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Su Andrea Emo. In dialogo con Giovanni Sessa

di Giovanni Damiano - 12/05/2014

Fonte: Centro Studi La Runa

la-meraviglia-del-nullaIl libro, davvero ricco e importante, di Giovanni Sessa su Emo (La meraviglia del nulla. Vita e filosofia di Andrea Emo, Bietti, 2014), a parere di chi scrive merita ben più di una semplice recensione. Poiché è davvero raro leggere simili opere nell’ambiente non conformista italiano, quando se ne presenta l’occasione, come in questo caso, credo sia necessario dar vita a un vero e proprio dialogo, in grado di andare oltre le circostanze usuali in cui si consuma, alla lettera, il ‘rito’ delle recensioni, per ‘innescare’ una dialettica capace di ampliare e al contempo diffondere i temi trattati da Sessa nel suo testo. Per questo motivo, piuttosto che limitarmi a indicare sommariamente i diversi aspetti del libro di Sessa, preferisco circoscrivere la mia analisi a un solo punto, relativo al ‘transattualismo’ di Emo, riservando a ulteriori interventi la discussione sulle altre molteplici prospettive aperte dall’Autore, in primis quella riguardante il lato politico dell’opera emiana. In merito, aggiungo soltanto che proprio perché transattualista Emo è antimoderno. Ha pertanto perfettamente ragione Sessa nel far ‘convivere’ nello stesso testo i due momenti, che sono tra loro inestricabilmente intrecciati al punto tale da costituire una vera e propria endiadi.

Entrando adesso in argomento: cogliendo nel segno, Sessa giustamente definisce la filosofia di Emo transattualista. Se tale interpretazione ha una indubbia ricaduta sulla più generale lettura del pensiero italiano del Novecento (cosa che l’Autore ha cura di rilevare), è altrettanto evidente che il valore storico e storiografico del transattualismo emiano sia solo il riflesso di una essenziale posizione teoretica, ed è questa che merita di essere indagata.

Ora, il trans-attualismo non va minimamente inteso come frettolosa tendenza al superamento dell’attualismo, né come filosofia ancora imprigionata nell’alternativa trascendenza/immanenza, ma come passaggio-attraverso l’attualismo, cioè attraverso l’atto o, per dir meglio, la presenza. In altre parole, Emo costruisce la sua filosofia come un gigantesco transito attraverso la presenza, che è il ‘cuore’ del suo percorso teoretico. Una dinamica non dialettica (e che della lezione hegeliana salva solo la potenza del negativo) che conduce dal nulla alla presenza e dalla presenza al nulla, nel senso però che la presenza stessa è in realtà nulla. Perché nulla? Se l’origine in quanto nulla può manifestarsi solo come presenza, quindi negandosi come origine, la medesima presenza altro non è che presenza del nulla, sua epifania. La presenza è dunque, insieme, altro dal nulla (in quanto presenza) e icona del nulla (dal nulla provenendo). Per cui quando la presenza scivola nel nulla in realtà non muta il suo (ancipite) statuto ontologico, bensì lo conferma.

Ma in tal caso come può Sessa parlare di ultranichilismo in relazione ad Emo, se tutto l’essere, cioè la presenza, si riduce a nulla? L’esito del pensare emiano non sarebbe piuttosto compiutamente nichilistico? La risposta è negativa, perché il nulla originario è, nella scia della speculazione di stampo neoplatonico, ni-ente, non mero nulla. Non a caso, la prima, fondamentale, raccolta di frammenti emiani, edita da Marsilio nel 1989, era intitolata Il Dio negativo.

Da qui viene il pensiero radicalmente tragico, quindi ancora una volta non nichilistico di Emo. Perché il tragico, non mettendo a tacere la potenza del negativo, non precipita nell’indistinzione nichilistica. Se poi, sia detto en passant, quel ‘radicalmente’ sembra ridondante, ebbene, ritengo che, a fronte di tanti pretesi ‘pensatori tragici’, che in realtà non lo erano nemmeno nelle intenzioni, sia doveroso sottolineare con forza l’autenticità del ‘tragico’ emiano.

Da qui, inoltre e infine, anche la meraviglia del nulla. Quella meraviglia che nasce di fronte all’infinita varietà delle cose emergenti dal ni-ente e che può essere oramai[1] ‘raccontata’ solo per frammenti: è la grande lezione di Emo, la cui opera è appunto un immenso frammento composto da una miriade di frammenti [2].

Ma se l’opera di Sessa fosse solo, come pure è, un’acuta esegesi del pensiero emiano, sarebbe, per così dire, un’opera in qualche modo incompiuta. Quel che conta è che invece l’Autore, proprio partendo dal transattualismo di Emo, abbia ulteriormente approfondito un personale sentiero di ricerca in grado, a parere di chi scrive, di contribuire in maniera significativa alla non più differibile costruzione di un paradigma culturale altro da quello trionfante nell’oggi.

Note

[1] Un ‘oramai’ da situare molto indietro nel tempo, come notava Heidegger: “non appena la filosofia si mise in cammino, lo stupore come stimolo divenne superfluo al punto da scomparire” (da Che cos’è la filosofia, il Melangolo, Genova 1981, p. 41).

[2] Rispetto alla compattezza in sé conchiusa dell’aforisma, il frammento resta l’unico modo per esprimere il mostrarsi del molteplice, senza immediatamente dissolvere lo stupore da esso provocato. Forse soltanto Nietzsche rimane un’eccezione, con la sua capacità di ‘tenere assieme’ aforisma e frammento.