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Schiavi del tempo e di un Impero

di Guido Rossi - 02/04/2014

Fonte: L'intellettuale dissidente


Schiavo della sindrome elezioni, percentuali e frustrazioni, dei cattivi contro i buoni: Democratiche illusioni. Delle code alla mattina, del petrolio e la benzina, della banca che strozzina e l'Europa a pecorina; tre civette sul comò: O.N.U, N.A.T.O e W.T.O, il messia ci salverà: schiavo della libertà!" (Ultima frontiera, schiavo della libertà)

TEMPO.

Nella Roma antica, all’apice della sua grandezza, finanche le persone più povere non avevano di che preoccuparsi del loro domani. Il governo -forte degli ingenti tributi raccolti dalle provincie- poteva garantire al popolo romano diverse forme di sussidio. Queste elargizioni, in forma di denaro e/o di cibarie (spesso grano), permettevano a tutti  i cittadini di poter occupare le loro giornate nelle maniere che piu’ ritenevano opportune, al punto da poter incontrare nelle diverse strutture termali tanto il patrizio quanto il nullatenente. Allo stesso tempo anche le provincie “vessate” non venivano banalmente sfruttate sulla base delle loro potenzialità economiche, in quanto venivano fornite loro tutte le strutture ritenute necessarie, dagli acquedotti alle scuole, dai palazzi istituzionali ai teatri; il tutto ampiamente documentato dalle rovine oggi sparse nella quasi totalità del mondo allora conosciuto.

Oltretutto alle popolazioni locali veniva lasciata la piu’ ampia liberta’ di pensiero e di culto, operando di fatto una “globalizzazione” ante litteram, la quale pur imponendosi faceva tuttavia sì che le tradizioni e le identità culturali venissero preservate. Ad ogni modo qualunque medaglia ha il suo rovescio. Su questo antico sesterzio troviamo in particolare un benessere garantito da una impressionante moltitudine di schiavi, i quali, prigionieri di guerra o nati in schiavitu’, lavoravano dovunque, nelle miniere, nei campi, nelle case private.

L’impero odierno non è invece un Giano bifronte, presentandosi infatti nel suo unico e bieco volto. Le province non hanno sempre confini definiti, e regioni apposite vengono create sulla base di accorpamenti di meri interessi economici. Il Palazzo imperiale ha sede a Bruxelles, o forse a Berlino. I suoi organi, sparsi nei territori sottomessi, sono Tutti riconducibili a strutture finanziarie a gestione privata, quali ad esempio la BCE. Tra i suoi emissari c’è chi, come il commissario europeo per gli affari economici Olli Rehn, ci chiede crescita, diminuzione del debito e riforme, come se tutto fosse risolvibile nello stesso momento, e partendo dal solito presupposto che al finnico della vita sottomessa degli italiani poco importa.  Tra i suoi Pretori c’è chi, come Matteo Renzi, vuole “un’Europa migliore!”.

All’Italia, come alle altre “province”, vengono chiesti dazi e sacrifici, bilanci in ordine, e montagne di debito. I servizi necessari da parte del governo tuttavia scarseggiano, o non sono mai stati prestati. La nostra economia non è assolutamente aiutata, sfruttata anzi e prosciugata da un colonialismo di modello “portoghese”. La nostra identità è sempre più minacciata da miti europei, da flussi migratori forzati e da famiglie “alternative”. Per garantire questo impero del nulla ai lavoratori vengono presentati contratti di prigionia, dove si impongono ore di lavoro improponibili per sei giorni su sette, e dove vedersi concedere 20 giorni liberi su 365 diventa un lusso. Il tutto per stipendi insufficienti a garantirsi un futuro, o neppure una vaga sopravvivenza. Ad ogni modo chi riceve i panni di questo servaggio ha pure di che ritenersi fortunato, di che abbracciare il suo padrone – o tiranno- perchè con una disoccupazione a due cifre a molti non viene concessa neppure questa infame possibilità.

Rousseau sosteneva nel suo “contratto sociale” che “l’uomo è nato libero ma è ovunque in catene”. Di sicuro sappiamo soltanto che in media ogni nuovo italiano nato si trova già indebitato per oltre trentamila euro. Questo debito potrebbe tradursi in attivo, se, primo fra gli esempi, ci rimpossessassimo della nostra moneta, della sua proprietà. Questo valore immenso sanerebbe il nostro Stato, se solo riconquistassimo questo “signoraggio”, l’enorme differenziale tra il valore di ogni banconota ed i pochi centesimi spesi per stamparla. La nostra cultura sarebbe preservata ed un lavoro onesto ed appagante sarebbe garantito, se sfruttassimo (nel significato positivo del termine) il nostro potenziale agricolo, artigianale, enogastronomico e prima ancora culturale. Ma il tiranno non ci sta, offrendoci però la libertà di comprare ciò che più vogliamo. Schiavi della libertà.