L’orgasmo del capitalismo
di Diego Fusaro - 12/05/2014
Fonte: Lo Spiffero
È un’idea bizzarra quella della girl band olandese “Adam”. Nel videoclip della loro canzone “Go To Go”, le ragazze hanno deciso di liberalizzare l’“orgasmo musicale”. Le giovani artiste, nel video, si esibiscono sedute su un vibratore, cantando con il volto trasfigurato dal piacere. L’idea è quella di mantenere la voce intonata e un’espressione – per quanto possibile – “normale” mentre raggiungono l’orgasmo.
Come commentare questo ennesimo orrore del nostro “tempo della miseria” (Hölderlin), della “notte del mondo” (Heidegger) e della “compiuta peccaminosità” (Fichte)? È l’ennesima volgarità del capitalismo che tutto riduce a merce e a spettacolo. Da vent’anni a questa parte, l’obiettivo ultimo dell’agire ha cessato di essere l’esodo dalla caverna platonica (il marxiano “sogno di una cosa”) e, con esso, la ricerca condivisa di un avvenire alternativo rispetto alla prosa del presente. Il nuovo telos viene a coincidere con una galassia di orientamenti individuali diversificati, sempre proiettati nell’orizzonte del presente onnipresente, entro le sbarre inossidabili della gabbia d’acciaio. Il loro orizzonte comune è il godimento illimitato, senza misura o autorità, senza legge o inibizione.
L’austero imperativo categorico kantiano viene spodestato da quello iperedonistico di De Sade: “devi godere!”, convertendo in ogni istante la trasgressione permanente dei valori tradizionali nel nuovo imperativo della crescita e del godimento senza limiti. Il dovere cessa di essere contrapposto al godimento e ne è interamente riassorbito.
Viene, così, articolandosi il movimento più peculiare delle società di mercato. Interamente integrato nell’ordine della produzione, l’individuo crede di realizzare pienamente se stesso, ormai libero dalle tradizionali forme oppressive di comunitarismo, perseguendo su un piano rigorosamente individuale l’edonismo spasmodico, l’emancipazione sessuale, la ricerca di autenticità, il modellamento e la cura di sé. In forza dell’astuzia della produzione capitalistica, egli è illusoriamente convinto di sviluppare liberamente se stesso nell’atto con cui svolge i riti che gli sono imposti in forma apparentemente morbida da una tecnica sempre più onnipervasiva, panoptica e totalitaria.
L’individualismo spasmodico, che in apparenza dovrebbe realizzare le potenzialità del soggetto, si capovolge puntualmente in fuga dei singoli individui robinsoniani in direzione di adattamenti, conformismi e adesioni a mode temporanee, superficiali e seriali, che sembrano configurarsi come il capovolgimento della libertà in coazione al livellamento, all’omologazione e al godimento cinico e volgare. La “morte di Dio” profeticamente annunciata da Nietzsche e realizzatasi compiutamente con l’avvento dell’odierno capitalismo assoluto si accompagna alla ricerca nichilistica del godimento sfrenato, in una riconversione della libertà in pura illimitatezza del desiderio individualistico (dal pluslavoro di Marx al plusgodimento di Lacan).
Questa deriva cinica del godimento, avviatasi con la contestazione antiborghese del Sessantotto e con il suo rovesciamento di ogni autorità in grado di frenare l’immediata soddisfazione dei desideri sempre risorgenti, culmina nell’odierno scenario disincantato del mondo ridotto a merce. Aveva ragione Marx: il mondo moderno lascia insoddisfatti, e dove esso è soddisfatto di sé, è volgare.