Il lavoro è morto, il problema è l’Euro
di Diego Fusaro - Alessio Mannino - 01/05/2014
Fonte: Nuovavicenza
Se vi dico la parola “filosofo”, voi forse penserete al vecchio sapiente ma barbogio, assiso sulla sua torre d’avorio, un po’ trombone e posapiano. Nel caso di Diego Fusaro, vi sbagliate di grosso. Torinese, docente all’Università San Raffaele di Milano, 30 anni tondi, all’attivo una lista di libri lunga così (fra i maggiori “Bentornato Marx!”, “Essere senza tempo”, “Minima mercatalia”, “Coraggio”), discepolo dell’irregolare e antiaccademico Costanzo Preve, fra una lezione e l’altra è sempre in giro per l’Italia a esporre il suo pensiero di radicale contestazione del sistema economico, di valori e di vita oggi in voga. Seguace di Marx ma non marxista, ripudiatore degli schemi di destra e sinistra e implacabile nemico specialmente di quest’ultima – dalla cui ipocrisia rifuggire come la peste – va predicando lo “spirito di scissione”, ovvero il vecchio caro sano senso critico senza totem e senza tabù. Ha conquistato così una certa notorietà, sulla stampa e in televisione (è ospite fisso a “La Gabbia” su La7). Mentre è in auto per recarsi alla manifestazione No Euro organizzata dal movimento 9 Dicembre a Torino («non c’è niente di vero di quanto la manipolazione mediatica ha scritto su di loro»), gli abbiamo fatto qualche domanda sul 1° Maggio, la giornata per eccellenza della “fu” sinistra.
La segretaria della Cgil, Susanna Camusso, ha detto che quella di oggi è la festa della disoccupazione più che del lavoro. Qual è il senso attuale del 1 Maggio, ammesso che ne abbia ancora uno?
Quel che ha detto la Camusso è vero, nel senso che il lavoro non c’è, ma è falso perché non c’è proprio nulla da festeggiare. Anzi fa ridere una festa su qualcosa che non c’è, su qualcosa che è morto, così come fa ridere festeggiare la Liberazione quando siamo militarmente occupati. Ecco perchè oggi preferisco partecipare al corteo di Torino contro l’euro con l’economista Rinaldi: perché una festa ha senso se sprona all’azione per riprendercelo, il lavoro. E oggi il problema fondamentale è questa Europa, è l’euro.
Che funzione ha oggi il sindacato?
Citando Gramsci rispondo che il sindacato, come del resto la sinistra, vive la sua “fase tolemaica”: non corrisponde più al mondo reale. Non serve più fare scioperi a mesi alterni restando parte integrante del sistema capitalistico, quando le decisioni vengono prese a Bruxelles.
Qual è l’alternativa, allora? Circolano proposte come la compartecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese, o il reddito di cittadinanza.
La via d’uscita sta nel ritorno allo Stato nazionale sovrano, dove le parti sociali possono incidere. Quel che stiamo vivendo è il dramma della globalizzazione, che taglia il momento del conflitto: non sai più nemmeno contro chi protesti, oggi. Il reddito di cittadinanza è una sciocchezza, perché poi sei costretto a fare lavori che ti impongono.
Chi è lo sfruttato nel 2014?
E’ ancora lo schiavo salariato ma sono anche i popoli come quello greco e prossimamente come quello italiano. Marx è più valido oggi dei tempi suoi, ma la base si è allargata: sfruttata è l’intera popolazione.
Quindi è saltata la tradizionale contrapposizione di classe?
E’ saltata a tal punto che si può dire che il 90% della popolazione è inconsapevole di sé e del proprio sfruttamento.
Mentre il restante 10% sa bene chi è e cosa sta facendo?
Nel finale di quel film di Micheal Moore, “Capitalism: a story”, c’è lui che incontra il proprietario di questa mega-ditta, che veste sportivo, sembra un uomo normale: ecco, non aveva coscienza di sé, non si sentiva uno sfruttatore.
In questo è uguale al lavoratore precario, che non sembra essere cosciente della propria condizione e accetta tutto.
Diciamo che siamo passati da un proletariato dominato ma non subalterno al precariato dominato e subalterno, in cui assistiamo alla dissoluzione in singoli atomi individuali.
In Veneto la Regione, guidata dal leghista Zaia, vuole riprendersi il potere di stabilire la chiusura del commercio nei giorni festivi, tolta dal governo Monti nel 2012. Sulla stessa linea, naturalmente, sono i sindacati. Quale valore dare oggi al tempo libero, all’ozio?
Ho dedicato un libro, “Essere senza tempo”, all’accelerazione dei ritmi di vita e al tempo libero trasformato in tempo di lavoro e di consumo. C’è bisogno di una nuova scholé, di otium, indubbiamente.
Il che implica un’inversione di valori, una rivoluzione culturale. Come fare, se prima non si cambiano le condizioni sociali?
Un filosofo non fornisce la ricetta tecnica, dà una prospettiva. Detto questo, non sono d’accordo: prima bisogna lavorare sull’egemonia, avrebbe detto Gramsci.
Cioè sulla cultura di massa, sul senso comune.
Certo: è inutile che gli chiudi il centro commerciale di domenica se poi il cittadino consumatore continua a volerlo aperto.
Basta fare controcultura in maniera isolata, o serve un soggetto politico che la faccia propria?
Serve un “moderno Principe”, un partito. Nel frattempo, nel mio piccolo, con le mie attività porto avanti la battaglia di controcultura.