tornata elettorale generale, farebbe schizzare l’astensionismo sino in cielo. Votare in settembre a semestre Ue iniziato? E se Napolitano si dimettesse lasciando tutti in braghe di tela? La verità è che le dimissioni di Renzi (accolte con giubilo al Quirinale) sarebbero una splendida occasione per un nuovo governo tecnico del Presidente.
Insomma il deterrente di Renzi è una pistola scarica e senza percussore: va bene per una sceneggiata napoletana. Poi c’è da considerare che anche se passasse al Senato, occorrerebbe mandare la riforma alla Camera, per poi tornare al senato per la seconda lettura e quindi di nuovo alla Camera per la seconda e definitiva approvazione, sempre che, nel frattempo, uno dei due rami del Parlamento non introduca una modifica anche minima, per cui si comincia a fare su e giù fra Palazzo Madama e Montecitorio.
Non so come la vedete voi, per me l’ardimentoso fiorentino va a sbattere. Ma il fatto è che se anche ci riuscisse, poi lui in testa non ha nessun disegno complessivo, nessuna linea politica. L’uomo non sa dove andare ma ci vuole andare di corsa: Renzi è il bersagliere del nulla.